Femminismi
Due poete a confronto: intervista di Adrienne Rich a Audre Lorde

Ascolta il Minipimer – la maxi trasmissione in cui leggiamo la seconda parte dell’intervista di Adrienne Rich ad Audrie Lorde. Traduzione a cura di Flavia [dura 46′]
Qui la prima parte.
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Intervista di Adrienne Rich a Audre Lorde (30 agosto 1979) – seconda parte:

Adrienne: Come si collega, secondo te, l’insegnamento alla scrittura?
Audre: So che l’insegnamento è una tecnica di sopravvivenza. Lo è per me e credo lo sia in generale; è l’unico modo in cui si può imparare. Io stessa stavo imparando qualcosa che mi serviva per continuare a vivere. Era come fare lezione a me stessa ad alta voce. Tutto cominciò nel laboratorio di poesia di Tougaloo.
Adrienne: Quando ti chiamarono per andare a Tougaloo non stavi bene, vero?
Audre: Già, mi sentivo… come se stessi per morire.
Adrienne: Che successe in quel periodo?
Audre: Diane di Prima – era il 1967 – fondò l’editoriale Poets Press. E mi disse: “Non credi sia ora che pubblichi un libro?” le risposi “ah, si? E chi lo pubblicherebbe?” Io ero sul punto di archiviare le mie poesie perché, invece di scrivere cose nuove, non smettevo di rivederle; fu allora che compresi, ancora una volta attraverso l’esperienza, che la poesia non è un gioco di costruzioni. Non si può prendere una poesia e rivederla continuamente. La poesia esiste in se stessa. Devi sapere in quale momento va lasciata così com’è. Ma io non smettevo di pulirle e ripulirle, e Diane mi disse: “Devi pubblicare tutto questo. Fallouscire alla luce”. E Poets Press pubblicò The first Cities. Comunque lavorai al libro, lo misi insieme, ed era sul punto di andare in stampa. Mi avevano mandato le bozze ed avevo cominciato a ritoccarlo nuovamente; allora presi consapevolezza: quello sarebbe diventato un libro! Mi sarei esposta. Dei perfetti sconosciuti avrebbero letto quelle poesie. Cosa sarebbe successo?
Ero molto critica, ed ero coinvolta in un turbinio di attività perché, a casa, avevamo problemi economici. Mi misi a cercare lavoro; il giorno lo trascorrevo con i bambini e la notte lavoravo in una biblioteca. Ogni notte, quando uscivo, Jonathan si metteva a piangere ed io sentivo le sue urla per tutto il corridoio fino all’ascensore. La notte lavoravo, ho imparato a fare vetrate artistiche con un artigiano, e davo una mano a mia madre in ufficio. Preparavo cartoline di natale per gli amici e, alla fine, mi ammalai. Avevo esagerato. Ero talmente debole che non avevo la forza di alzarmi, fu Ed che rispose alla telefonata. Era Galen Williams del centro di Poesia; voleva sapere se ero interessata a trascorrere un periodo di tempo come poeta in Toogaloo, un’università nera nel Mississipi. Me lo avevano consigliato per una borsa di studio. Fu Ed che mi disse “Devi accettare”. Avevo così poche energie che mi sembrava impossibile. Mi spaventava tantissimo essere trattata da poeta quando, tra l’altro, il mio libro non era ancora stato pubblicato, capisci?
Adrienne: E all’improvviso degli sconosciuti ti prendevano sul serio?
