Parliamo di European Food Safety Authority che, nel mentre indice pubblica consultazione per la messa a punto delle linee guida in base alle quali valutare le richieste di rinnovo delle autorizzazioni per gli alimenti e i mangimi geneticamente modificati, manda avanti gli scienziati di cui si avvale a discutere intorno alle valutazioni di sicurezza circa gli ogm di nuova generazione.
Anzi il convegno sui “nuovi” ogm è di questa estate, la pubblica consultazione si chiuderà il 16 dicembre e, a quanto pare, non si farà in tempo a mettere a punto la valutazione di un rischio che già bisogna studiarne un’altra, e così via.
L’ultimo giocattolino biomolecolare è l’RNA interference; ne avevamo detto qualcosa qui a proposito della patata dei miracoli, quella con meno acrilamide e quindi con meno rischio cancerogeno, quella che si avvale di questa trovata epigenetica che l’industria biotech sta già mettendo a frutto e a mercato.
Così infatti si spiega, a margine del suddetto convegno: “L’RNAi rappresenta un importante meccanismo biologico che, con tutta probabilità, sarà comunemente impiegato per ottenere la resistenza ai parassiti nella prossima generazione di piante geneticamente modificate… Finora il conferimento di nuovi caratteri alle piante mediante la tecnologia di modificazione genetica ha comportato principalmente l’espressione di nuove proteine codificate dai cosiddetti transgeni. A queste proteine di nuova espressione si legano molte domande in merito ai potenziali rischi per la salute e l’ambiente e l’attuale quadro di valutazione del rischio potrebbe essere messo in discussione da altre tecniche di modificazione genetica, come l’RNAi. In questo approccio, piccoli frammenti di RNA, non proteine, vengono prodotti da un frammento di DNA introdotto nei cromosomi delle piante, con l’obiettivo di inibire l’espressione dei geni bersaglio nelle piante o addirittura negli organismi nocivi che si nutrono dei vegetali…”
Una bella esibizione della strategia chiodo scaccia chiodo; dal momento che: a queste proteine (quelle degli ogm “tradizionali”) si legano molte domande in merito ai potenziali rischi per la salute e l’ambiente … proviamo con altre tecniche di modificazione genetica … valà, che magari va meglio.
D’altra parte quelli della patata di cui sopra, ci tengono a specificare che la loro creatura non pone alcun rischio ambientale, non crea danno ad altre specie, e cresce come le patate convenzionali.
E’ forse meno hard, meglio della transgenesi il silenziare piuttosto che il forzare ad esprimere? Meglio trafficare con RNA piuttosto che con DNA?
Sono dubbi e domande alle quali ci si può approcciare seguendo il ragionamento che propone Evelyn Fox Keller in un recente articolo a proposito della considerazione del genoma nella post genomica.
E’ un articolo molto interessante che aggiorna una sua riflessione dopo “Il secolo del gene”, una sintesi su come la progessiva comprensione della complessità del genoma dovrebbe guidare anche il nostro pensare ed agire nel merito. Il genoma non è più un conteggio di geni che fanno le proteine insieme con un surplus di spazzatura non codificante dimenticata lì da un’evoluzione sprecona; non è più l’elemento dentro una dicotomia genetica-ambiente, o natura-cultura. Siccome abbiamo capito da tempo che gli organismi interagiscono con il loro ambiente, che le interazioni tra genetica e ambiente, tra biologia e cultura, sono fondamentali per farci ciò che siamo, dovremmo muoversi, suggerisce Fox Keller, con la consapevolezza di essere dentro un sistema squisitamente reattivo e sensibile.
Invece, nonostante queste nuove acquisizioni, si procede come se il genoma fosse ancora un’entità considerata intercambiabile ed impermeabile agli input ambientali.
Genetica o epigenetica, tutto si semplifica e si mette a frutto e prima o dopo si fa la valutazione del rischio continuando a proporre soluzioni che sono una toppa peggio del buco.
Nel caso di ogm ed agricoltura per esempio. Si continua a proporre ritrovati transgenici per sanare situazioni che derivano da colture intensive ed in sostanza da culture che non hanno mai tenuto in conto di quella complessità di relazioni ed interazioni di cui si parlava più sopra.
Del mais Mon810 e delle pressioni per coltivarlo in Friuli, abbiamo parlato diverse volte; per cambiare oggi prendiamo come esempio il Mon87460, ( in Europa consumabile in alimenti e mangimi, ma non coltivabile) creato con l’inserimento di un gene da Bacillus subtilis che gli dovrebbe conferire maggior resistenza verso gli stress ambientali come la siccità.
Il mais è una coltura che necessita di abbondante acqua, perciò una combinazione come questa potrebbe essere interessante con le prospettive cupe disegnate dal cambiamento climatico in atto.
Ma il cambiamento climatico nasce e cresce anche con la desertificazione, l’effetto serra, l’eutrofizzazione, l’inquinamento chimico; tutti elementi collegati per tanta parte all’agroindustria che ha negli ogm il suo paradigma centrale. E allora?
Non è questa, no, la soluzione del problema. Troppo semplice, troppo lineare, come una volta si pensava (e qualcun* ancora) fosse il genoma, salvo poi scoprire che miliardi di anni di evoluzione la sanno più lunga.
EFSA va veloce; deve rispondere all’industria mangimistica e sementiera.
E’ ora invece, per tutt*, di rispondere all’ambiente prima che ci bocci definitivamente.
PS: di ogm, della coltivazione del mais e dell’inquinamento da nitrati ad esso correlato si parlerà
mercoledì 17 dicembre alle ore 20,30 presso la sala conferenze di Villa Dora a S.Giorgio di Nogaro