Femminismi
HWV Human War Virus – il virus umano della guerra
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Ci sono domande alle quali forse non si riuscirà a rispondere; tipo se la guerra sia annidata dentro la specie umana, come un virus che ti prende e non ti abbandona più…

Una innata propensione del “Tutti contro tutti”; o una malattia comparsa con l’avvento dell’agricoltura e la formazione della proprietà privata; che segnano uno spartiacque temporale dal quale non si è più riusciti a tornare indietro…

Sia come sia, di questa morbosità antica, pandemica, ricorrente, universale non ci si riesce a liberare, al punto che, nella maggior parte dei dizionari la “pace” viene definita in negativo come “non guerra”.

Intorno agli anni ’50 il prete in processione per i campi cantilenava “A peste, fame et bello, libera nos domine”; liberaci signore dalla peste, dalla fame e dalla guerra. Da allora il nostro mondo è radicalmente cambiato, ma il tris da paura persiste; la peste si chiama covid ed è favorita dalla distruzione degli ecosistemi, la fame ci viene e verrà dal cambiamento climatico e la guerra è sempre quella se pur tecnologicamente implementata dal crescente armamentario che va dalla clava, ai droni, alla bomba termobarica, per tacere di quella nucleare.

Trasformazioni in negativo quindi, guidate da quei principi di predazione e dominio economicamente organizzati nel sistema capitalista con prefisso neo-necro-turbo, quello che si vuole; architrave degli stati che si avvalgono della forza armata e dell’esercito per controllare i conflitti interni che questo genera e quelli esterni inevitabili. Guerra.

Secondo la rivista Internazionale, ad alta o bassa intensità, sono 59 le guerre in corso; Nigeria, Siria, Iraq, Yemen, Tigrai… solo alcune… e poi c’è quella vicino Russia-Ucraina; e prima c’era quella Ucraina-Donbass e prima Russia-Cecenia e prima Croazia-Serbia, e Serbia-Kosovo, Albania-Macedonia, e poi Israele-Palestina, Turchia-Kurdistan… filo conduttore comune: controllo su istanze secessioniste, su spinte nazionaliste, ma anche istanze di libertà dei popoli che non vogliono essere inglobati, non vogliono pensare e parlare negli usi e nella lingua di un altro. [Presente la russificazione di Putin sui bambini dell’Ucraina?]

Quanto ne sanno le donne di tutto questo? Tanto! C’è un’analogia nell’esercitare il dominio; nel grande e nel piccolo. Sui popoli che vengono definiti minoritari, inferiori, senza storia e sui soggetti che vengono definiti inferiori e per questo minorizzati. Queste sono le donne nel sistema patriarcale che è sempre stato un buon contenitore ideologico per peste, fame et bello.

Pensiamo al militarismo incarnato prevalentemente da maschi ed alle sue 50 sfumature di grigio, che va da battute sessiste, toccatine e molestie quali abbiamo appena assaggiato alla parata degli alpini ad aprile a Rimini, fino alla sua esplicazione più cruda e nera che usa come arma da guerra lo stupro, in particolare lo stupro etnico.

Fermiamoci un momento su questo: lo stupro che in tutte le guerre ha fatto delle donne il bottino del vincitore, con le guerre della ex Yugoslavia (ma anche in Ruanda) ha segnato un passo più in là nell’orrore diventando stupro etnico.

In Bosnia dalle 20 alle 30.000 donne furono violentate tra il 1992 e il 1995, 50.000 secondo il governo bosniaco. Lo stupro divenne una strategia per cancellare un popolo fecondando con seme serbo donne musulmane umiliando così, attraverso il genere femminile, una collettività umana e costringendo le vittime a generare figli del nemico.

Così si registra anche dalle narrazioni delle donne ucraine, violentate in pubblico per umiliare, terrorizzare e mettere in fuga l’intera comunità.

Perciò la violenza sessuale non è solo un delitto commesso contro la persona della vittima, oltrepassa il concetto di violenza di genere, perché fa del genere femminile il più vivo terreno di guerra, anzi di più: quanto più l’immaginario maschile attribuisce alla donna le simbologie “sacre” di patria, nazione, terra… lo stupro diventa violenza di natura politica; stupro del corpo di quella nazione o di quella comunità.

Ricordiamo ancora le ispirate parole di Dugin (ideologo di Putin) al castello di Udine quando applauditissimo da nostr* conterrane* definì la donna come il più alto mistero di Dio: ecco, violandola colpisci il Dio di quella nazione, la violenza più alta che si possa compiere…

Và, stupra, ritorna vincitor… dice la donna russa al marito in partenza per il fronte ucraino (1).

