Femminismi
Per fermare la tratta bisogna legalizzare il lavoro sessuale
Categories: Femminismo a Sud

Vi proponiamo la lettura di questa intervista realizzata da Nuria Alabao per Cosecha Roja ad Agustina Iglesias Skulj, femminista e dottore in diritto penale in Argentina. Essa ci offre una lucida lettura delle politiche europee, nordamericana e argentina, in tema di tratta, immigrazione e prostituzione; fa un accenno alle origini della posizione abolizionista; suggerisce qualche strumento che permetta da un lato di lottare contro il traffico di esseri umani, dall’altro di non sottrarre diritti umani alle persone.

Le note esplicative sono mie. L’intervista originale, in lingua spagnola, si trova qui.
La traduzione è stata realizzata da me, con accurata revisione finale di Lafra, attraverso il laboratorio linguistico di Femminismo a sud.

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Agustina Iglesias Skulj: “Per fermare la tratta bisogna legalizzare il lavoro sessuale”

di Nuria Alabao, per Cosecha Roja.

Agustina Iglesias Skulj è femminista e dottore in diritto penale. Dalla prospettiva della criminologia critica si occupa di migrazioni e tratta sessuale, due fenomeni che, come spiega in questa intervista, sono intimamente relazionati. E’ appena tornata in Argentina dopo aver vissuto alcuni anni in Spagna e il suo ritorno ha coinciso con la sentenza del processo per la scomparsa di Marita Verón (1) e l’approvazione della nuova legge sulla tratta. Questa nuova legislazione le ha dovuto far modificare alcune parti del libro che era in procinto di pubblicare: “La tratta delle donne con finalità di sfruttamento sessuale: una approssimazione politico-criminologica e di genere”. In esso critica fortemente lo sguardo abolizionista del lavoro sessuale e spiega che la sua legalizzazione è un requisito imprescindibile per lottare contro la tratta.

Rispetto alla sentenza in giudizio per scomparsa di Marita Verón, considera, come si è detto nei media, che sono state sottostimate le testimonianze delle vittime perché erano lavoratori/trici sessuali?

 

Secondo la sentenza i testimoni non sono attendibili perché si contraddicono. Ad esempio ci sono donne che dichiarano di aver visto Marita in due luoghi distinti nello stesso momento. Tuttavia, in questi casi capita spesso che vi sia un pregiudizio notevole riguardo il fatto che le prostitute siano state o meno vittime di tratta, dal momento che non ricadono nel ruolo della vittima ideale. Secondo il pensiero patriarcale loro stesse si sono messe in quella situazione e implicitamente “accettano” lo sfruttamento sessuale al quale sono sottomesse e per questo la loro parola non gode di sufficiente credibilità.

In questo caso e in altri di tratta sessuale di donne, è necessario rompere con i binomi con i quali si investiga e si giudica: le stigmatizzazioni che sono associate alla prostituzione – prodotto di un regime patriarcale che divide le donne tra sante e puttane – sono tra i principali impedimenti nel momento in cui interveniamo per prevenire e punire lo sfruttamento sessuale.

Il caso di Marita Verón è stato paradigmatico nella costruzione dell’immagine della vittima di tratta che può essere chiunque, indipendentemente dalla sua classe sociale o condizione esistenziale: lei non si era mai dedicata al lavoro sessuale, non era di classe sociale bassa, non era nemmeno un’immigrata. E questa è un po’ l’immagine che molte persone hanno della tratta ora: che nella maggior parte dei casi è frutto di sequestri e che che pertanto ci colpisce tutti allo stesso modo.

In generale la tratta, e per questo si chiamava ‘delle bianche’ quando sorse alla fine del XIX secolo, è sempre stata avvolta da molti miti. Il movimento delle donne si occupò del problema a partire da quella immagine: giovani povere bianche e innocenti che erano sequestrate, drogate e obbligate a esercitare la prostituzione in altri paesi. Ciò che questa immagine nasconde sono i fattori complessi che ne stanno alla radice: un momento di flusso migratorio femminile intenso, la femminilizzazione della povertà, il cambiamento dei modelli famigliari. Così come delle relazioni di genere profondamente diseguali.

