scritto da: gilda mercoledì 24 dicembre 2014 alle 06:32
C’è chi si dà allo spirito puro o alla materia più bruta o semplicemente al proprio tornaconto, chi coltiva il proprio orticello, chi va a letto e si copre il capo, chi continua imperterrito ad andare a votare.
C’è chi si ricorda della sua bella gioventù di lotta e chi lotta cliccando “mi piace” e firmando molte petizioni sui social network.
C’è chi dice che le cose hanno tante sfumature, chi è convinto che le malattie dipendano esclusivamente da noi stessi, come se intorno ci fosse il vuoto, e c’è chi va a ballare il tango per il papa anche se è ateo da generazioni.
L’individuo al centro.
C’è chi dà tutta la colpa agli immigrati e chi è talmente disperato che non riesce a fare più niente se non cercare di sopravvivere, c’è anche chi per la disperazione la fa finita.
C’è per fortuna chi ci crede ancora e cerca strade per cambiare le cose e chi, come me purtroppo, un po’ ci ha rinunciato (ma è perché me lo posso permettere, ho una casa, un lavoro) e cerca solo di conservare un po’ di coerenza e di decenza.
E non me ne sto tirando fuori, non mi sento un’anima pura.
Chi alla lotta di classe non ha mai smesso di crederci sono loro, i padroni con i loro servi e compari, che non hanno mai smesso di fare la guerra ai poveracci, una guerra spietata.
Per ricordarci che esistono delle classi, per fare un po’ di chiarezza in questa melma feisbukkiana dove tutto diventa uguale e indifferenziato, per “santificare” queste feste a modo nostro, consiglio un libro e un film.
Il libro, o meglio i libri, sono i due volumi (c’è anche il terzo in preparazione) de “Il sol dell’avvenire” di Valerio Evangelisti. Il primo: “Il sol dell’avvenire. Vivere lavorando e morire combattendo”, ambientato nell’Italia post-risorgimentale seguendo le vicende di contadini e braccianti romagnoli, si conclude con il 1900. Il secondo “Il sol dell’avvenire. Chi ha del ferro ha del pane”, sempre situato in Emilia e in Romagna, ma che, come il primo, ha un respiro più ampio, ci porta fino al biennio rosso (uno dei miei periodo storici preferiti quando andavo a scuola: che godimento quelle bandiere rosse e nere piantate sulle fabbriche e quegli operai che si impossessavano di quello che gli spettava di diritto) e al primo apparire del fascismo. La storia della vita della povera gente e delle lotte sociali e politiche in un’ottica assolutamente di classe. Senza traccia di retorica. Secondo me un’operazione storica che è sempre necessario e utile rinnovare. Storia che ci parla del presente. E poi tante donne in questi libri, donne protagoniste. Bellissimi tutti e due. Aspettiamo il terzo.
Il film è l’ultimo di Ken Loach, “Jimmy’s Hall”, storia vera ambientata nell’Irlanda rurale degli anni ’30. Storia minima, storia di una sorta di centro sociale nel mezzo delle campagne irlandesi, dove le persone si ritrovano a studiare, discutere, dipingere, ballare (sarà per quello che mi è piaciuto, in questo periodo non faccio altro che ballare). In alcune critiche al film si parla di schematismo: forse ci si riferisce anche a questa scena:
Beh, se è schematico questo discorso (per altro assolutamente attuale), allora evviva lo schematismo.
Auguri di classe a tutt*!