Non ci piace l’esibizione pubblica della copia della lettera scritta da Pietro M. Di Paola prima di buttare dal settimo piano Alessandra, la sua ex fidanzata, per poi seguirla. Ci sembra una delle frequenti ostentazioni voyeuristiche che i media accompagnano a questi casi con l’unico scopo di titillare una inutile e malsana curiosità.
I contenuti di quella lettera sono comunque noti perchè riportati e commentati da molt*. Fra i tanti leggiamo di Don Mazzi che sul sito Vita dice che quella lettera è bestiale, indegna di un uomo.
Certo, Don Mazzi è un prete ed ha la sua visione del mondo nella quale colloca uomini e bestie, non importa, è un esempio per dire che a noi invece sembra che in quello scritto emerga molto di quello che gli uomini che uccidono le donne agiscono ma non dicono.
Non dicono a se stessi men che meno ad altr* perchè i meccanismi dell’autoreferenzialità che ingrippano le relazioni affettive e vedono nell’altr* una propaggine di se stessi, non sono compresi, decostruiti, razionalizzati.
Non si può superare un ostacolo che non si vede; ci si inciampa e si cade. E non finiremo mai di dire quanto una buona parte di società ipocrita e moralista continui a supportare e produrre questi ostacoli o stereotipi: trappole mentali come la rappresentazione dell’amore etero-eterno, della donna incompleta e dipendente, dell’uomo- tutto che per essere tale ha bisogno di ammenicoli vari donne comprese.
Che poi se le donne li lasciano, cadono e si rompono e capita che il vero soggetto debole sono loro.
Pietro ha scritto e descritto con lucidità l’ingranaggio in atto, le ruote dentate in cui era risucchiato e nel quale, per punizione doveva finire anche lei, origine di tutto. Lo ha descritto, non razionalizzato.
Il suo salto è stato uno sfogo. Irreversibile.
Un saluto ad Alessandra che non c’è più.