Femminismi
trova la differenza
Categories: Malapecora

oggi è uscita una mia intervista sul Fatto Quotidiano.
il risultato finale delle chiacchierate che m’ero fatta con la giornalista mi sembra incompleto rispetto agli argomenti che avevamo toccato nella stesura originale dell’intervista (che vi riporto piú sotto, completa dell’immagine che avevo suggerito al giornale come mio ritratto – e che è stata chissá perchè rifiutata ;) )
vi sfido a trovare la differenza tra le due interviste – a me un po’ fa ridere che siano rimaste le robe che fanno + self-promotion (che sono quelle che avrei sacrificato per far spazio ai concetti) e che nel parlare di una pratica che si definisce rivoluzionaria sia necessario un contraddittorio (a lato della mia intervista c’è un intervento di Marzano *contro il postporno – linguaggio ancora maschile* che non ho potuto ancora leggere).

ringrazio comunque Stefania (di cui sono anche riusciti a sbagliare il cognome) che ha fatto bene il suo mestiere con lo spazio che aveva a disposizione.
[d’altronde se io non ho fatto la giornalista pur amando molto la scrittura e lavorando praticamente da sempre con l’informazione… un motivo forse c’è :P ]

King Kong Lady contro ogni gabbia (Claudia Pajewski per Gender Utopia)

King Kong Lady contro ogni gabbia (Claudia Pajewski per Gender Utopia)

“Il post porno è una pratica politica femminista che serve per cambiare l’immaginario collettivo sul sesso, sui corpi e sui ruoli di genere che la società ci impone”. Così Slavina, attivista post porno, autrice di “Racconti per ragazze sole e male accompagnate” e del blog Malapecora, descrive un movimento che sta prendendo sempre più piede anche in Italia, attraverso la diffusione di saperi e la loro messa in pratica con laboratori e workshop.

Cosa significa cambiare l’immaginario sul sesso?
Vuol dire scardinare le categorie. L’idea di fondo del post porno è quella di rivedere la sessualità, di concepirla come un campo aperto di sperimentazione in cui è possibile provare piacere in modi diversi da quelli che la società ci impone, senza sentirsi sbagliati o moralmente condannabili. Il sesso viene scisso dalla sua dimensione amorosa: i corpi si mettono in gioco, comunicano sensazioni allontanando i giudizi.
In che modo?
Il post-porno prevede una pratica condivisa. Si può sperimentare in vari modi. Attraverso la realizzazione di video, ad esempio, come quello che ho fatto di recente dal titolo Dildotettonica per principianti (che ha partecipato al Sicilia Queer filmfest 2012) in cui il rapporto uomo-donna viene capovolto perché è l’uomo ad essere penetrato dalla donna, attraverso l’ausilio di una protesi (un sex toy), e non viceversa. Oppure attraverso i laboratori che organizzo in diverse città italiane, in cui si cercano modi nuovi e personali, ma non privati, di praticare la propria sessualità.
Che cosa succede nei laboratori?
Si sperimentano modi nuovi e collettivi di praticare la sessualità. Ogni volta in modo diverso. Nell’ultimo incontro, ad esempio, organizzato lo scorso 25 gennaio al Volturno occupato, il tema era Amori di plastica. Abbiamo sperimentato i contatti protetti. Infatti, quando si pratica una sessualità promiscua è raccomandabile utilizzare dispositivi in grado di proteggere dalle malattie sessualmente trasmissibili. Eppure l’espressione sesso sicuro fa venire in mente distanza, mancanza di fiducia e di intensità. L’obiettivo del laboratorio è stato quello di legittimare la plastica come strumento di piacere condiviso.
Che cosa c’è di femminista in tutto questo?
Nella pornografia mainstream, quella cioè che per anni ha mosso il mercato del video e dei giornali porno, le donne sono sempre state sottomesse, brutalizzate dal maschio eterosessuale violento, conquistatore. Questo ha portato alla creazione di un immaginario distorto, in cui predominava il desiderio dell’uomo (descrivendo una mascolinità meschina e avvilente per gli stessi maschi), mentre alla donna veniva lasciato un ruolo subalterno, da vittima che subiva azioni contro la propria volontà. Il porno maistream ha portato a una maleducazione sessuale in cui l’uomo è costretto al ruolo attivo di conquistatore e le donne sono incapaci per natura di governare il loro piacere. Il post porno dice che è ora di finirla con questa manfrina, che è tempo che uomini, donne, non-uomini e non-donne si riapproprino della loro sessualità inventando nuovi canoni e nuove rappresentazioni.
Ma non bastavano internet e l’invasione dei porno fai-da-te per rompere con queste categorie?
No perché in quelle pratiche manca consapevolezza. E’ vero che in rete c’è una proliferazione di corpi, anche imperfetti, ma questo non è sufficiente a creare nuove modalità di approccio al sesso e ai corpi. Se voglio il filmato di una donna grassa lo trovo, certo, ma lo cerco perché mi piace il grasso, non certo perché sto cercando un corpo che abbia rotto con le categorie della bellezza standardizzata e photoshoppata a cui ci costringono i mass media.
I tuoi laboratori sono soltanto per donne?
Non sempre. Il prossimo, un laboratorio di scrittura erotica fissato a Vicenza per metà febbraio, è dedicato a bio donne, neodonne e favolosità. Il che significa a donne che sono nate biologicamente donne e che lo sono diventate, come le transessuali. Escludere l’occhio del maschio che per noi storicamente è quello giudicante, che divide et impera è rassicurante, porta alla creazione di un ambiente protetto, in cui è più semplice lasciarsi andare. Però la creazione di un ambito separato è sempre propedeutica a un’apertura: dopo questo primo esperimento quasi sicuramente il prossimo sarà misto.
Come ti sei avvicinata al post-porno?
Quando abitavo in Italia ho preso parte al progetto Sexy shock di Bologna, uno dei primi luoghi dove si sono iniziate a sperimentare modalità alternative di approccio al sesso per le donne (nell’ambito dei centri sociali e della cultura underground) e al Phag Off, la prima festa-concetto queer della Capitale. E quando mi sono trasferita a Barcellona ho avuto la fortuna di conoscere altri ambienti dove il sesso veniva considerato un settore d’intervento possibile anche politicamente.

…e dove mi è risultato chiaro che il femminismo aveva l’obiettivo di emancipare non solamente le donne
(perché certe cose che a me sembrano banali e scontate forse vanno dette piú chiaramente e con piú decisione… be the media, ieri e sempre)

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