Audre: Esatto. In particolare mi stavano chiedendo di diventare un personaggio pubblico. Che parlassi dalla mia condizione di e non che parlassi semplicemente a. In quel momento mi sentivo come se fossi resuscitata, dovevo cogliere qualsiasi opportunità. Così mi dissi, perché no, proviamo, andiamo a vedere. Non perché sentivo di poterlo fare, solo perché era qualcosa di diverso. Ero terrorizzata all’idea di andare al sud. Ma sopravvenirono gli echi di un vecchio sogno: anni indietro avevo desiderato andare a Tougaloo. Quando, nel 1961 ce ne andammo dalla California per tornare a New York, la mia amica Elaine e io pensammo di unirci ai Freedom Riders di Jackson (attivisti bianchi e neri per i diritti civili, in viaggio insieme tra gli stati del sud per protestare contro la segregazione raziale sugli autobús interstatali – dopo aver subito varie violenze parecchi furono arrestati e incarcerati per 60 giorni. N.d.T.) Ma la madre di Elain lì, a San Francisco, si mise in ginocchio e ci supplicò di non farlo dicendo che ci avrebbero ucciso, e fu così che rinunciammo all’idea. Ma andare a Tougaloo, Jackson, rimase un mito.
Adrienne: Si direbbe che in quel periodo vedevi con maggior romanticismo ciò che significava andare al sud, ma 6 anni dopo, con due figli e tutto quello che era successo lì…
Audre: Avevo paura, ma mi dissi “vado”. Fu la prima decisione che contrastava con la rabbia e il dolore di dover lasciare quel bambino piccolo tutte le notti. Se notte dopo notte potevo uscire di casa lasciandomi alle spalle gli urli e i pianti di mio figlio per andare a lavorare in biblioteca, perché non andare a fare almeno qualcosa che mi interessava. E così fu.
Adrienne: Avevi paura a Tougaloo di confrontarti con la tua prima esperienza da insegnamente in aula?
Audre: Si, ma l’atmosfera era molto stimolante. Trascorsi lì 2 settimane prima di cominciare a riunire gli alunni per il corso. C’erano 8 studenti che scrivevano poesie. Stare a Tougaloo era un sfida… cominciai ad imparare ad avere coraggio e cominciai ad imparare a parlare. Era un piccolo gruppo e diventammo amici. Imparai molto ascoltando dagli altri. I miei unici punti di forza erano la sincerità e l’apertura, non avevo altro. Quando cominciammo a comunicare e ad aprirci, anche se con terrore, non avevo altra scelta e dissi loro: “il padre dei miei figli è bianco”. E potete immaginare cosa significasse per quei giovani neri in quel momento; parlare di me stessa sinceramente ed affrontare la loro ostilità e disillusione. E’ stato parecchio difficile.
Adrienne: E suppongo ti sembrò ancora più difficile visto che sapevi che il tuo matrimonio non aveva futuro. Era come dover difendere qualcosa di indifendibile.
Audre: Quello che difendevo era qualcosa che andava difeso. Era qualcosa che andava oltre il: “difendo Ed perché voglio vivere con lui”. Stavo difendendo una relazione che avevo il diritto sia di analizzare che di vivere. Lì c’era una poeta nera del nord che entrava in contatto con alcuni giovani neri del sud che non mi dicevano: “Noi abbiamo bisogno di te”, ma mi facevano capire che avevano bisogno di sapere chi realmente fossi. Gran parte di questo si può trovare nella poesia “BIack Studies”. Tougaloo pose le basi per questa poesia, per quella conoscenza che arrivò 5 anni dopo. I miei studenti avevano bisogno delle mie percezioni, ma ciò che io percepivo dei loro bisogni non corrispondeva mai a ciò che mi dicevano. Ad alta voce dicevano: “Abbiamo bisogno di neri forti”, ma la loro concezione di “forza” era quella ereditata dagli oppressori e non andava assolutamente d’accordo con i loro sentimenti. Attraverso la poesia cominciammo ad occuparci di questi problemi …formalmente. Non avevo la più pallida idea di come fare. Adrienne, in vita mia non avevo letto un solo libro di poesia! Un giorno presi un libro di Karl Shapiro, un piccolo libro bianco. Aprendolo lessi una frase che sembrava sensata: “La poesia non serve a vendere Cadillacs”. In Tougaloo per la prima volta dovevo parlare della scrittura, fino ad allora ero sempre stata un’ascoltatrice -quella parte di me non si esprimeva, era imperscrutabile. Non comprendevo le cose ad un livello verbale e, quand’anche le capivo, ero terrorizzata dal verbalizzare. Ma a