Poi tutto torna normale.
La guerra ha una sua semantica, si sa; è la propaganda, è l’inganno che costruisce il nemico, è la costruzione “morale” delle proprie ragioni.
Dell’uso bellico delle parole, ne ha parlato recentemente Baruda in questo ed in altri suoi post, a quanto scritto aggiungiamo solo, ultima vergogna di oggi i titoli di diversi tg e di alcune testate, tutti orientati a dire che Gaza sta tornando alla normalità.
Come se i morti fossero nulla, le case sbriciolate, le scuole e gli ospedali con il loro carico di bambin* bombardati fossero nulla, come se si fosse trattato di una defaillance, di una distr(u)azione cui si è posto rimedio ed ora tutto può tornare come prima, “normale”. Leggete qui e guardate la foto qui sopra.
E poi in articoli come per esempio questo, c’è forse anche di peggio, c’è questo dire che “questa è la normalità di Gaza”, come se lì la misura del dolore avesse altri parametri, in sostanza, un “valore” meno significativo.
…Chi ha ancora una casa comincia a farvi ritorno. Chi non ce l’ha più, rovista tra le macerie nel tentativo di recuperare qualcosa di utile... Evvabbè, ...il sentimento prevalente è l’entusiasmo…
Sull’altro fronte invece, scopriamo che, oltre che l’entusiasmo per i bombardamenti andati a buon fine, si può curare perfino l’estetica, perchè la sciatteria e la trascuratezza non sono belle nemmeno quando si massacra, perciò Garnier ha regalato alle soldatesse israeliane deodoranti, saponi e shampoo “per viziare se stesse anche in guerra”.
Ecco… noi Garnier: mai più.