Che il mandante sia una donna non ci stupisce perché le donne non sono esenti dalla mancanza di empatia, di solidarietà di genere, dalla mancanza di identificazione con l’altro/a … anch’esse culturalmente e socialmente partecipi della costruzione dell’altro/a come nemico, non soggetto ma entità da combattere e distruggere: pensieri che sono il cuore del militarismo dello stato-nazione. D’altra parte anche le donne fanno il militare, il mestiere che per prima cosa ti dice di non pensare ma di obbedire.

E’ questa l’emancipazione desiderabile? Superare il patriarcato sposando la logica del dominio.

Misero traguardo. Vogliamo di più.

Durante la pandemia si è usato spesso un approccio militarista: guerra al virus, sconfitta del nemico, armi contro il virus ecc. come se fosse l’unico linguaggio e l’unica dimensione psichica nella quale riusciamo a leggere i fenomeni.

Se seguiamo la ricostruzione della neuropsicologia della violenza che fa Franco Fabbro, quando scrive: “la mente maschile sembra essere innatamente tribale, ossia strutturata prima dell’esperienza, in modo che i ragazzi e gli uomini provino piacere nel fare cose che favoriscono la coesione del gruppo e la vittoria in conflitti che contrappongono i diversi gruppi (guerra inclusa)…. Gli obiettivi di solito sono squadre e coalizioni per i ragazzi, e relazioni a due per le ragazze” (2) ci viene il magone; ma la specie umana è abbastanza vecchia da aver maturato esperienza; l’esperienza è storia e la storia, come ci insegnavano a scuola, è maestra di vita. Dipende però da come ce la raccontiamo.

Leggiamo l’antropologo anarchico David Graeber che insieme all’archeologo Wengrow la indagano fuori da stereotipi e preconcetti patriarcali o statalisti (3).

Gli attuali stati nazione sono solo una delle innumerevoli organizzazioni possibili e la civilizzazione non è la diretta emanazione di questi; spesso la civiltà è stata una comunità morale in gran parte fondata sul lavoro e le innovazioni delle donne…

Non c’è un tutti contro tutti (Hobbes), né un prima idilliaco e un dopo guerresco (Rousseau), sono piuttosto esistiti piccoli gruppi di cacciatori e raccoglitori estremamente gerarchici da una parte, ma anche grandi città che praticavano l’agricoltura ed erano egualitarie dall’altra, anche società che cambiavano organizzazione sociale a seconda delle stagioni, o regioni che vivevano lunghi periodi di libertà, seguiti da secoli gerarchici poi ribaltati da ribellioni che innescavano interi periodi di pratiche consapevolmente anti-autoritarie, o infine, il fatto che tanto la schiavitù quanto la guerra stessa siano state abolite più volte, in luoghi diversi, lungo tutto il corso della storia dell’umanità.

Abbiamo perciò speranza; HWV è un virus al quale si possono spuntare le armi che sono l’industria bellica, la logica militarista, la retorica della patria, la mitologizzazione dell’uomo forte…, [che il potere associato al maschile nel pensiero globale patriarcale incute timore e reverenza; ciò che piace ai dittatori…] Ricordate Mussolini e Putin a torso nudo nelle loro messinscene propagandistiche? Sceneggiate del corollario di un sistema che si ritiene unico e universale, sistema di espansione, colonizzazione, dominio nel quale questo miserabile occidente sembra congelato.

In Rojava si sta sperimentando altro… la storia ha ancora una chance, il vaccino rivoluzionario del confederalismo democratico, dell’autogestione, dell’ecofemminismo.

NOTE:

(1) Da un’intercettazione tra un soldato russo partito per l’Ucraina e la moglie – aprile 2022- Non sappiamo se la notizia sia vera o falsa; ma ragionare su questo aspetto è utile perché non tutte le donne si discostano dall’universo patriarcale militarista.

(2) Franco Fabbro “Identità culturale e violenza- Neuropsicologia delle lingue e delle religioni”. Bollati Boringhieri 2018. Citazione di Sherif 1956 e Haidt 2012 – p. 89

(3) David Graeber, David Wengrow “L’alba di tutto-Una nuova storia dell’umanità”. Rizzoli 2021

DUMBLES gruppo di ricerca ecofemminista dumbles@noblogs.org

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