Tougaloo parlai di poesia, e le prime copie del mio libro arrivarono proprio lì. Non avevo mai avuto quel tipo di rapporto con gente di colore. Mai. Avevo tentato un approccio difficile con l’Associazione degli Scrittori di Harlem, dove sentivo che mi tolleravano ma che non riuscivano davvero ad accettarmi, pensavano che fossi pazza e queer ma che un giorno ne sarei uscita. Johnny CIarke mi adottò perchè mi voleva davvero bene, era un uomo molto affettuoso. Mi ha insegnato cose meravigliose sull’Africa. Mi disse: “Sei una poeta, lo sei. Non capisco la tua poesia ma tu sei una poeta. E’ un dato di fatto.” Ricevevo questo tipo di appoggi. “Non stai facendo ciò che si suppone vada fatto, ma va bene, riuscirai a farlo, e abbiamo piena fiducia che un giorno lo farai. Sei una luce brillante, splendente, ma ti sei messa in un mare di guai ….le donne, il Villaggio, i bianchi, tutte queste cose, ma sei ancora giovane. Troverai la tua strada”. Ricevevo questo tipo di messaggi ambigui, di sostegno e rifiuto allo stesso tempo. Era quasi una replica della mia famiglia. “Sei una Lorde e ciò ti rende una persona speciale e superiore a qualsiasi altra al mondo, ma non sei una Lorde come noi, perciò sbrigati a tornare all’ovile ed iniziare a fare le cose per bene.”.
Adrienne: Avevi la sensazione che nell’Associazione degli Scrittori di Harlem ci fossero delle leggi non scritte che dovevi scoprire per adeguarti?
Audre: Si. Portavo delle poesie da leggere alle riunioni. E aspettavo che mi spiegassero ciò che volevano, ma non è mai successo, non lo sapevano o non sapevano spiegarmelo.
Adrienne: C’erano altre donne nel gruppo, donne più anziane?
Audre: Rosa Guy era più grande di me, ma era giovane. Ricordo che c’era solo un’altra donna: Gertrude McBride. Ma le sue apparizioni al corso erano talmente fugaci che non riuscii a conoscerla. In generale, il núcleo era costituito da uomini. La mia amica Jeannie e io partecipavamo da una posizione differente; eravamo ancora studentesse dell’istituto superiore.
Adrienne: Mi stavi dicendo che lavorare con altri scrittori neri a Tougaloo fu un’esperienza completamente differente. Audre: Quando andai a Tougaloo, non sapevo cosa dare nè dove prendere ciò che avrei dato. Sapevo che non potevo essere come i normali professori di poesia, e tanto meno volevo esserlo, visto che a me non erano serviti assolutamente a niente. E non volevo nemmeno dare ciò che davano i professori di inglese. Ciò che ero era l’unica cosa che potevo offrire. E stabilii un forte legame con quei giovani. Gli volevo molto bene. Conoscevo la vita sentimentale di tutti loro, perchè quando ci riunivamo parlavamo di queste cose, le quali divennero inseparabili dalla loro poesia. Quando eravamo in gruppo, gli parlavo delle loro poesie mettendole in relazione con ciò che conoscevo della loro vita, insistendo sul concetto che, anche se gli avevano insegnato il contrario, le due cose erano inseparabili. Me ne andai da Tougaloo sapendo che avevo bisogno di dedicarmi all’insegnamento, il lavoro da bibliotecaria non mi bastava, anche se allora ero la direttrice della biblioteca dell’istituto di quartiere. Questo lavoro mi aveva dato molte soddisfazioni. E godere di una posizione elevata non mi era mai successo in ambito professionale. Ma da quando andai a Tougaloo per quel corso, seppi che oltre ad essere una poeta io volevo dedicarmi ad insegnare. Quasi tutte le poesie di “Cable to Rage” le scrissi a Tougaloo. Stetti lì 6 settimane. Rientrai con la certezza che il rapporto con Ed non mi bastava più; dovevamo cambiarlo o concluderlo. Non sapevo però come mettere quel punto finale perchè non ero mai arrivata ad una fine. Tra l’altro a Tougaloo conobbi Frances, e sapevo che sarebbe rimasta per sempre nella mia vita. Quello che non sapevo era come chiudere, terminare. A Tougaloo lasciai un pezzo di cuore, non solo per Frances, ma per tutto quello che mi avevano insegnato i miei alunni. Quando tornai, i miei alunni, quelli che facevano parte del coro di Tougaloo, mi chiamarono per dirmi che sarebbero venuti a cantare al Carnegie Hall di New York, con Duke Ellington, il 4 aprile. Ci andai e pubblicai una rassegna nel Clarion-Ledger, di Jackson. Mentre eravamo lì assassinarono Martin Luther King.
