E’ vero, “Chi non terrorizza si ammala di terrore”.
Si ammala chi ha meno difese intellettuali. I bacilli dell’epidemia vengono puntualmente disseminati dagli untori che periodicamente spargono nazionalismo, xenofobia, razzismo, in questo caso, islamofobia.
Un esempio: le testate e i titoli di alcuni giornali del giorno dopo. Per non contare dichiarazioni varie alla Salvini & Co sullo scontro di civiltà ecc. ecc.
Un brutto male che chiama a quella guerra al terrorismo tanto funzionale ad una nuova stretta con leggi securitarie che colpiranno prima di tutto tutt* noi.
“Terrorismo” è sempre la parola magica del potere: serve ad annientare chi contesta (avete presente questa imputazione attribuita ai NoTav?) come ad annichilire ogni libertà personale.
In nome della lotta al terrorismo si può fare tutto, meno che capire da dove si origina il vero terrorismo e come si può realmente combattere.
Uscire da questa logica.
Charlie washing.
Dopo i terribili fatti di Francia, da noi l’incarnazione della satira oggi è la Santanchè che vorrebbe pubblicare, lei, in Italia, Charlie Hebdo.
Un inciucio di civiltà: l’integralista cattolica, quella che strappava il velo alle donne islamiche, che fa suo il giornale anticlericale e antireligioso per eccellenza. Forse non aveva visto le altre vignette, per esempio quella sul tema dei matrimoni omosessuali in cui si rappresentava Padre-figlio-espirito-santo in un gaudentissimo bunga bunga…
No, è che adesso, dopo la tragedia tutti vedono -e apprezzano e speculano- sul lato satirico antislamico.
Ed allora assume un altra sfumatura anche la tanto declamata libertà di espressione che, evidentemente non ha senso alcuno se si guarda solo alla parte che più torna utile.
Oggi, come ha titolato qualcuno, sono tutti democratici con il terrorismo degli altri, ma aggiungiamo pure l’integralismo, l’intolleranza, il razzismo ecc.; come se quello che si esplicita quotidianamente intorno a noi fosse acqua e zucchero.
Lo ha spiegato bene Eretica: si guarda a quello del vicino per non guardare quello di casa propria.
A proposito di libertà di espressione , l’ultima in ordine di tempo, anche una critica sul filo dell’ironia ad una pubblicità ritenuta manipolatoria, diventa diffamazione.
Oggi c’è la grande manifestazione di Parigi per la libertà di espressione, con capi di stato ecc. chissà se è rappresentata anche la Spagna che con la sua Ley Mordaza chiuderà la bocca svuotando le tasche di ogni dissenziente…
Essere o non essere
L’etichetta Je suis Charlie, per molt* purtroppo, serve a mettere a punto quanto di cui sopra.
Ma, depurato il quadro da tutto ciò, restano altre valutazioni intorno al giornale, alla satira, allo stile della rivista che, si dice, non era più quella di un tempo, ora troppo sbilanciata, quasi verso l’islamofobia (es. Annamaria Rivera in “Regole e roghi:metamorfosi del razzismo”).
Depurato il quadro anche dal ripugnante “se la sono cercata” del Financial Times (la tipica conclusione che talun* usano verso le donne violentate… “a causa del loro abbigliamento”…), ci sono le valutazioni di quell* che dicono Je ne suis pas Charlie per questi e questi motivi; sono due esempi; ce ne sono altri con sfumature diverse fatte da diversi ambiti di appartenenza. [Lasciando perdere naturalmente gli orridi Le Pen ]
Poi c’è chi, soprattutto di area libertaria si riconosce nello spirito irridente nei confronti del potere e della religione, di tutte, ed argomenta in modo altrettanto articolato il suo “essere Charlie”
Prendiamo ad esempio uno scritto della redazione di Umanità Nova dove si ricorda che …I morti di Parigi sono come i centinaia di migliaia di morti di Damasco, Falluja, Cairo, Kabul, Grozny, Gaza, Kobane… perchè un fatto deve comunque essere letto nel contesto globale che gli sta intorno.
Ecco, Kobane; a proposito di Kurdistan, c’era questo pezzo di Charb, direttore di Charlie Hebdo, una delle vittime, che una compagna ha segnalato e che così dice: (nostra la traduzione) “Non sono kurdo, non conosco una parola di kurdo, non sarei capace di citare il nome di un autore kurdo. La cultura kurda mi è totalmente sconosciuta. Ah, sì, a volte mangio kurdo… Andiamo oltre. Oggi, io sono kurdo. Io penso kurdo, io parlo kurdo, io canto kurdo, io piango kurdo. I kurdi assediati in Siria, non sono dei kurdi, sono l’umanità che resiste alle tenebre. Difendono la loro vita, la loro famiglia, il loro paese, ma che essi lo vogliano o no, essi rappresentano il solo bastione contro l’avanzata dello “Stato islamico”. Essi ci difendono tutti, non contro un islam fantasticato che non rappresenta il terrorismo del Daesh, ma contro il gangsterismo più barbaro. Come la pretesa coalizione contro i tagliagole potrebbe essere credibile, quando, per diverse ragioni molti dei suoi membri hanno condiviso con loro (e certi condividono ancora) interessi strategici, politici, economici? Contro il cinismo e la morte, oggi, c’è il popolo kurdo.”
Antiterrorismo
Dal Rojava viene la più bella lezione di antiterrorismo; la base è la presa d’atto delle diversità reciproche e la messa a punto del contesto sociale e politico nel quale queste possano vivere nell’ambiente -oikos- che le contiene, genera e rigenera. Trovare la chiave per la convivenza è fondamentale. Loro la stanno cercando fuori dallo stato, per prima cosa perchè non può esistere contenitore amministrativo legislativo giudiziario che non diventi oppressivo verso le proprie minoranze o diversità.
Ci dice qualcosa la Francia che proibisce il velo, la banlieue che non lascia prospettive, un’idea di integrazione fasulla; la spiega bene Karim Metref riportato qui.
Se non cerchiamo nel posto giusto, non finiremo mai di chiederci “Perchè ci odiano” e continueremo a stupirci quando le bombe e i kalashnikov ci tornano indietro.
Poi sì, ci sono le alleanze politiche globali che a seconda degli interessi finanziari si suggellano e si scindono, l’egemonia sulle zone di influenza e sulle risorse… in una parola, il potere che gioca le sue partite, come sempre, ma, come sempre dovremmo cercare di non esserne le pedine.
Usciamone e cerchiamo la soluzione nel posto giusto, con Charlie e anche senza.