Femminismi
Postporno: quando l’unico linguaggio maschile è il moralismo
Categories: Femminismo a Sud
Foto dalla IV Muestra Marrana di Barcellona

Foto dalla IV Muestra Marrana di Barcellona

di Lafra

Oggi sul Fatto Quotidiano è uscito questo articolo di Michela Marzano dal titolo “Non convince. E’ un linguaggio ancora maschile” in risposta ad una intervista sul Postporno a Slavina.
Premetto che leggendo l’articolo ho riscontrato alcune contraddizioni interne al testo tanto da pormi il dubbio se davvero questo testo rifletta il suo pensiero o solamente lo distorce per i tagli e cuci tipici dei giornali per motivo di spazio. C’è da dire comunque che Marzano non ha mai fatto mistero della sua repulsione un po sommaria al porno come esplicitato nel suo libro, attentamente commentato un po di tempo fa da Fastidio in un post che vi consiglio di leggere.

Io mi permetto di prendere il testo così come è stato pubblicato e farne una critica, consapevole che sarà dura.

Ecco vorrei partire dalle conclusioni finali dell’articolo: “Per cambiare l’immaginario femminile, anche quello sessuale, secondo me non serve passare dal corpo ma bisogna leggere i libri di alcune grandi femministe come Simone de Beauvoir o Judith Butler. Soltanto così possiamo liberarci dalle costrizioni che ci vengono imposte e perorare la causa femminista”.

Francamente trovo che una affermazione del genere sia, prima di qualsiasi altra considerazione politica, semplicemente snob. Che non tenga conto della realtà, nello specifico quella italiana, dove tanti testi reputati fondamentali o comunque significativi al dibattito teorico e intellettuale dei femminismi non sono mai stati tradotti, o tradotti spesso male, incontrando non raramente ostruzionismo dentro quella che è l’intellighenzia femminista stessa. Inoltre penso che reputare indispensabile la lettura di testi meravigliosi, ma poco accessibili, per complessità e difficoltà di recupero, sia veramente poco realistico.

Snob perché non è giusto pensare che tutt* debbano e vogliano dover passare dallo studio della teoria femminista per dirsi femministe. Il femminismo è un insieme di pratiche, di desideri, bisogni e problemi condivisi e discussi. Il femminismo non è solo scambio di idee, è anche azione. E se reputiamo indispensabile passare dalle teoriche allora che queste siano spunto e divengano un riferimento con cui interagire dialetticamente, non il fine della nostra militanza.

Come dicevo appunto è impensabile credere che debbano essere lettura obbligatoria; non tutte hanno voglia, strumenti e tempo per leggersi la bibliografia di Butler ad esempio, perché le filosofe analizzano e interpretano la realtà, ma tutt* di questa realtà siamo parte, e anche se siamo concordi nel dire che viviamo in una realtà complessa, dove le istanze si intersecano e sovrappongono, dobbiamo essere capaci di leggere e formulare le nostre critiche anche con strumenti differenti, con tutti i mezzi necessari, semplificando la rappresentazione ma non per questo riducendone le complessità.

Anche il voler porre l’attenzione sulla dicotomia corpo/ragione come divisione binaria rispetto a donna/uomo mi sembra viziata da un errore di fondo. Parlare di corpi nella rappresentazione e nella pratica postpornografica è prima di tutto investigare il desiderio e la costruzione culturale, sociale e politica dello stesso. E questo tema non è un tema “femminile”, di serie B, perché mette al centro il corpo, è un tema che riguarda tutt*.

Alla luce del vero e proprio terrore anale e della quasi assente voce sulla sessualità maschile forse sarebbe più utile chiedere proprio l’opposto. Perché è così che possiamo provare a scardinare l’unica dicotomia che io vedo oggi, quella tra eteronormatività imposta e pluralità dei tentativi per combatterla.

“Come si fa sesso?” E’ la chiave di ricerca più inserita su google nel 2012 in Italia nella categoria “come fare…?”. Davvero investigare attraverso pratiche di decostruzione e riappropriazione dell’immaginario pornografico il grande interrogativo degli e delle italiane oggi è scegliere un campo di lotta lontano dalla “razionalità”, come afferma Marzano?

