Leggo il sempre ottimo Daniele Sensi che continua a documentare i leghismi italici a tutto tondo. L’ultima che annota è di una signora, di verde politicamente vestita, che riferendosi alla ministra Kyenge, non so per quale motivo tirata in ballo ad ogni crimine commesso da uno straniero, scrive “ma mai nessuno che se la stupri, così tanto per capire cosa può provare la vittima di questo efferato reato…“.
Ho sempre detto, in generale, che l’idea stessa di “unire” le donne contro la violenza sulle donne è una enorme sciocchezza. Le donne evidentemente non sono tutte uguali, non hanno la stessa sensibilità e ci sono donne di destra che battono sul tasto dell’emergenzialità dei delitti contro le donne perché emergenzialità si traduce in securitarismo, contro i migranti o comunque in senso autoritario e liberticida.
La questione della violenza sulle donne è un problema culturale e la cultura da cui attinge è anche quella di cui si fa veicolo inconsapevolmente questa signora che immagina corretto riferirsi ad uno stupro nei confronti di una donna come fosse uno strumento di comunicazione politica delle idee.
Tra l’altro non è neppure la prima volta che lo stupro viene evocato come veicolo di comunicazione di una “idea”, se così vogliamo dire. “Stupratele che tanto poi abortiscono” dissero due donne dell’estrema destra contro donne che si opponevano alle posizioni destrorse sulla ru486.
Ci sono quelle che per fare capire meglio il concetto, se per caso non sei d’accordo sulle soluzioni che propongono, che so, in termini securitari, ti augurano addirittura che sia stuprata tua figlia, tua sorella, una parente prossima, perché la drammaticità di un così grave evento sembrerebbe l’unica cosa utile per dire con chiarezza una cosa:
– io mi occupo di violenza sulle donne mentre tu sei dalla parte dei violenti; (un dejà vù!).
Per non parlare di quelle che si occupano di bambini e pedofilia o pedopornografia. Ricordo di una parlamentare di centro destra che augurò, credo a Giglioli, che il figlio incontrasse un pedofilo sul web affinché lui capisse quanto pericolosa potesse essere la rete.
E dunque se non ti capita non capisci. Io posso dire con cognizione di causa che la maggior parte delle violenze accadono per mano di italiani/e. Che la rete altro non è se non un mezzo di trasmissione e comunicazione di massa di umori e culture presenti tra la gente. Che la sorveglianza e il securitarismo anti immigrati o le cacce alle streghe con relative demonizzazioni in generale sono davvero atteggiamenti parecchio medioevali e che sono molto solidale con la Kyenge non solo perché so perfettamente quanto la questione della violenza sulle donne sia utilizzata in chiave antimmigrati ma anche perché quando io oso un ragionamento non securitario sul fenomeno più o meno mi arrivano gli stessi insulti.
Una sedicente antisessista mi disse una volta che “tu non hai subito violenza perché altrimenti saresti d’accordo con me“. Non lo disse così ma fu assai più cafona. Il punto è che se non mostri le ferite e non porti le stigmate del martirio non sei comunque neppure legittimata a parlare. Dunque invito tutte, incluse quelle che ora sono indignate per questa frase rivolta alla Kyenge, a considerare che quell’atteggiamento è assai diffuso e serve a delegittimare donne che non sono allineate in un senso o nell’altro.
Non facciamo perciò l’errore che fa questa signora o chiunque come lei. Il problema non è relativo alla sua derivazione politica ma ad una evidente e più generale cultura che orienta il dibattito sulla violenza sulle donne in senso autoritario, chiunque e di qualunque etnia ne sia l’oggetto. Il corpo delle donne, la violenza sulle donne, è usata per accreditare idee di qualunque tipo. E chi resta fregat@, alla fine, è proprio chi la violenza l’ha subita. Le donne che hanno tanto da dire e da raccontare perché l’hanno elaborata, superata, vinta, risolta. Le donne come me.
Ps: qualcun@ poi mi dica se quando parliamo dello stupro come punizione ideologica o come arma di guerra e repressione si tratta di cose diverse.