Adrienne: Quella notte?
Audre: Lo assassinarono esattamente mentre ero al Carnegie Hall con il coro di Tougaloo. Stavano cantando: “What the World Needs Now Is Love” (Ciò che ora serve al mondo è Amore). Furono interrotti dalla notizia che Martin Luther King era morto.
Adrienne: Come reagì la gente? Audre: Duke EIIington si mise a piangere. HonepeII, il direttore del coro, disse: “Adesso, l’unica cosa che possiamo fare è concludere il brano come atto commemorativo” E ripresero a cantare “What the World Needs Now Is Love”. I ragazzi piangevano. Il pubblico piangeva. Poi il coro si fermò. Tralasciarono il resto del programma, ma cantarono quella canzone il cui eco rimase nell’aria. Io non sentii solo dolore. Ero bloccata dall’orrore e dall’enormità di ciò che stava accadendo. Non era solo la morte di Martin Luther King, ma ciò che questo significava. Ho sempre avuto una sensazione di Armageddon, e in quel periodo in maniera più forte, era la sensazione di vivere al limite del caos. Non solo nel personale, ma anche nel mondo in generale. Stavamo morendo e distruggendo il mondo, é una sensazione che non mi ha mai abbandonato. Avevo la sensazione che tutto ciò che facevo, tutte le nostre azioni creative e giuste, servissero per evitare di precipitare in un abisso. Era tutto ciò che potevamo fare per costruire un futuro più sensato. Ma il pericolo c’era. E infatti divenne realtà. Alcune mi poesie, per esempio “Equinox”, si ispirano a quei momenti. Fu allora che seppi che dovevo andar via dalla biblioteca. E fu allora che Yolanda portò il mio primo libro, “the first city” , a Mina Shaughnessy, che era stata una sua professoressa. E credo che Yolanda disse a Mina “Perchè non la contatti per le lezioni?”; credo sia andata così, conoscendo Yolanda.
Adrienne: Comunque Mina la ascoltò.
Audre: Yolanda si presentò a casa mia e mi disse: “La direttrice del programma SEEK (Search for Education, Elevation, and Knowledge) ti vuole conoscere. Bene che va ti darà un lavoro”. Pensai che per me quella era tutta una sfida. Non era come se dovessi tornare al sud per essere fucilata, ma mi sentivo minacciata come se lo fosse. “Non so come riuscirò a farlo”, pensavo e, infatti, era questa la lotta. Lo raccontai a Frances, con la quale avevo condiviso l’esperienza di Tougaloo; le dissi: “Se potessi andare in guerra, se potessi impugnare un fucile e difendere così ciò in cui credo, lo farei… ma.. che vado a fare in classe? E Frances mi disse: “Lo stesso che facesti a Tougaloo”. La prima cosa che dissi ai miei alunni del SEEK fu: “Anch’io ho paura”.
Adrienne: Anche io ero terrorizzata quando iniziai quel lavoro. Per me era terrore bianco; sarò sotto i riflettori, pensavo. Verrà fuori il razzismo…
Audre: Per me era un Audre terrore, un terrore nero. Mi sentivo responsabile davanti a quegli studenti. “Come gli parlerò?”, pensavo. “Come gli spiegherò ciò che voglio da loro?”, letteralmente era questo tipo di terrore. Non sapevo come aprire la bocca e farmi capire. E Yolanda, la mia madrina, che era anche studentessa del programma SEEK, disse: “Suppongo che dovrai parlare loro così come parli con me, visto che io sono una di loro e con me riesci a comunicare”. Corso dopo corso imparai tutto ciò. Ogni corso che tenevo era qualcosa di completamente nuovo. Ogni giorno, ogni settimana. Ed era esattamente questo l’aspetto emozionante.
