Tornano a ogni turnata elettorale,
gli stessi scazzi di venti o trenta anni fa,
gli stessi candidati,
polemiche becere,
sessismo da quattro soldi.
Tornano a ogni manifestazione,
riunione, assemblea,
gli stessi pianti e lamenti,
gli stessi odi, più personali che politici,
le stesse frasi fatte,
scaramucce distratte.
Tornano a ogni assemblea separata,
le stesse inutili richieste di giustificazione.
Tornano come rigurgiti in un corpo gastritico, il nostro corpo. Un corpo che ancora esprime potenzialità e lotte, e modi di vivere diversi e bellissimi, ma più per routine che perché ci si interroga e ci si pongono dubbi. Anche se a confronto con un fuori in cui siamo solo vacche o baldracche che non sanno guidare né vedere una partita, è comunque una routine meravigliosa.
Il corpo intanto invecchia e non accetta le sue rughe, la pelle che cade, il mondo che cambia. Stabile, sta, alla tempesta, alle mazzate.
E ogni tanto si piega, si rompe qualcosa, poi si rimarginano ferite o si mette un puntello e il corpo sta. Guarda al di fuori a tutto che corre e prende le armi e un mondo sempre più nero di bambine esplose, clitoridi ferite, mari insanguinati. Immobile. Si allunga si avvicina raccoglie esperienze le fa sue. Ma poi torna il vento, il manganello, il puntello.
E noi qua. E io qua. Che guardo e vivo e sto male e vorrei solo dire
checcazzostateafa.