Sono stati un paio di giorni di iniziative intense, alle quali abbiamo collaborato e partecipato: i presidi di solidarietà con Maurizio Alfieri e la commemorazione di Romano il Manzìn, (anche qui) e poi c’è oggi, le considerazioni intorno allo sfoggio di retorica e ipocrisia politica nel cinquantenario della strage di stato del Vajont (anche qui).
Qui sotto una raccolta di emozioni, sensazioni e pensieri che sono pienamente anche i nostri.
CON I RIBELLI DI TUTTI I TEMPI NEL CUORE!
Lunedì sera, 7 ottobre, abbiamo festeggiato il centesimo compleanno di Gelindo Citossi, nome di battaglia “Romano il Manzin”, rivoluzionario, coraggioso, iracondo, fantasioso e generoso partigiano gappista, comandante “anarchico” della tribù selvaggia dei Diavoli Rossi, artefice dell’assalto alle carceri di Udine del 7 febbraio 1945, grazie al quale furono liberati da via Spalato 70-80 prigionieri tra politici e comuni, compresi i torturati, perchè i partigiani non abbandonano mai i feriti al nemico, anche a costo della propria morte. Purtroppo le donne prigioniere non riuscirono a fuggire perchè trattenute dalle monache (siano maledette quelle monache)!
L’abbiamo festeggiato a San Giorgio di Nogaro, il paese dove è nato (a Zellina) e dove avrebbe voluto essere seppellito, se non gli fosse toccato di scegliere l’esilio in Jugoslavia per “non morire in prigione”; il paese che non l’ha mai riconosciuto e ricordato degnamente perchè sono prevalsi gli interessi di Stato, perchè la nomenclatura del PCI del dopoguerra ha preferito rimuovere o addirittura denigrare la sua figura “Diversi combattenti, soprattutto comandanti, si sono seduti sulle loro sedie, infischiandosene di coloro che gliele hanno conquistate…Ormai tutto è passato, i tedeschi non ci sono più, i fascisti non si possono muovere, e loro – parassiti – vivono alle spalle del popolo senza dare alcun utile” diceva giustamente in Manzin nel 1956.
L’abbiamo festeggiato perchè era un ribelle, un uomo con un esistenziale senso della giustizia e della solidarietà, un ribelle che sognava la libertà della vita, la possibilità per i/le proletar*, per gli/le oppress*, per gli/le sfruttat* di una vita degna di essere vissuta.
La sua persecuzione politica e giudiziaria inizia il 5 maggio 1945 con l’uccisione del cane di un ufficiale inglese, il Manzin ha l’incarico di arrestare un fascista di Porpetto, ma si imbatte in questi ufficiali inglesi che prendono in giro dei bambini affamati e dopo aver promesso loro dei biscotti li danno in realtà a questo cane. Romano potrebbe far finta di nulla e proseguire con il suo incarico ma il suo cuore batte in sintonia con quello dei bambini crudelmente sbeffeggiati dai militari inglesi e allora non resiste, fredda il cane (non potendo sparare agli ufficiali) e prosegue per la sua strada.
In seguito viene arrestato ma non accetta questa sua condizione “Vierz se no spachi su dut!”dice ad Arno, compagno partigiano messo di guardia alla sua prigionia a Palmanova, e poi tenta la fuga dal carcere di Udine e da quello della Giudecca a Venezia. Infine viene assolto, ma persino nel giorno del suo matrimonio con Gemma i carabinieri gli consegnano il foglio di via da Udine e gli intimano di andarsene. Le sue fughe e ribellioni non gli giovano, anzi peggiorano la sua situazione, ma lui risponde solo alla sua coscienza, non ad ordini di superiori o ad opportunismi, quindi paga fino in fondo per il suo istinto di libertà e per la sua insubordinazione alle gerarchie. Gli sbirri non perdonano, ma nemmeno i burocrati della Repubblica nata dal tradimento della lotta partigiana perdonano.
Lunedì mattina, 7 ottobre, abbiamo festeggiato e incoraggiato la resistenza di Maurizio Alfieri, onesto rapinatore di banche, ribelle impenitente, forza della natura che si contrappone al sistema carcerario, ai danni del quale si teneva presso il Tribunale di Udine, la prima udienza di un processo/ rappresaglia per una faccenda accaduta con un collaboratore di giustizia.
Abbiamo conosciuto Maurizio quando era prigioniero a Tolmezzo ed era entrato in contatto con un compagno NoTav perchè entrambi, spontaneamente e fraternamente, avevano reagito a difesa di un giovane maghrebino pestato dalla squadretta punitiva dei secondini.
Maurizio ha subito ritorsioni di ogni genere, è stato messo in isolamento per un tempo spaventosamente lungo, ha perduto molte possibilità di sconti di pena (previsti dal meccanismo premiale/punitivo dell’efferato sistema penale dello stato italiano), ma non hai mai rinunciato a denunciare i soprusi, le violenze, le ingiustizie che si consumano all’interno delle galere contro i detenuti, soprattutto contro i soggetti più deboli e vulnerabili e contro quelli che non si piegano al sistema perverso della delazione e della rassegnazione.
Maurizio ci ha detto: “Non bisogna avere paura di andare fino in fondo anche se in fondo c’è l’inferno!” Nell’aula del Tribunale che lo processava, ha scandito a viva voce “Viva l’anarchia!”.
Oggi 9 ottobre si ricordano i 50 anni dalla strage di Stato del Vajont e noi ricordiamo e ci sentiamo vicin*, affin* e solidali con la compagna Tina Merlin, proletaria, partigiana , donna libera e ribelle che denuncia per prima la catastrofe che si sta costruendo e che non viene creduta ma anzi denunciata dai padroni della SADE e dai loro gendarmi per procurato allarme. Tina che non aveva paura di niente e che viveva a perdifiato la sua lotta per la verità, la giustizia e l’autodeterminazione dei territori e delle persone che li abitano.
Con gioia e riconoscenza pensiamo a Romano il Manzin, a Maurizio Alfieri, a Tina Merlin, perchè la loro radicalità e il loro coraggio ci danno la forza di continuare a lottare anche nei momenti più difficili, con rabbia e disprezzo pensiamo ai loro persecutori, ma tanto hanno poco da fare, perchè non ci arrenderemo mai!
anarchiche e anarchici friulan*