Dall’altro lato, la tratta, invece di essere analizzata attraverso tutti questi fattori, si costruisce mediaticamente a partire da storie commoventi di donne innocenti che nulla hanno a che vedere con il lavoro sessuale. A nessuno viene in mente che una migrante interna o internazionale – che molto spesso è una madre nubile con figli a carico – di fronte alle opzioni che le offre il mercato del lavoro, in accordo con il livello educativo al quale ha avuto accesso, può vedere il lavoro sessuale come una opzione appetibile. Una opzione che fornisce flessibilità sufficiente per poter coniugare il lavoro e la maternità, e che le offre una migliore remunerazione rispetto a qualsiasi altra occupazione che può scegliere. Di questo non si parla mai ed è questo ciò di cui dobbiamo parlare.

Per questo a volte nel caso di tratta sessuale, come nella tratta in generale, ciò che si produce sono condizioni di sfruttamento lavorativo. Come riferito dai rapporti nel paese (Argentina, ndt), il rapimento non è un elemento tipico nonostante sia l’immagine più estesa. Normalmente c’è un raggiro, ti offrono un lavoro e dopo si rivela essere sfruttamento sessuale o lavorativo. E’ simile a ciò che accade con la manodopera clandestina o con le donne sfruttate nelle mansioni domestiche.

Ciò che di buono c’è in Argentina rispetto ad altri paesi, soprattutto dell’Unione Europea, è che è stata data molta importanza alla lotta contro la tratta del lavoro. In Spagna, Regno Unito e Italia, dove la questione è soprattutto  un tema di sicurezza e controllo delle frontiere, l’approccio è completamente diverso. Si usa la tratta per impedire l’immigrazione irregolare e poter espellere e sanzionare con la scusa di star proteggendo le vittime. Inoltre la differenza è che qui in Argentina la tratta è fondamentalmente un problema di migrazione interna.

Possiamo quindi affermare che la maggior parte delle donne sfruttate nella tratta sono donne che hanno optato per il lavoro sessuale?

In realtà non si sa. Non ci sono dati. E’ un tema complesso. La cosa priva di senso è identificare tratta e prostituzione come succede a volte e che semplifica un tema molto complesso.

A partire da questo errore si è accelerata l’approvazione della nuova legge sulla tratta che indurisce le pene e stabilisce misure destinate a garantire i diritti delle vittime. Che valutazione dai di questa legge?

E’ rischioso fare una valutazione della legge in astratto, bisognerà aspettare che inizi ad essere applicata e vedere come le diverse misure vengono attivate. Ora è possibile fare alcune precisazioni.

In primo luogo, la legge pone l’accento su un aspetto fondamentale che è la tutela dei diritti umani delle vittime, offrendo una serie di garanzie per rendere effettiva questa tutela. Questo è un aspetto molto positivo. Allo stesso modo è positivo il ruolo fondamentale che si dà alla formazione dei distinti attori che vanno a intervenire in ogni momento. E’ imprescindibile che si garantisca la protezione delle vittime, altrimenti, tutti gli sforzi che fa lo Stato argentino saranno infruttuosi. Altrettanto importante è che non si perda di vista che il concetto di prevenzione deve abbracciare politiche strutturali di diritti economici e sociali – con una prospettiva di genere – che influiscano sui fattori di vulnerabilità delle donne.

