Film di Enzo Rizzo, realizzato con il contributo di tante persone che lo hanno finanziato attraverso la piattaforma Produzioni dal Basso, qui sottotitolato anche in inglese, qui sottotitolato anche in inglese, è una narrazione scandita dalle sonorizzazioni di Antonio Mainenti, da una brava cantastorie (Matilde Politi), interviste, cronaca di quello che è avvenuto, fino alla fotografia di una resistenza sulla quale passano sopra forze dell’ordine, militari, poteri di vario tipo. Due siti dai quali attingere notizie su No Muos e le puntuali ricostruzioni di Antonio Mazzeo sulla militarizzazione in Sicilia. Dal suo sito potete apprendere anche dell’ultimo Stop al Muos da parte della Sapienza, tecnici, università, enti locali, mentre a Palermo c’è stato un ulteriore rinvio della decisione del Tar a proposito del ricorso che il governo nazionale ha fatto alla revoca delle autorizzazioni per la costruzione/installazione antenne Muos firmata dal Presidente della Regione Rosario Crocetta.
Nonostante la revoca però, a quanto pare, come si vede dal video di Manolo Luppichini, che ha già realizzato Fratelli di Tav e ora sta documentando la resistenza NoMuos [QUI o in basso potete vedere vari estratti video del documentario L’alba a Niscemi], i lavori sarebbero continuati ed è per questo che presidi e le iniziative da parte degli attivisti e della attiviste sono andate avanti.
Anche il Movimento NoMuos, come il NoTav o il NoDalMolin, subisce repressioni, criminalizzazione, dove le denunce arrivano se fai un cacerolazo, se resisti in presidio, se assieme ad altre donne fai barriera umana a mezzi e convogli, se pratichi disobbedienza civile, se varchi i confini di un territorio colonizzato e sottratto alla popolazione locale, se rivendichi il diritto alla salute, se, come in occasione della celebrazione dello sbarco degli americani a Gela, dici che di quello sbarco e della conseguente colonizzazione realizzata dagli americani che hanno reso la Sicilia una mega base militare buona per i loro progetti di guerra, non hai poi questa gran bella opinione.
Niscemi è un paese in provincia di Caltanissetta, quasi 28.000 abitanti, situato in collina, a pochi chilometri da Gela, vive di agricoltura (i carciofi!), terziario, lavoro in fabbrica. Venti minuti di macchina per arrivare all’Enichem, motivo per cui l’insediamento niscemese tanti anni fa è diventato meta di persone in cerca di lavoro. Dalla parte opposta trovi Caltagirone, cittadina famosa per le sue ceramiche, poi c’è Piazza Armerina, con i suoi mosaici, Vittoria e il territorio vicino, con le serre e le coltivazioni ortofrutticole, Catania dove in tanti/e vanno all’Università. Poco più in là c’è Comiso, già sede della base Nato, poi smantellata, quella con i missili, contro la quale manifestammo in tanti/e.
Nelle giornate di bel tempo, quando i fumi dell’Enichem non lo rendono impossibile alla vista, dal Belvedere puoi guardare il mare della costa gelese e un po’ più in là distingui altri paesi della provincia. Hobby di chi ci vive è il passeggio serale, soprattutto nei fine settimana, ma non c’è un cinema, il teatro spesso è organizzato in parrocchia, un solo istituto superiore, il liceo scientifico, con aree sperimentali magistrale, tecnico, linguistico.
La storia di quel posto è fatta di azioni di ribellione. Negli anni ’80 e ’90 si sparava per le strade a tutte le ore per via di una faida mafiosa che faceva vittime su vittime e determinava un coprifuoco nella popolazione. Uno degli affari della mafia siciliana erano gli appalti e quel che si dice è che quegli ottocento ettari di sughereta, un’area sottratta alla riserva di contrada Ulmo, dati agli americani per farci la Base Nato, diventarono oggetto di spartizioni e accordi tra i vecchi alleati di sempre. Di quanto in comune avessero americani, mafia e stragisti neri, tutti ben intenzionati, tra una Portella della Ginestra e l’altra, a fermare le proteste della gente comune per ricavare soltanto legittimazione ad una retorica aggressiva contro il pericolo comunista, vi racconta perfettamente lo storico Giuseppe Casarrubea.
In territorio niscemese la posa della prima pietra della base avvenne in presenza di sindaco, rappresentanza ecclesiale, militari d’alto grado degli Stati Uniti, personalità locali. Erano giusto gli anni delle sparatorie in piazza e delle faide. Qualcun@ disse e scrisse già allora che la ditta che ricevette il subappalto per la realizzazione della base fosse in odor di mafia (il titolare della ditta smentisce; il libro L’Impresa Mafiosa di Umberto Santino e Giovanni La Fiura, a cura del Centro Documentazione Peppino Impastato, invece, racconta di appalti siculi spesso assegnati a cooperative rosse emiliane e poi ceduti in subappalto a imprese locali in odor di mafia). I militari che via via arrivarono restavano invisibili. Quel che vedevi dall’esterno di una enorme area recintata erano solo tante antenne e delle piccole casupole.
