Oggi ci siamo imbattute in questa notizia che abbiamo indagato andando alla cronaca in originale.
Accade in Texas, ma può accadere dappertutto, purtroppo. E’ accaduto diverse volte e se ne è parlato anche in Italia che una donna incinta, per una causa o un’altra, sia dichiarata cerebralmente morta (e, secondo la norma e la scienza in materia, morta), ma tenuta in vita perchè sia portata a termine la gravidanza o comunque perchè si raggiungano condizioni sufficienti alla vita del feto ed alla sua nascita pilotata.
La vicenda del Texas, di Marlise, è netta; non dovrebbe lasciare spazio a disquisizioni perchè il marito testimonia che lei non avrebbe voluto essere tenuta in vita con le macchine; lo stesso sostiene anche la madre; perciò la logica vorrebbe che Marlise, dichiarata morta, fosse lasciata andare.
Di fatti il marito, nel rispetto della sua volontà, chiede il distacco dai supporti vitali.
Titola in modo osceno Giornalettismo: “Togliete la vita a mia moglie incinta” e messa così sembra che quell’uomo ne chieda l’omicidio; un’aberrazione giornalistica, al di là della quale occorre vedere un’aberrazione ancora più grande che è quella legislativa perchè la legge anche laddove riconosce il testamento biologico o una dichiarazione di non rianimazione, non riconosce nessuna volontà personale ad una donna incinta perchè la priorità va data al mantenimento in vita del feto nel corpo della madre, di conseguenza la madre deve essere tenuta in vita in funzione del feto. L’incubatrice di carne.
E questo, lo sappiamo non succede solo in Texas. Figuriamoci nel paese di Eluana Englaro.
Analizza bene la situazione Caterina Botti in questo pezzo tratto da Madri cattive. Una riflessione su bioetica e gravidanza Il Saggiatore, Milano, 2007.
Ecco, tutti i discorsi su libertà, dignità, rispetto, parità, bla bla delle donne, si infrangono qui.
Un corpo che non ci appartiene da morte, non ci è mai appartenuto del tutto nemmeno da vive.