Tuttavia la modifica degli articoli del Codice Penale sulla prostituzione, che realizza questa legge, non mi sembra del tutto felice. Il modello argentino fu dall’inizio abolizionista-regolamentarista. Ossia, la prostituzione non è proibita, ma si criminalizza tutto ciò che ruota intorno ad essa, con maggiore o minore intensità a seconda dell’epoca. La regolamentazione da luogo ad una oppressione disciplinata e facilita le condizioni di sviluppo dello sfruttamento sessuale o lavorativo delle donne, giacché apre il campo alla corruzione politica e alla clandestinità.

Dalla nuova redazione dell’articolo 125 bis del Codice Penale, si può dedurre che si persegue la criminalizzazione dei clienti. Questo è stato un punto fondamentale di rivendicazione dell’abolizionismo: senza clienti non c’è tratta. Sebbene la norma non faccia loro allusione direttamente, con alcuni dei verbi usati, tali quali: “promuovere” o “facilitare”, bisognerà aspettare e vedere l’applicazione che di essa faranno i giudici. Giacché a causa della sua ambiguità, con essa si potrà giungere a sanzionare i clienti.

In quella stessa sessione in cui si approvò la legge, alcuni legislatori si sono fatti portavoce della richiesta di criminalizzazione del cliente, nonostante non si è arrivati ad approvarla direttamente. Quest’anno sono state proibite anche le pubblicità che riguardano il commercio sessuale. Crede che questo tipo di misure contribuiscano a combattere la tratta o la disuguaglianza di genere?

I paesi che hanno applicato il modello abolizionista, quale è il caso paradigmatico della Svezia, non hanno ottenuto il risultato sperato di evitare la “vendita del corpo delle donne” e di avere una società con maggiore uguaglianza di genere.

In Svezia già dal 1999 si criminalizza tutto il contesto della prostituzione, non solo il prossenitismo. Questo ha portato alla clandestinità, rendendo maggiormente indifese le persone che si dedicano a questa attività, comprese quelle che sono costrette. Con la criminalizzazione dei clienti si generano nuove forme di offerta e di acquisto dei servizi sessuali, si ricorre a luoghi meno visibili e si usano altre risorse come internet, ma non per questo smettono di esistere.

Queste misure espongono le donne a maggiori livelli di vulnerabilità, le quali non possono chiedere aiuto ai loro clienti – come molto spesso accade in questi casi – giacché loro stessi stanno commettendo un delitto. Sono stati realizzati alcuni studi, come quello dell’Istituto di Criminologia dell’Università di Stoccolma, che analizzano tutti gli effetti negativi che sono derivati dalla entrata in vigore di questa legge. Grazie a questi studi risulta chiaro che sebbene la prostituzione non sia diminuita in modo rilevante in questi anni, è senza dubbio aumentato il contagio dell’HIV, giacché le organizzazioni che distribuivano i preservativi ora non possono più farlo. Così come nessuno può prestare altro tipo di assistenza alle lavoratrici sessuali. Sono anche aumentati i livelli di marginalità e di stigmatizzazione per quelli – tanto donne, come uomini e trans – che trovano nella prostituzione un mezzo di sostentamento. Ossia, la principale conseguenza è un maggiore livello di vulnerabilità dei soggetti che in origine si cerca di proteggere.

Invece, in quei paesi che hanno optato per un modello di legalizzazione del lavoro sessuale come Germania e Olanda, accordare diritti a queste donne migliora le loro condizioni di vita, evita la collusione della polizia e le dosi di violenza e discriminazione di cui soffre questa collettività. Se questo favorisce le politiche sulla tratta, io credo di sì. Perché se si stabilisce uno statuto autonomo di lavoro, sarà più facile individuare le situazioni di sfruttamento e le questioni relative al consenso che adesso confondono la volontarietà di dedicarsi alla prostituzione con l’accettazione di situazioni di sfruttamento. Dotare di diritti un collettivo ha sempre effetti migliori rispetto all’annullamento della sua autonomia e della sua capacità organizzativa.

