Alla “Festa degli Indiani” andiamo partecipando in modo più o meno attivo dalla sua origine, nel 1992, anno dell’esaltazione della conquista dell’America, festeggiata in Italia con l’oscena kermesse delle Colombiadi.
La festa è una festa, ma per noi è anche una nuova trama; quest’anno il nostro filo ideale, che nasce sempre nel ricordo del genocidio degli indiani d’America, dei popoli nativi come contrapposizione a tutte le colonizzazioni, interseca, intreccia, annoda per contiguità altre colonizzazioni.
“Mio il corpo, nostra la terra” è la frase ripresa da una delle magliette che si fanno nel movimento de* resistenti della Val Susa; è una meravigliosa sintesi, con un significato in più quando indossata da una donna o da ogni altra persona che viene aggredita per le sua appartenenza di sesso e di scelta sessuale.
Perchè vorremmo che la trama ci portasse ad annodare nei fili il pensiero per le donne morte di femminicidio e la solidarietà per le vittime di violenza sessuale e per ogni genere di aggressione sessista.
Dalla nostra trama tagliamo via i rami secchi del giustizialismo ottuso; quello che per contrastare quella violenza chiede pene più severe e più carcere, quello che rappresenta la donna sempre con l’occhio nero e fa i riti in piazza con le scarpe delle morte, ci piange un po’ su e poi va a casa.
In una società cattiva come sempre, e forse anche di più.
No, la nostra trama batte il tamburo. Forte batto il tamburo / forte batte il mio cuore / i miei nemici sono avvisati. E’ un frammento di una poesia dei Nez Percè, gli indiani dell’Oregon, poi confinati nell’Idaho, poi, con l’avanzata dei coloni ed il ritrovamento dell’oro, cacciati anche da lì verso le riserve, ma mai senza combattere, mai senza resistere, mai senza lottare.
Ma si lotta quando si è forti di amore verso sé stess*; una forza che non si può sviluppare se il messaggio che arriva di continuo è che essere vittima è il tuo destino.
La nostra trama sconfigge il destino e lo converte in scelta, si tesse con donne che hanno imparato ad essere ribelli a quello che la società ed il patriarcato ha costruito per loro perchè la prima autodifesa è avere amore per sè.
La nostra trama si tesse nell’autodeterminazione, impara a disimparare.
… “Ho detto a me stessa, io ho nella mia testa cose che non somigliano a quelle che mi sono state insegnate – forme ed idee così vicine a me – così naturalmente conformi al mio modo di essere e di pensare che non mi è mai capitato di mettere su tela. Ho deciso di iniziare da capo, di cancellare quello che mi è stato insegnato.”
E’ Georgia O’Keeffe che parla, sua è l’immagine che abbiamo scelto per condurre questa trama, lei e gli animali che furono prima di lei, la vita e la morte in una terra che i colonizzatori hanno chiamato NewMexico; da lì vengono tanti dei suoi colori, lì ha battuto il suo cuore. Lì ancora indiani Pueblo, Navajo e Apaches vivono nelle riserve a ricordare l’antica libertà. Loro era la terra.
E poi, forse, di tutt* in condivisione, rispetto e sintonia. Così non è.
Battono i NoTav contro le reti del cantiere, batte il cacerolazo per i diritti negati, battono i/le detenuti/e sulle sbarre delle galere, battono i/le clandestini/e sulle inferriate dei CIE, salgono i NoMuos sulle antenne contro ogni nuova colonizzazione e battiamo e ribattiamo noi donne che non si esce dalla violenza senza autodeterminazione …
…ogni battuta è una risonanza,una vibrazione nei fili che si intrecciano nella trama della quale vorremmo rivestire la nostra libertà.
Dumbles-feminis furlanis libertaris agosto 2013
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