di Panta Fika
Anche in Brasile è saltato il tappo e la protesta sociale si è riversata nelle strade di San Paolo, Belo Horizonte, Brasilia, Rio de Janeiro. Leggo da Repubblica che la miccia è stata accesa dal rincaro dei trasporti pubblici e dalle spese per i mondiali di calcio giudicate eccessive. In Turchia gli alberi, in Brasile il costo dei mezzi pubblici e, magari, anche quelle spese per i mondiali giudicate eccessive, stando a Repubblica, cioè, ritenute tali, poi non è mica detto che lo siano. Mi chiedo se Repubblica ignori, o finga di ignorare, che le proteste contro lo smantellamento del villaggio indigeno di Maracanà per le grandi opere dei mondiali di calcio sono in atto almeno da alcuni mesi e riguardano, a Rio de Janeiro come a Istanbul, la gentrificazione di un’area da cui vengono espulsi gli indigeni per far spazio a nuove infrastrutture, architetture commerciali e spazi legati agli eventi sportivi. In Brasile la risposta del governo è stata espressa nella stessa lingua di Erdogan, cioè quella militare, non solo del manganello, ma anche dei proiettili di gomma e dei gas urticanti. E’ accaduto già qualche mese fa, nonostante sembri che non se ne sia accorto nessun@. Neanche le tette al vento di una Femen, che solitamente destano un gran clamore, erano riuscite ad attirare l’attenzione mediatica sullo sgombero atroce di Maracanà.
Già nel passato novembre il movimento copa pra quem?/mondiale per chi? aveva lanciato una petizione online contro lo smantellamento del villaggio indigeno Maracanà e aveva indicato chiaramente le ragioni della sua protesta
MONDIALE PER CHI?
1° dicembre alle ore 13 concentramento davanti all’Occupazione di Rua Mauá n° 3
SIAMO CONTRO LE VIOLAZIONI DI DIRITTI CON IL PRETESTO DELLA COPPA DEL MONDO
- Contro gli incendi nelle favelas! Sgomberi e sfratti: nessuna politica abitativa – Opere che neppure sono state discusse con la popolazione – militarizzazione della città, sterminio della popolazione di colore, povera e emarginata da parte dello Stato criminale – espulsione e violenza contro la popolazione di strada – ogni forma di internamento coatto – persecuzione e divieto del lavoro ambulante – aumento dello sfruttamento sessuale delle donne, LGBT, bambini e adolescenti – precariato nei cantieri – uso del denaro pubblico a favore di imprese edili, sponsor e FIFA – superindebitamento dello Stato – chi pagherà questo conto?
SIAMO CONTRO LA TRASFORMAZIONE ELITARIA DEL CALCIO: LO SPORT E’ DEL POPOLO!
- Contro la criminalizzazione delle tifoserie organizzate – repressione nei confronti dei tifosi e degli ambulanti – uso deviato delle risorse per lo sport in favore della FIFA e della CBF ( = federazione calcistica brasiliana) – biglietti cari, stadi privi di tifosi – mancanza di trasporti pubblici per servire chi va allo stadio, tariffe abusive – divieto al commercio di alimenti popolari e bevande nei dintorni negli stadi – proibizione di bandiere, striscioni e strumenti musicali sugli spalti – partite a orari folli a esclusivo beneficio delle TV e che danneggiano i tifosi.
Sgomberi e sfratti, nessuna politica abitativa, militarizzazione della città, espulsione e violenza contro la popolazione di strada, precariato, uso del denaro pubblico a favore di imprese edili, sponsor e FIFA, superindebitamento dello Stato….se facciamo uno sforzo e riusciamo ad allacciare almeno un paio di neuroni, non ci dovrebbe risultare poi così difficile vedere che gli elementi che da tempo ribollono in Brasile, nel silenzio dei media, ci restituiscono una realtà che ha più di qualche tratto in comune con la nostra. E’ una realtà disegnata dai processi di accumulazione neocapitalista in atto, quei processi contro cui è insorta una moltitudine ostinata e resistente in Turchia invocando, attraverso i graffiti di piazza Taksim uno smash neocapitalism, save Gezi che lascia poco spazio a fraintendimenti. La vulgata comune sulla rivolta in Turchia insiste a tamburo battente sulla matrice islamica del governo di Erdogan, limitando la questione ad una difetto di democrazia del governo turco, aggravato dal conservatorismo islamico. Invece con la socialdemocrazia di Dilma Rousseff adesso come la mettiamo?
Panta Fika