Negli ultimi tempi in Argentina si stanno avanzando proposte che riguardano la possibilità di formare cooperative di lavoratrici sessuali, nelle quali loro stesse possano essere guida e amministratrici del loro lavoro. Non parlo di regolamentazione, parlo di legalizzare e normalizzare il lavoro sessuale, affinché le donne che scelgono questa attività la possano sviluppare nelle migliori condizioni. L’idea dell’impossibilità di scegliere la prostituzione, posizione dalla quale parte l’abolizionismo, deriva da una concezione della libertà strettamente liberale. Ma nessuno è “libero” in questo senso di fronte al sistema di lavoro capitalista, nessuno sceglie liberamente il proprio lavoro o le condizioni dello stesso. Siamo onesti, mettiamo più forza nella protezione del lavoro di queste donne, invece  di continuare a perpetuare la loro stigmatizzazione favorendo la precarizzazione della loro vita e dei loro diritti. Credo che questo sia un passo fondamentale che devono fare i femminismi. Perché non mettiamo lo stesso impegno nel porre fine alle situazioni di sfruttamento nel lavoro domestico o manifatturiero?

C’è un argomento a favore della proibizione della prostituzione il quale sostiene che: se esiste consenso in alcune occasioni – nell’esercizio della prostituzione – questo comporta un problema alla ora di condannare la tratta, giacché le donne sono forzate a dire che acconsentono. La legalizzazione sarebbe davvero un impedimento alla persecuzione della tratta?

Questo approccio in realtà pregiudica le donne. Lo Stato ha i mezzi per perseguire lo sfruttamento, indipendentemente dal consenso o no della persona. In realtà c’è un principio del diritto il quale dice che nessuno può acconsentire a violazioni dei diritti umani. Quello che succede è che l’abolizionismo sta ripetendo le stesse cose da 120 anni, ma questo non le trasforma in verità.  La verità è che vincolare la lotta contro la prostituzione attraverso la prevenzione della tratta di persone ha conseguenze negative per la stessa lotta contro la tratta.

Primo si persegue meno la tratta lavorativa. Secondo, si banalizza la questione della tratta. Terzo, si toglie autonomia e capacità di decisione alle donne che realmente optano per il lavoro sessuale.  Infine, non c’è una legalizzazione del lavoro sessuale e pertanto l’unica cosa che si fa è stabilire una pratica di governo distinta sulla prostituzione, ma che non colpisce per niente la tratta.

Dall’altro lato non è vero che se c’è la volontà di dedicarsi al lavoro sessuale questo costituisca un impedimento a provare la condizione di tratta. Il consenso deve essere articolato con la vulnerabilità. Affinché il consenso non costituisca un ostacolo al perseguimento del delitto di tratta, si potrebbe adottare la modalità dell’inclusione di mezzi commissivi descritti nel delitto: inganno, intimidazione, violenza, abuso di una situazione di vulnerabilità, ecc. I due elementi si escludono a vicenda. Non è necessario invertire l’onere della prova, cioè, non bisogna dimostrare che non vi fu consenso della vittima, bisogna provare i mezzi illeciti.

Il problema maggiore è la stigmatizzazione di queste donne. Bisogna uscire dal modello vittimologico attuale per il quale la donna che è vittima deve dimostrare di essere immacolata per poter essere considerata una vera vittima. E’ come quello che accade nei casi di stupro o di violenza domestica, dove le domande di chi investiga finiscono prima o poi per accusare la vittima di aver indossato determinati vestiti o di avere certi “atteggiamenti”. Non bisogna insegnare alla donna a non mettersi una minigonna o a restare sottomessa, bisogna insegnare a non stuprare, a non picchiare.

Rispetto all’attuale dibattito sulla tratta, quali misure potrebbero  essere più efficaci per combatterla?

