Deve esser questa la logica dell’uccidere e poi bruciare, forse.
Punire una persona perchè i suoi sentimenti o le sue azioni non sono quelle desiderate e previste, poi cancellare lei, cancellare i segni della punizione, cancellare la storia e guardare al futuro, ad altre persone, ad altre storie.
Tutto questo a sedici anni. La cronaca è questa. Lei si chiamava Fabiana e i sedici anni li avrebbe compiuti il 13 giugno.
E c’è sempre da chiedersi da dove vengono gli input.
Perchè in un’età così breve c’è stato poco tempo per elaborare, tutto si assorbe, fluisce, si fruisce, si consuma; facile, come in un gioco che si pensa possa durare.
Da adulti invece, se si arriva all’ammissione di colpa si passa per il suicicio, dopo aver ucciso la donna che dice “no”, ci si suicida.
Tutto, pur di non ammettere un futuro alla persona che si ritiene di appartenenza. Che desolazione!
C’è evidentemente un meccanismo perverso in azione, un meccanismo profondo che noi abbiamo sempre identificato nell’atavica cultura patriarcale ma che riesce ad alimentarsi e riprodursi continuamente nella modernità del banale, in tutte le stronzate pubblicitarie sull’amore, nelle frasi oscene come quelle di questo titolo, in tuttta quella sommatoria di minchiate che paradossalmente assolutizzano un sentimento e nel contempo ne banalizzano la soluzione irreversibile come il femminicidio.
Perchè abbiamo la sensazione che uccidere donne venga così facile?