Adrienne: Hai dato lezioni di inglese 1? Quel corso era diviso tra due professori, uno era responsabile della grammatica e l’altro poteva occuparsi della poesia, essere un professore/scrittore. Se non fosse stato per questo neanch’io avrei frequentato quei corsi.
Audre: Imparai ad insegnare la grammatica. E dopo compresi che le due cose non si possono separare. Devi insegnarle insieme perché formano un tutt’uno coerente. Fu allora che capii l’importanza della grammatica, quanto fosse importante nel processo di comprensione. Così fu come insegnare a me stessa a scrivere in prosa. Era un apprendimento continuo. Arrivavo in aula e dicevo: “Sapete cosa ho scoperto questa notte? I tempi dei verbi sono un modo di ordinare il caos intorno al tempo”. Imparai che la grammatica non é arbitraria, che ha un obiettivo e che contribuisce a strutturare la forma in cui pensiamo, che può essere sia liberatoria che restrittiva. Sperimentai di nuovo quel processo tramite il quale i bambini imparano e come funziona. E’ come guidare un’automobile; quando sappiamo già guidare possiamo scegliere se fare a meno dell’auto
o usarla, ma non possiamo sapere se qualcosa è utile o distruttivo se non lo conosciamo. E’ come la paura: una volta che la affronti saprai se utilizzarla o rifiutarla. In classe dicevo queste cose ai miei alunni: stavo anche affrontando e lavorando su ciò che succedeva tra Frances e me e, soprattutto, cominciavo a rendermi conto della follia dell’uomo che viveva con me, che fingeva di poter vedere la vita in un modo e viverla in un altro. E tutto questo finiva in classe. In quel periodo i miei figli stavano imparando a leggere a scuola, osservare il loro modo di imparare mi aiutava molto. Dopo le cose si fecero un po’ più difficili, quando cominciai un corso sul razzismo nell’insegnamento, al Lehman College; dovevo insegnare ad alunni bianchi cos’era il razzismo, che relazione c’era tra la loro vita e quella rabbia.
Adrienne: Ha tenuto un corso sul razzismo al Lehmann? A studenti bianchi?
Audre: Il Dipartimento dell’educazione aveva avviato un programma per ragazzi bianchi che andavano ad insegnare nelle scuole della città di New York. Lehmann era una facoltà con il 99% di studenti bianchi, che a loro volta avrebbero insegnato ai bambini di colore della città. Il corso di chiamava “razza e situazione urbana”. I miei alunni si domandavano: “ma che stiamo facendo? Perchè i nostri studenti ci odiano?”. Mi sembrava incredibile che non comprendessero i livelli più elementari delle interazioni. Io spiegavo loro: “quando un bambino bianco dice 2 + 2 = 4, rispondi ‘è così’. Se un bambino nero della stessa classe si alza e dice 2 + 2 = 4, gli dai una pacca sulla spalla e gli dici ‘hey, ma è fantastico’. Che messaggio stai trasmettendo realmente? Cosa succede mentre cammini sulla tua strada di insegnante? E mentre entri in classe? Andiamo a vederlo praticamente”. Quindi fuoriusciva tutta la paura e l’odio di quei giovani studenti bianchi; fino ad allora nessuno li aveva messi di fronte a questi sentimenti.
(continua)

Fonte: Sister Outsider – Essays and Speeches. The Crossing Press Feminist Series. Trumansburg, NY: The Crossing Press, 1984. La hermana, la extranjera – Artículos y conferencias, 2003 – Horas y Horas la editorial – Colleccion “La cosecha de nuestrasmadres”
Traduzione a cura di Flavia Magnifici per MFLA- febbraio 2013

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