E’ una questione complessa, ma qualsiasi azione intrapresa deve tener conto della prevenzione. Una prevenzione intesa in senso amplio, con politiche che combattano le disuguaglianze di genere, politiche, economiche, sociali, educative, che diano opzioni reali alle donne. Ossia, bisogna creare meccanismi e disporre risorse affinché il mercato del lavoro non stabilisca condizioni lavorative assimilabili alla schiavitù ed evitare che si favoriscano spazi in cui prosperi la tratta. Alcune misure che possono aiutare a prevenire e individuare in modo più efficace la tratta di persone, sarebbero: una progressiva diminuzione del livello di lavoro nero, la regolarizzazione delle attività delle donne che lavorano in casa, maggiori opportunità educative e lavorative, e il riconoscimento della prostituzione come lavoro.

Per i casi di tratta internazionale le politiche di immigrazione dovrebbero mirare a fornire meccanismi di regolarizzazione che impediscano lo sfruttamento della manodopera migrante. Anche cercare di evitare che le persone debbano ricorrere a reti, più o meno organizzate, che facilitino loro l’ingresso o l’ottenimento di un lavoro, giacché questo comporta la assunzione di debiti per poter cominciare il progetto migratorio.

Nell’ambito della repressione del delitto bisognerebbe incaricarsi della formazione di tutti gli attori che devono rilevarlo, creare programmi che evitino la rivittimizzazione e volgere lo sguardo alla corruzione della polizia per evitarne l’impunità.

Quali modelli penali si stanno utilizzando in Argentina per lo sviluppo di questa legge e a quali si ispirano o da dove provengono?

Un esempio di paese abolizionista sono gli Stati Uniti d’America che assieme all’Argentina, sono sempre stati paesi che hanno ricevuto un notevole flusso migratorio femminile sin dall’inizio del XX secolo. Negli Stati Uniti la prostituzione è direttamente criminalizzata – salvo che in Nevada e in alcune altre località – e ciò non ha impedito lo sviluppo di questa attività né la tratta di persone.

Tuttavia, gli Stati Uniti sono diventati un controllore delle politiche contro la tratta in tutto il mondo, giacché realizzano annualmente un rapporto informativo sui vari paesi e impongono sanzioni di carattere economico e di altro tipo a quei paesi che non ottemperano ai criteri da loro stabiliti. Questa politica di carattere interventista è simile alla lotta contro la droga, della quale conosciamo bene i risultati in America Latina. Vale la pena notare che gli Stati Uniti d’America non vengono classificati in questi rapporti. Si è denunciato nella letteratura accademica e nell’ambito politico il loro carattere arbitrario. Chi controlla il controllore?

Hai studiato l’applicazione del piano spagnolo contro la tratta. Che conclusione ne hai tratto?

Le mie prime ricerche sono state sull’Unione Europea e in particolare la Spagna, dato che ho fatto la mia tesi di dottorato e la mia ricerca post-dottorale lì. Per riassumere e correndo il rischio di generalizzare, sono tutte negative. Nel 2008 fu elaborato un Piano di lotta contro la tratta a scopo sessuale delle donne, che si è estesa fino a quest’anno. I risultati non potrebbero essere più nefasti. Questo si spiega, almeno, per due questioni:

In primo luogo, perché la lotta contro la tratta si sviluppò nel contesto della lotta contro l’immigrazione irregolare, che ha costituito un obiettivo primario di sicurezza fino a quando è sopraggiunta la crisi economica. Lo Stato spagnolo parte dalla premessa – non verificata né verificabile – che il 95% delle prostitute sono migranti e che tutte sono obbligate a esercitare la prostituzione e pertanto, tutte sono vittime di tratta sessuale. Quando si confonde, come in questo caso, la questione dell’”insicurezza” nazionale con la protezione dei diritti umani, non può venirne nulla di buono. E infatti il difensore civico spagnolo (2) non ha mai smesso di denunciare le irregolarità occorse durante i procedimenti polizieschi per “identificare e riscattare” le vittime, che in generale erano migranti irregolari che finivano per essere espulse dal territorio ed esposte a nuove vittimizzazioni.