Erano gli anni delle battaglie pacifiste, ma anche quelle antimafia, le lotte per la salute e il rispetto dell’ambiente incrociavano tutto questo perché i carciofeti venivano innaffiati con l’acqua inquinata, la stessa distribuzione d’acqua, che nel paese arrivava ogni venti giorni, poi arrivò dal dissalatore di Gela che era a gestione Enichem, dove si disse fossero state rintracciate concentrazioni di arsenico troppo alte. Di come nel tempo è stata problematica la gestione dell’acqua in quella zona lo intuisci dal fatto che sopra i tetti di tutte le case niscemesi vedi le vasche di raccolta da riempire quando l’acqua corrente arriva. D’altronde l’acqua, anche in quell’area, è sempre stato un affare da privatizzare e lo dimostra la presenza di una diga totalmente inutilizzata (puoi trovarci i pesci gatto) che non ha dato acqua a nessuno, ed è stata realizzata a colpi di tangenti e business tra quelli che “la mafia dà lavoro”.
La cittadina niscemese ha avuto i suoi anni di rivolta in quel tempo in cui vedevi ragazze e ragazzi andare a fare la cosa più trasgressiva di tutte: seguire i consigli comunali, quei consigli fatti di notte, decisioni prese in modalità non esattamente lecite, al punto che la giunta niscemese, la stessa presente negli anni di costruzione della Base, fu sciolta per mafia nel 1992. E’ del ’92 la decisione della regione siciliana di ratificare la legge sulla trasparenza sugli atti amministrativi perché prima di allora andare a chiedere visione di atti, delibere, cose di interesse pubblico, equivaleva a “non farsi i cazzi propri”, con relativo carico di minacce e intimidazioni da parte di chi era parte del gioco di spartizione dei vari appalti.
Nel territorio niscemese, a parte la questione dell’inquinamento, la mancanza d’acqua, un ospedale in cui dovevi portare le lenzuola e a momenti anche il materasso per un ricovero, a parte una gestione veramente casareccia della cosa pubblica, quel che regnava fino alle successive amministrazioni Liardo e poi Di Martino, erano le opere incompiute. Tante case popolari in periferia lasciate totalmente in rovina, scuole mai finite, un palazzetto dello sport strapagato in vari lotti, consulenze esterne incluse, del quale potevi vedere solo quattro pilastri di cemento armato e una superficie con un avvallamento al centro perché di sotto pare ci fosse un cimitero.
Se non si conosce la storia di dignità, orgoglio e riscatto civile e sociale di questa gente che via via si è ribellata e ha recuperato spazio, facendosi largo tra guerre di mafia e minacce, tra l’espropriazione di territorio e di diritti, per riuscire oggi perfino a tornare a rivendicare quegli ottocento ettari di terreno svenduti agli americani, non capisci perché tra i volti dei manifestanti scopri i pacifisti di allora, i compagni e le compagne del Forum Sociale Antimafia, le donne che alternano la gestione della famiglia all’attivismo, i sindaci che arrivarono dopo gli scioglimenti per mafia dei comuni, tanti/e eredi di questa storia fatta di piccole e grandi rivoluzioni private e pubbliche, quelle persone belle che raccontano la difficoltà di esistere in una terra difficile, dove quel che è garantito a tutti/e diventa una meta complicata da raggiungere, dove chi vi abita ha dovuto guadagnarsi il diritto di studiare, vivere, abitare, lavorare, esistere, amministrare, concepire la cosa pubblica in quanto pubblica e restituire alla gente quel che è della gente, dove le storie, quiete eppure rumorosissime, si incrociano tra giornate dell’acqua che diventavano occasione magica per reinventarsi il presente, tra terrazze piene di mandorle da sbucciare, olive da salare, carciofi da mettere sulla brace, pomodori da seccare al sole.
Se non conosci la lunga storia che porta ad oggi non capisci quanto sia importante il totale rovesciamento di prospettiva che riguarda la maniera in cui le forze dell’ordine giusto in quella terra realizzano da un lato autolegittimazione sulla base della tutela che fornirebbero ai cittadini vittime di prevaricazioni e abusi da parte della mafia e dall’altro intervengono a reprimere la rivendicazione autonoma di quegli stessi cittadini proprio nel momento in cui si oppongono alle speculazioni fatte sulla propria pelle.
Avete presente quel che vi raccontano quando parlano di forze dell’ordine impegnate alla sconfitta del fenomeno mafioso? Nella mia terra vanno di moda le celebrazioni di eroi, giudici e militari, dell’antimafia, molto ma molto meno di eroi della resistenza civile spesso proprio osteggiati da membri delle forze dell’ordine che hanno stretto accordi con le mafie locali e hanno contribuito a depistamenti non da poco (pensate a Peppino Impastato, a Pippo Fava…), e la cosa fondamentale che non si dice quasi mai è che in realtà sono morti in tanti proprio nel momento in cui si scontravano con interessi economici e/o militari precisi. Per esempio: i funzionari di polizia che tentavano di dare un volto ai colpevoli delle stragi, ribattezzate poi “disastri” in virtù dello spirito santo, venivano trasferiti, degradati, accusati di essere visionari e folli. Le varie voci al servizio del marketing istituzionale dell’antimafia compiono infatti delle omissioni atroci e avendo piena cognizione del fenomeno non posso che dire che non mi sconvolge sapere di come e dove si arresta il grande latitante rozzo e campagnolo, quello che dà l’idea di una mafia folkloristica, quando in realtà la vera mafia sta nelle istituzioni e si spartisce soldi, appalti, mentre specula su tutto, privatizza la nostra sanità, la gestione dello smantellamento dei rifiuti, la costruzione di scuole, strade, ponti poi realizzati con cemento impoverito e che puntualmente crollano. Le mafie le trovi dappertutto, non hanno coppola e lupara e stanno privandoci di beni, diritti, vita e respiro…
E insomma, tanto altro ci sarebbe da dire. Mi fermo qui. Godetevi anche questi pezzi di documentario L’alba a Niscemi di Manolo Luppichini.