Premessa: stavo per lasciare un commento a questo post di Abbatto i muri “Proposta di Manifesto per una Rete tra compagni/e: chiunque tu abbia votato!”, poi ho visto che mi stava scappando la mano e ho pensato fosse meglio riportare tutto il mio ragionamento sul blog invece di sfoltirlo per adeguarlo alla dimensione commento.
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Dal mio punto di vista questo è un ragionamento molto di “cuore” (o di pancia) in cui si cerca di toccare le corde di tante sensibilità. Il problema è che anche questa è una forma di comunicazione, qual è quindi la sostanza che traggo? Che bisogna guardare tutti insieme al futuro, “al mondo nuovo”, tutti compagni e compagne in nome dei bei tempi. Il fatto è che io di compagni che hanno votato grillo non ne conosco, ma anche fosse sono pure un po’ cazzi loro. Il problema per me non è chi voti ma perché voti, di fatto non sono mai stata una grande sostenitrice de “il fine giustifica i mezzi”, e poi non riesco a non tenere presente che la democrazia che ho visto io da quando sono nata ha portato tante persone a votare sempre per il meno peggio, salvo af-fascinati dai vari “unti del signore”, “celodurismi”, o salvatori della patria o del popolo. Il fatto che ci siano scazzi e discussioni a me sembra normale, pacifico, essenza del fare politica. La cosa effettivamente impressionante sono i termini della stessa: in questa situazione di caos, di scarse prospettive, di vero analfabetismo di ritorno in cui non ci si capisce sulle parole, sui significati, sui riferimenti storici ci si urla addosso aggrappandoci spaventati a quelle due certezze semplici semplici che ci siamo scelti.
Mi risulta tuttavia difficile cascare nell’onda nostalgica del post. Perché la militanza è politica, (eh sì esiste politica fuori dal parlamento), è lotta, è dialettica, esperienze e scambi positivi, di crescita, è critica e poi è anche scontro, idee diverse e mosse sporche. Le molte fratture o risse a cui ho assistito in assemblee, occupazioni e movimenti vari forse potevano passare per secondarie perché vissute perlopiù in una dimensione territoriale, ma non nascevano certo per nobili principi: fratture e scazzi per tentate egemonie sono da sempre parte della militanza stessa, e fanno pure abbastanza schifo. Immaginare i compagni e le compagne un blocco unico, unito, affiatato e solidale è infiocchettare la realtà. Non penso proprio che questo sguardo vintage della militanza ci restituisca direzione e senso. Soprattutto non con l’intento di fare un passo indietro e “ritrovare noi stessi”, i militanti che eravamo. Se crisi deve essere che crisi sia e usciamone, ma diversi, imparando qualcosa. Magari imparando che le fratture che indeboliscono sono quelle che emergono dalle classifiche di importanza tra le lotte, e che ne pongono la maggioranza ai margini; quelle che passano dalla divisioni di ruoli dentro i movimenti stessi, tra leaderismi machisti e manovalanza esclusa dalle decisioni o manipolata per il suo consenso. Egemonia, smania di controllo e bisogno di crearsi la propria roccaforte di potere da sempre sono parte e distruzione stessa dei movimenti che ho conosciuto io nei miei anni di militanza.
Oggi tuttavia mi sembra che tutto questo problema tra militanti antifascisti e grillini nasca in seno allo strumento stesso scelto (da Grillo e co) per consumare lo scontro, prima ancora che per l’accaparramento del potere tra parti. Ciò che provoca la frattura o la rissa sul web è prima di tutto il mezzo stesso. Il dibattito via web, frammentario, organizzato per feudi e spazi di potere controllati (e monetarizzati) creano terreno fertile per i dibattiti sterili e gli insulti. L’appiattimento è tangibile e per chi fa comunicazione politica dovrebbe essere altrettanto evidente. Si cercano messia, fazioni e poi si difendono a spada tratta, in un ragionamento esclusivamente dicotomico e autoreferenziale, l’unico che permette il botta e risposta alla fb (spazio di cui non smetterò di pentirmi di aver utilizzato per la diffusione di questo blog stesso), in cui vince chi ne esce martire. Le critiche non sono più parte della dialettica ma lese maestà e come tali vanno schiacciate, bannate, azzittite o denigrate. E questo lo facciamo o l’abbiamo fatto tutt*, perché se scegli di usare una bicicletta come mezzo potrai solo pedalare; personalmente credo che l’intento del “volemose bene” in questo contesto (quello virtuale), lascia un po di amaro in bocca perché prova a sovrapporre il piano del reale a quello del virtuale, cercando di far confluire la positività dell’uno (o la sua rappresentazione positiva) nell’altro. Penso che senza proposte e lavoro concreto nel piano del reale, senza una militanza effettiva, capillare e territoriale, per rinsaldare conoscenze, rapporti di fiducia, reti, costruendo nuove lotte che tengano alla base l’intersezionalità delle stesse e tenendo magari a freno le smanie egemoniche che sempre ho incontrato nei contesti militanti, attraverso un dibattito circolare e non dicotomico, dal solo virtuale non potrà arrivare molto. L’idea di cittadinanza virtuale propugnata dal programma del movimento 5 stelle che rimane oscura ai più io l’ho immaginata come il tentativo di spacciare per positiva la partecipazione di tutti al dibattito virtuale: ma se il dibattito virtuale così come è stato sviluppato porta solo a fratture, individualizzazione e auto-promozione allora è una grande trappola che spazzerà via qualsiasi idea di rete e solidarietà reale.
E infine per rispondere alla richiesta di creare un manifesto di una rete tra i militanti rispondo che prima bisogna creare la sostanza, ossia rinsaldare e creare alleanze, rivedere priorità, pratiche e dinamiche e poi possiamo anche parlare di manifesti. Le reti di fiducia, di rispetto, di mutuo soccorso, di collaborazione non nascono dalle parole o da dichiarazioni di intenti in registro evangelico, ma dalle azioni e dal mettere in circolo la prova delle stesse. Mi rendo conto che non sarà facile invertire la rotta della nostra fase storica in cui la comunicazione politica è diventata più importante della politica stessa, anche nel rapporto tra compagn*, ma cavalcare questa onda sperando che facendone parte si modifichino le cose dall’interno è pensare che questo sistema sia intrinsecamente positivo anche se mal governato.