Femminismi
Lettera a Touil
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Caro Touil,

ti scrivo ma chissà se mai leggerai questa lettera. Ora sei rinchiuso in un CIE, struttura che non permette nemmeno la corrispondenza, per quel che ne so, nonostante chi vi sia detenuto di fatto non ha che la colpa di non avere documenti.

Quindi ti scrivo qui, come se potessi saperlo.

Quando ti hanno preso eri in Italia da poco, stavi studiando italiano, avevi raggiunto la tua famiglia. Tutte cose piuttosto normali, quotidiane. Potevi essere uno di noi che decidiamo, a volte, di lasciare l’Italia per andare, che so, in Inghilterra, a Londra. Ciancichiamo parole di inglese stentato, a fronte di una popolazione un po’ chiusa che chiude anche le vocali e non si capisce molto di quel che dicono. Cerchiamo lavori di second’ordine perché fare il cameriere lì è meglio che qui e almeno impariamo una lingua straniera.

Ti hanno preso un giorno, perché accusato di un delitto infame, la strage del Bardo. Ti hanno accollato la morte di 23 persone, l’estremismo religioso e chissà che altro. Pare invece che semplicemente il tuo passaporto fosse finito in mani sbagliate, durante il viaggio faticoso e terribile che hai fatto su un barcone. Il barcone che doveva rappresentare la libertà, una vita nuova, tua madre, i tuoi fratelli. Il barcone ha rappresentato la detenzione, il carcere, per cinque lunghi mesi, durante i quali si è detto che eri terrorista e poi che forse no, ma sempre senza preoccuparsi di come stavi tu.

Come ti sei sentito in carcere? Cosa ti hanno fatto perché non riconoscessi più le persone, persino tua madre quando sei uscito? Dicono che non riuscivi più a parlare la tua lingua, cosa pensavi e cosa ti è successo?

A nessuno è interessato sapere come stavi. Non è stata concessa l’estradizione, e sei stato liberato, e sei stato nuovamente carcercato. E ora chissà, probabilmente ti faranno fare il viaggio al contrario e chissenefrega se tua madre è qua e chissà che sente con cuore di madre e come sta e come piange a pensarti di nuovo dietro un muro e filo spinato e non poterti nemmeno incontrare.

Touil, quello che ti volevo scrivere e mandare è un abbraccio solidale. Perché a 22 anni passare così tanto tempo detenuti senza aver fatto nulla per esserlo se non aver avuto sfortuna mi fa salire una rabbia, tanto più forte perché tutte le detenzioni sono ingiuste, ma la tua smuove la pancia e la testa.

Sperando che lo schifo che ti hanno fatto non sia uno schifo che diventi per te distruzione e morte – quel terrorismo di cui t’hanno accusato, mentre terrorizzavano te, ma che la rabbia e il dolore che proverai sicuramente si traducano in qualcosa di costruttivo. Forse è solo utopia e vorrai solo dimenticare.

Io però un abbraccio te lo mando lo stesso. Ricordando anche chi, come Cucchi, dalla detenzione è uscito con i piedi verso la porta, per la stessa violenza che a te ha fatto dimenticare il volto di tua madre.

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