Qualche riflessione intorno alle sentinelle clerico-fasciste e la produzione del panico sociale nel caso della Legge Scalfarotto.
di Roberta Pompili
Alcune “sentinelle” clerico-fasciste stanno attraversando il nostro paese: manifestano – in silenzio, in piedi, nel centro delle nostre città – per difendere la libertà di espressione religiosa (leggi quella integralista cattolica), di fatto per mantenere l’ordine “naturale” della famiglia eterosessuale. (Maschio-femmina- più bambin* preferibilmente bianchi).
Il pretesto per iniziare questa nuova campagna moralistica e reazionaria è stato il disegno di legge Scalfarotto: un disegno di legge sostenuto dal Pd e che in teoria dovrebbe legiferare contro l’omofobia, in linea con le leggi antidiscriminazione europee.
Di cosa parla questo disegno di legge? Ci sono forse finanziamenti pubblici, ad esempio, per introdurre nelle scuole l’educazione alla sessualità consapevole? Niente di tutto questo. Nel ddl c’è solo pena e carcere e si sa con il carcere non si cambia la cultura (normalmente anzi la si conferma, irrigidisce, peggiora). Siamo ben lontani da quelle leggi di “riforme democratiche” del Paese del periodo storico degli anni ’70, legate alle istanze incalzanti dei movimenti conflittuali e di lotta moltitudinarie, e che hanno espresso, con tutti i loro limiti, un avanzamento progressivo del Paese (divorzio, aborto). Il ddl Scalfarotto si occupa di fatto di introdurre nuove pene e questa sua “mission” è in linea anche con i recenti nefasti provvedimenti in termini di violenza di genere. Il suo intento è appunto introdurre nuovi reati nella famigerata legge sull’ordine pubblico legge Reale del 1975, già istituita per reprimere i movimenti sociali. La legge Reale si chiama Reale-Mancino perchè nel 1993 sono state introdotte da Mancino ulteriori misure repressive, in teoria con lo scopo di contenere l’odio razziale, in pratica misure repressive per rendere lo società più carcere possibile. Le norme della Mancino sono state, infatti, sperimentate prima contro i tifosi, ovvero per contenere quelle soggettività ancora ritrose e recalcitranti alle forme del controllo individualizzante neoliberale, in seconda battuta gli stessi dispositivi sono stati allargati alle aree del dissenso (chi non ricorda i daspo distribuiti a chi si impegnava nel campo dei diritti in città?)
Oggi la governance neoliberale governa, infatti, crisi e austerità a colpi di leggi paternalistico-repressive, utilizzando le differenze (di volta in volta razziale, di genere, di orientamento sessuale) e riproducendo differenzazioni dentro l’armamentario giuridico, in grado di costruire l’altro, reificarlo, modellarlo nonché produrre un immaginario allarmistico da dare in pasto al populismo reazionario e al fascismo molecolare che si annida dentro ciascuno.
Come una danza all’unisono le sentinelle neofondamentaliste locali (l’altra faccia della governance neoliberale) sono entrate in scena sfoderando il solito repertorio di propaganda. No al matrimonio gay. No all’affidamento di figli alle coppie omessuali. Si alla famiglia biologica naturale eterosessuale.
La legge Scalfarotto non tocca minimamente queste cose. Ma non importa il dado è tratto. La legge congelando le differenze dentro identità fisse e domabili se ne fa paladino. Che bello lo stato, che buon genitore, difende i gay e le lesbiche, i/le trans …
Se vogliamo soltanto accennare al fantomatico oggetto che sembra minacciare i sogni dei bigotti e delle bigotte della Vandea locale, aggiungiamo qualche osservazione sul contratto matrimoniale e alcune questioni ad esso collegato. Sono già diversi i paesi nel mondo che hanno adottato questa nuova forma matrimoniale, in Europa e nel mondo. Provvedimenti che sono stati realizzati spesso scatenando la riposta sincrona delle truppe cammellate degli integralisti. Basti ricordare la manifestazione di 2 milioni di persone in Francia.
Il contratto, matrimoniale e non, si situa dentro la storia del capitale e la sua natura performativa traccia una geometria proiettiva del dovere e del calcolo dei rischi che vengono interiorizzati soggettivamente.
Leggendo alcuni studiosi contemporanei dei queer studies possiamo ripercorre le relazioni che hanno legato i rapporti sociali capitalistici e i modelli egemoni di mascolinità e femminilità nonché i modelli di sessualità, i processi di reificazione del desiderio sessuale e la costruzione binaria delle categorie omosessuali ed eterosessuali. La privatizzazione contemporanea della sessualità in senso omonormativo si situa all’interno dell’attuale orizzonte di accumulazione neoliberista. Assistiamo alla tendenza a legare l’idea delle lotte contro “l’omofobia” con il diritto ad ottenere la possibilità sposarsi: secondo Floyd ciò costituirebbe una limitazione che serve ad assimilare, ad esempio, le pratiche omosessuali con il modello eteronormativo della monogamia e dell’ “impegno”.
Per altri versi, studiose femministe hanno mostrato come nel caso degli Stati Uniti sono state realizzate vere e proprie campagne per “promuovere” il matrimonio delle donne e delle donne povere specialmente non “bianche”: questi piani pedagogici e moralistici si coniugano con le scelte di privatizzazione dei servizi sociali, che spostano i costi del supporto per la vita di malati, giovani, anziani e dipendenti dalla rete di sicurezza sociale alle abitazioni private.
L’ipotesi di uno slittamento dei confini in termini di contratto tra due soggetti dello stesso sesso, dunque, non mette di fatto in crisi un sistema sociale che nel contratto di matrimonio stesso costruisce un suo pilastro, così come nella famiglia in quanto cellula indispensabile per le politiche di cooptazione dei soggetti nei processi di finanziarizzazione (indebitamento) e privatizzazione della riproduzione sociale.
Come ci ricorda Wendy Brown, il neoliberismo si costruisce dentro leggi e istituzioni politiche che richiedono intervento politico e orchestrazione: da una parte le retoriche che naturalizzano il mercato, dall’altra la logica sociale neoliberista che avanza attraverso il ritiro dello Stato da alcuni domini e la privatizzazione di alcune funzioni statali che non comportano uno smantellamento di governo, ma, piuttosto, costituiscono una tecnica di governo.
L’aspetto più insidioso e da mettere a fuoco, d’altra parte, ha proprio a che fare con i modelli di soggettività che tali tecniche di governo producono e comportano: i principi imperativi che sottengono a tali modelli si collocano piuttosto sul piano dell’etica della responsabilità individuale e dell’autonomia finanziaria e nulla hanno a che vedere con l’autodeterminazione sessuale ed economica.
La propaganda, la manipolazione mediatica, le politiche identitarie e la legislazione securitaria e differenziale modellano, “identificano” e normalizzano, governando le differenze e insinuandosi fin dentro i desideri e le mutande di ciascuno; specularmente – come in una macabra danza – le stesse politiche e tecniche di governo producono identità e vittime da immolare al sacro altare della famiglia ( ma anche della patria e della impresa.)
L’ordine neoliberale è dato. A noi resta il difficile compito di costruire una nuova mappa per sfidare l’ordine del mondo e veleggiare, ancora una volta, in mare aperto.