Piangere per il Vajont.
“Resterà un monumento a vergogna perenne della scienza e della politica”; questo scriveva Tina Merlin nell’introduzione al suo libro “Sulla pelle viva”; un monumento a vergogna perenne che proprio la politica e la scienza, a cinquant’anni dalla catastrofe cercano di occultare, di agghindare con frasi fatte e retorica d’occasione.
A lavarsi mani faccia e coscienza nelle acque che sommersero Longarone, Erto e Casso e tutti i loro abitanti.
La storia del genocidio del Vajont è, purtroppo, una storia da manuale; non a caso Tina Merlin al suo libro mette il sottotitolo: “Come si costruisce una catastrofe – il caso Vajont”.
Leggiamo qualche pezzo del libro e ci chiediamo: cosa è cambiato? Oggi forse, si procede diversamente?
Leggiamo qui: “E intanto la gente cosa sapeva? Il Comune di Erto e Casso era stato informato che sul suo territorio una Società privata poteva rubargli l’acqua per costruire, proprio ai piedi del paese, un grande lago artificiale? Gli era stato chiesto il permesso? Se n’era discusso in consiglio comunale? C’era stata qualche delibera? Era stato domandato ai piccoli proprietari degli appezzamenti agricoli che dovevano andare sommersi se accettavano di vendere i terreni alla SADE? Fino al 1948 no. Tutto era stato studiato, progettato, detto e scritto all’insaputa dei diretti interessati.” (pg.33).
Prima si fanno i progetti, se ne calcolano gli utili, e poi si calano sul territorio e sulle persone che lo abitano. Non è forse questo lo stile di sempre?
Poi leggiamo qui: … “bisogna convincere i contadini a vendere”, poi, quando “il braccio di ferro con i proprietari diventa più duro”, la SADE tira al ribasso e rifiuta di incontrarsi con il Comitato popolare che intanto si è formato perchè tanto, “prima o poi farà valere il diritto della ‘pubblica utilità‘, magari con i carabinieri… i padroni non possono vivere senza i gendarmi, pubblici o privati che siano”.
Così, a Erto si installa la nova caserma dei carabinieri. “… I carabinieri arrivano quindi al momento giusto e nel 1956 sono agli ordini della Sade per ammonire contadini restii a vendere le loro terre, per sfrattare famiglie dalle case che non vogliono abbandonare…” (pg.37)
e poi qualche pagina più avanti: …”Mentre la valle è tutta un cantiere i contadini del Toc sono più che mai in agitazione. La Sade ha cominciato a costruire la strada senza autorizzazione governativa. Ha fatto la domanda e tanto basta. Va avanti col tracciato e quando ha finito su una proprietà scava in un’altra, spara mine davanti alle case di abitazione. Insomma, espropria di fatto man mano che avanza, per far capire ai contadini che non c’è niente da fare, con le buone o con le cattive dovranno cedere. Gli ertocassani sono inferociti. Una mattina un contadino esasperato affronta i tecnici della Sade brandendo un’accetta: ‘se fate ancora un passo sul mio vi ammazzo tutti’, urla disperato. I carabinieri lo prelevano e lo denunciano per minaccia a mano armata. Nessuno ha mai denunciato la Sade per i suoi soprusi, né per aver iniziato a costruire la strada, la diga, il bacino senza avere in mano i permessi di legge.” (pg. 55)
E chissà perchè ci viene in mente la protesta e la resistenza della Val di Susa; l’esercito a protezione del cantiere, la formula della “pubblica utilità”, sempre buona, oggi come cinquant’anni fa, la dura repressione su ogni tipo di contestazione e di dissenso…
Poi leggiamo di tutta le sequenza di perizie e controperizie, di allarmi sulla reale tenuta di tutto l’impianto poggiato su una zona dalle caratteristiche franose, -che non a caso il nome Toc significa marcio-, e delle relazioni degli specialisti in geosismica che lavorano per la Sade per i quali invece “il basamento del monte è costituito da un potente supporto roccioso autoctono e… niente paura, lo spessore eventualmente franabile è della modesta entità variabile fra i 10 e i 20 metri di superficie…”; (pg.67)
leggiamo di tutte le piccole frane e scivolamenti attribuiti opportunisticamente a normale attività sismica, leggiamo di un criminale piano di occultamento ed inganno perseguito con tenacia e lucida delinquenziale follia lucrativa dalla Sade che deve arrivare all’appuntamento con la nazionalizzazione con il costrutto finito per avere un buon conto da presentare al nuovo proprietario: l’Ente Nazionale Energia Elettrica (ENEL) e quindi allo Stato…. e poi, “…quando sarà passato allo Stato la montagna può anche cadere…”
Cadrà.