Le misure legali disposte per ottenere un permesso di soggiorno per le vittime, pur essendo state contemplate, non hanno mai funzionato. La maggior parte di queste persone sono irreperibili – cosa che è è stata denunciato da molte ONG che lavorano in quest’ambito –

Una questione non da meno è che in Spagna non si è fatto nulla sul tema della tratta lavorativa, come se il mercato che ha maggiormente beneficiato dello sfruttamento lavorativo dei migranti irregolari nell’ultima decade non esistesse.

Il risultato del Piano è stato soffocante e ha acuito la vulnerabilità delle donne, esponendole a situazioni ogni volta peggiori di violazione dei loro diritti umani. Al posto di disporre dei meccanismi di aiuto e assistenza ciò che si è conseguito è il controllo dell’immigrazione irregolare e la sottomissione ad accettare condizioni lavorative di sfruttamento nell’ambito domestico, agricolo e tessile. Ad esempio mai si è fatto niente rispetto al grande numero di donne, latinoamericane o africane, che si dedicano alle attività di cura nell’ambito domestico, che hanno salari miseri è con lunghissime giornate lavorative senza nessun tipo di controllo.

Sappiamo che il lavoro femminile in generale è precario, privato e sfruttato. Cosicché quelle che optano per il lavoro sessuale, perché in questo modo ottengono maggiori riscontri e condizioni più accettabili, vengono criminalizzate ed espulse. Le altre “le donne perbene” che per la loro “tenacia, dedizione e castità” come valori prototipicamente “femminili”, soffrono condizioni di sfruttamento lavorativo permanentemente invisibilizzate ma sono meno perseguite.

In Argentina per fortuna, con l’entrata in vigore della legge 26364 e adesso con la riforma, sin dall’inizio si è data uguale rilevanza alla persecuzione della tratta lavorativa e sessuale. In secondo luogo reputo che si sia preteso di dare priorità alla protezione dei diritti umani rispetto alla questione securitaria del controllo dell’immigrazione irregolare.

Come favoriscono la tratta le politiche di controllo dell’immigrazione?

Le politiche di controllo dell’immigrazione irregolare peggiorano e rendono sempre più fragile la vita delle e degli immigrati, che devono ricorrere ad altre persone perché gli facilitino il “passo” con documentazioni false o attraverso forme clandestine, o per accedere a un impiego. Il fatto di essere un migrante irregolare rende più vulnerabili anche perché bisogna accettare condizioni lavorative peggiori e con minore aspettativa rispetto a quelle “legali”.

Le conseguenze di un sistema che produce irregolarità è la mancanza di diritti, la quale cosa serve anche come minaccia nel processo della tratta. Vale a dire che i trafficanti minacciano di denunciare lo status di irregolarità della vittima. Questo status di irregolarità gli impedisce di denunciare o ricorrere alle autorità a causa del fatto di essere “non-cittadini”. Questo si è visto chiaramente negli ultimi dieci anni nel disegno delle politiche migratorie dell’Unione Europea, che ha introdotto misure restrittive dell’immigrazione, che tuttavia non hanno impedito lo spostamento degli immigranti, ma hanno generato gruppi di persone senza diritti, più vulnerabili allo sfruttamento lavorativo e sessuale.

Nel tuo lavoro analizzi su quale concezione di sessualità si fondano i meccanismi di lotta contro la tratta da una prospettiva storica; quale apporto può dare questa prospettiva e quali sono le principali conseguenze di queste costruzioni?

