Femminismi
l’arte di morire
Categories: Malapecora

è una poesia di Roque Dalton, poeta salvadoregno dalla storia dolorosamente esemplare.
rivoluzionario, combattente, dopo aver dedicato la sua breve vita alla causa della libertá nel suo paese fu accusato di insubordinazione e ucciso dai suoi stessi compagni di lotta perché sospettato di essere una spia (non lo era: investigazioni degli anni successivi provarono che le accuse furono pilotate dalla stessa CIA).


EL ARTE DE MORIR


EL OTRO: Lo que Ud. quiere saber es, en cierto modo, el arte de morir.
EL HOMBRE: Al parecer es el único arte que hemos de aprender hoy.

FRIEDRICH DÜRRENMATT
 
Tómese una ametralladora de cualquier tipo
luego de ocho o más años de creer en la justicia
Mátese durante las ceremonias conmemorativas
del primer grito
a los catorce jugadores borrachos que sin saber las reglas
han hecho del país un despreciable tablero de ajedrez
mátese al Embajador Americano
dejándole a posteriori un jazmín en uno de los agujeros de la frente
hiérase primero en las piernas al señor arzobispo
y hágasele blasfemar antes de rematarlo
dispérsense los poros de la piel de doce coroneles barrigudos
grítese un viva el pueblo límpido cuando los guardias tomen puntería
recuérdense los ojos de los niños
el nombre de la única que existe
respírese hondamente y sobre todo procúrese
que no se caiga el arma de las manos
cuando se venga el suelo velozmente hacia el rostro
 
L’ARTE DI MORIRE
L’ALTRO: Quello che Lei vuole sapere è, in qualche modo, l’arte di morire.
L’UOMO: A quanto pare è l’unica arte che dobbiamo imparare oggi.

FRIEDRICH DÜRRENMATT
 
Si prenda una mitragliatrice di qualsiasi tipo
dopo aver creduto per otto o più anni nella giustizia
Si uccidano durante le cerimonie commemorative
di maggior grido
i quattordici giocatori ubriachi che senza conoscere le regole
hanno fatto del paese una deplorevole scacchiera
si uccida l’Ambasciatore Americano
lasciandogli alla fine un gelsomino in uno dei buchi della fronte
si ferisca prima alle gambe il signor arcivescovo
e lo si faccia bestemmiare prima di finirlo
si disperdano i pori della pelle di dodici colonnelli panciuti
si gridi un viva il popolo chiaro quando le guardie prendano la mira
si ricordino gli occhi dei bambini
il nome dell’unica che esiste
si respiri profondamente e soprattutto si provveda
a non far cadere l’arma dalle mani
quando il suolo si avvicinerà velocemente verso il volto.

 

ho letto questa poesia durante il Drag Freegan Cabaret, in un omaggio a Roque, all’insubordinazione nella sua forma piú radicale e definitiva e a tutte quelle persone che l’hanno scelta.

in un mondo in cui ingoiamo violenza fin dalla mattina – la prendiamo insieme al caffé – il suicidio è una via d’uscita dignitosa che ho imparato ad accettare non come una resa, ma come un gesto di libertá estrema.
lo dico dopo qualche anno di lacrime versate su un’assenza che mi sembra ancora insopportabile ma che sono arrivata ad accettare.
lo dico perché un lutto recente m’ha portato a riflettere ancora sul tema e a rivivere la sofferenza rinchiusa nella domanda – cosí delicatamente e decisamente posta da un amico colpito nel profondo da questa perdita
“Come ho fatto a lasciarti andare?”
è il tarlo che corrode la coscienza di chi resta. ci torni per mesi, anni.
un pellegrinaggio incessante ti riporta in tutti i luoghi della memoria in cui pensi che avresti potuto e dovuto fare meglio, nei giorni in cui non hai trovato il tempo, in abissi nei quali riconosci anche tu di aver pensato per piú di un attimo a una soluzione che ti togliesse dagli impicci di una vita che a volte è un gioco troppo duro, troppo faticoso, inaccettabile.

il dolore si espande, brucia e morde ma alla fine fiorisce e prima o poi riesci a darti pace e a perdonarti.
perché un tuo abbraccio nel momento decisivo forse non avrebbe cambiato niente, perché anche se avessi trovato il tempo, la forza di andare avanti non si condivide e non la puoi prestare e nemmeno regalare.
perchè, come mi disse una persona saggia nei giorni del dolore e del senso di colpa, era un po’ presuntuoso da parte mia, pensare che avrei potuto cambiare qualcosa.

eppure è certo che qualcosa possiamo fare, noi che ancora abbiamo la vita tra le mani e qualche carta da giocare.
aver cura dei nostri spazi facendoli accoglienti guardandoci a vicenda con amore quando riconosciamo il disagio; costruire una rete di affetto viscoso fatta di attenzione e cura, non delegando tutto alle strutture di famiglia e coppia.

non dobbiamo aver paura di volerci bene e di dircelo, ogni tanto.

e scusate se sono breve e banale.
era solo un modo per dirvi che Vi voglio bene.

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