Sotto la responsabilità di uno Stato proprietario ….”di un manufatto pericoloso, che conosce poco e male perchè gli è stata nascosta la verità, non l’ha voluta conoscere, si è fidato del monopolio e dei suoi tecnici e consulenti illustri, ha coltivato e tollerato dentro i suoi ministeri uomini corrotti e doppiogiochisti…” (pg. 101)
Vogliamo parlare di corrotti e doppiogiochisti di oggi? No, lasciamo perdere che le inchieste intorno alle grandi opere si sprecano. Ci aggiungiamo solo la mafia, che allora, almeno là non c’era.
E i/le giornalisti/e?… Tina Merlin, assieme all’allora direttore de “L’Unità” fu citata in giudizio per aver “scritto e pubblicato un articolo ‘portante notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico e precisamente la sussistenza di un grave pericolo per la esistenza stessa del paese di Erto a ridosso del quale si stava costruendo un bacino artificiale di 150.000.000 di metri cubi d’acqua, che un domani erodendo un terreno di natura franosa potrebbe far sprofondare le case nell’acqua‘” (pg. 73)
Ecco, oggi questi/e giornalisti/e non ci sono più; “L’Unità” ed il partito di riferimento, lasciamo perdere …; ci sono invece diversi/e, lì a sostenere, esaltare le grandi opere, come allora fu la grande diga, che si avvalgono oggi come ieri del Sade Style diventato stile nazionale né più né meno.
Nel cinquantenario anche il locale Messaggero Veneto, considerato che il portale Vajont è stato oscurato, ne ha realizzato uno suo, una collezione mediatica che corrisponde un po’ al turismo della memoria e che, come l’antifascismo, restano niente se la memoria non viene attualizzata.
Che ci dice un Zaia, che vuole il Tav -opera, più volte ed in più sedi ribadito: di pubblica utilità- le cui modalità di realizzazione e strategie di convincimento della popolazione renitente poco si discostano da quelle messe in atto per la grande diga-, quando dice che nella cerimonia commemorativa del 9 ottobre ci dovrebbero essere le più alte cariche dello Stato perchè sarebbe una buona occasione per chiedere scusa?…
Che ci dice il presidente dell’ordine dei geologi che si presenta sugli schermi del tg nazionale e locale a dire che mai più ecc. ecc. quando, ci risulta, nulla disse sul progetto di scavare 22 km di galleria in ambiente carsico per la linea Av/Ac Trieste-Divacia?
Che sono lì ad ammettere gli errori di ieri che tanto fu qualcun altro a farli; che sono lì a fare tanto facile, quanto vergognosa retorica; foglia di fico di un sistema che non è cambiato di una virgola, che per le catastrofi ambientali ed umane che si annunciano oggi, domani nessuno di loro chiederà scusa.
Il Vajont non è stata una catastrofe solo per l’immane numero di vittime, lo è stato anche per il furto di terra, di lavoro, di libertà di quelle popolazioni, lo è stato per lo scempio recato alla montagna,
perchè vittime sono i/le morti/e ma anche i/le vivi/e derubati/e del loro l’ambiente, costretti a sfollare, ad andare altrove in luoghi senz’anima.
Non tutte le grandi opere generano morti, ma talune sono mortali in sé.
E poi, come suggerisce Tina Merlin, la storia di quella notte nasce prima, ma, crediamo, solo se si mettono a fuoco e si cambiano tutti quei “prima”, solo allora, si potrà dire onestamente “mai più”.