La tratta delle bianche inizia in un momento nel quale si sono istituite una grande quantità di regolamentazioni a proposito della prostituzione nelle colonie. Nelle colonie francesi e inglesi, con grande affluenza di uomini lontani dalle famiglie, quello che si è fatto è stato regolare: stabilire una serie di esami medici e controlli dei luoghi per evitare la diffusione delle malattie veneree. Dalle colonie queste leggi passano alla Francia e all’Inghilterra, quello che chiamiamo: sistema regolamentarista. Di contro a questo si ebbe una reazione da parte dell’abolizionismo: una posizione opposta alla regolamentazione della prostituzione, perché formalizzava lo sfruttamento sessuale delle donne e che era favorevole alla sua proibizione. Questa posizione fu spinta dalle donne di classe alta o borghese che avevano un profilo filantropico, di beneficenza, e che volevano aiutare queste donne “cadute”. Questo momento coincide con una crisi economica in Europa, con la guerra e quindi, con  l’emigrazione delle donne che già si dedicavano alla prostituzione nei loro paesi di origine e che andavano a occuparsene nei paesi di destinazione. Ad esempio a Buenos Aires, che fu una delle maggiori destinazioni della prostituzione in quel momento. Dunque ciò che fece il movimento filantropico delle donne, le quali muovono dall’assunto che le donne sono sempre obbligate e non hanno volontà propria, è mettere in relazione questo fenomeno con il traffico di schiavi. Allora, partendo dalla sensibilità internazionale rispetto al traffico degli schiavi, la denominarono come tratta delle bianche.

Ma l’abolizionismo non ha mai ottenuto, con i suoi più di cento anni di esistenza, la fine dello sfruttamento sessuale delle donne o della prostituzione e, al contrario, l’unica cosa che ha prodotto questa politica sono livelli più elevati di stigmatizzazione, precarizzazione dell’esistenza e perpetuazione di un modello di donna di carattere patriarcale, dove la sessualità è sempre un campo di dominio dell’uomo e mai può vedersi come l’espressione autonoma delle donne.

In Argentina  dopo il colpo di stato del ’30 si ebbe la strana combinazione di una certa libertà femminile della classe alta unita con valori conservatori. Questo esercizio filantropico consisteva nella trasmissione di valori morali come la tenacia, l’impegno e il lavoro, di contro alle “cadute”, che ottenevano denaro dalla propria “degradazione” morale nella prostituzione. La costruzione della “donna” si servì sempre del proprio rovescio: la puttana. Non a caso è l’insulto più usato contro noi donne ed è una forma di disciplinamento che per sua naturalizzazione e ripetizione si rende praticamente invisibile.

Il movimento femminista internazionale ha appoggiato il riconoscimento dei diritti umani di tutti e tutte. Tuttavia, quando si tratta di riconoscere alle lavoratrici sessuali i loro diritti o la loro organizzazione, torna a ricadere in espressioni di sessualità tradizionale, moralizzante e patriarcale. Dobbiamo, necessariamente, non solo rispettare le decisioni delle donne, ma lo Stato deve proteggerle e dotarle di diritti, come stanno facendo in altri paesi Evo Morales e Rafael Correa.

 

(1) Marita Verón è una giovane donna di 23 anni argentina, sequestrata a scopo di tratta di persone con finalità di sfruttamento sessuale, il 3 aprile del 2002. Le motivazioni della sua scomparsa sono state sostenute da diversi testimoni in sede processuale. Il processo, iniziato nel febbraio 2012 e conclusosi nel dicembre dello stesso anno, ha visto l’assoluzione di tutte le persone accusate, perché i testimoni non sono stati ritenuti credibili.
Da più parti la sentenza è stata contestata, pubblica indignazione hanno manifestato i media, le organizzazioni e la gente. In ragione dell’indignazione popolare il ministro della sicurezza della provincia di Tucumán (luogo di origine di Marita) si è dimesso due giorni dopo la sentenza.

(2) Il/la difensore civico spagnolo, è un’istituzione che tutela i diritti fondamentali e le libertà pubbliche della cittadinanza, per le quali può supervisionare le attività di amministrazione e gli organismi che gestiscono i servizi pubblici, in tutto il territorio nazionale, e delle delegazioni amministrative spagnole all’estero che attendono ai cittadini spagnoli.

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