Che senso ha ribadire che il personale è politico ma che certe cose, proprio no, meglio lasciarle private? Nessun* impone una pratica sull’altra, e sicuramente Michela avrà le sue ragioni intellettuali e politiche per scegliere di scrivere saggi invece di girare corti postporno Do It Yourself  a costo zero, però il fatto che non si comprendano le pratiche altrui, che si reputino inefficaci o mal realizzate, è ben diverso dall’affermare che siano addirittura controproducenti “alla causa femminile”. Ecco questo mi sembra un po contraddittorio e buttato li gratuitamente, ad essere sincera.

Visto che si invoca la “stanza tutta per sé” (in una sola delle declinazioni femministe possibili di questa metafora) dove difendersi e proteggersi dalle invasioni esterne, mi sembra un po ipocrita giudicare chi invece si è imbarcat* in una delle lotte che maggiormente espongono; chi invece ha deciso che questa idea di stanza tutta per se  che si è fatta Marzano confondendola con lo spazio privato, sotto sotto è un po una fregatura se fuori da li non si può mai uscire davvero libere, a partire, banalmente, dal proprio corpo nudo usato come strumento (non fine!) di lotta.

Quello che fa paura, che ci fa sentire esposte è pensare che il proprio corpo sia svenduto all’occhio maschile, e che per questo vada ben coperto e protetto. E che il porno sia l’occhio maschile per eccellenza. Quello che però per me è errato, premettendo che le donne oggi guardano porno, fanno porno, girano porno e producono porno (con le ovvie disparità proprie di un sistema patriarcale), è la costante confusione tra lo sguardo maschile e lo sguardo dell’etero-patriarcato-capitalista. Il problema è la commercializzazione e la conseguente costruzione normativa ed egemonica della rappresentazione pornografica.

Non è il porno in se ad impersonificare il male. Con porno intendiamo la rappresentazione esplicita delle differenti pratiche sessuali. Anche ripetere che il porno è solo uno ed è tutto maschilista significa semplicemente non essere ben informate e appiattire una realtà complessa che va conosciuta per poterne parlare. Oggi abbiamo registe che fanno porno (attenzione non postporno!) e che si dicono femministe, una marea di attrici che si fanno autopromozione online attraverso blog e community e girano i propri video, case di produzione specializzate nel girare video che son ben lontane dal riproporre lo schema maschio attivo/donna sottomessa, come ad esempio chi gira solo video di uomini penetrati da donne con strap-on e dildo.

Ovviamente non sto negando che ci sia anche una rappresentazione che crea immaginario maschilista. Questo è il capitalismo baby! il porno non è esente da quello che ritroviamo in qualsiasi altro contesto.

Personalmente il guardare porno lo trovo la sana necessità di dare uno sbocco rappresentativo a quello che è curiosità e desiderio. Quello che invece non è sano per niente è che permettiamo che esista esclusivamente una rappresentazione calata dall’alto, funzionale prima di tutto ad un mercato che, oggi come oggi, si è assunto in maniera interessata il compito di rispondere proprio a quell’interrogativo posto a google da migliaia di persone, dato che nessuno se ne occupa. Ed essendo funzionale al mercato rifletterà per buona parte le disparità che esistono nella società e per il resto ingloberà, normalizzerà e renderà merce tutto ciò che prova a rompere con l’eteropatriarcato.

E ancora: perché pensare che il porno in se sia maschile? Il suo obiettivo primario come dispositivo comunicativo è arrapare e sinceramente io in questo non ci vedo proprio nessuna prerogativa maschile. Il continuare a ribattere che le donne non guardano il porno perché si eccitano (solo) in altri modi è ridicolo e, questo si, controproducente, perché ribadisce lo stesso trito schema moralista e normalizzante su cosa deve essere il sesso per le donne.

Come si fa sesso? E’ possibile rispondere solo a parole a questo interrogativo, che fa pure un po tenerezza, senza compromettersi in prima persona nella ricerca e nel tentativo di costruire lo spazio per permettere a tutt* di dare libero sfogo al proprio immaginario, funzionale solo al proprio piacere e non al sistema capitalista? Con tutti i limiti personali, politici, sistemici che può incontrare lungo il suo percorso, il postporno fa questo. Oltre a provare a ridefinire la relazione di potere tra il porno stesso e le persone, cercando di scardinare la relazione prodotto-consumatore. Che poi è uno degli obiettivi condivisi da tutte le pratiche di hacking e DIY.

Per concludere ribadisco quella che secondo me è la chiave di lettura necessaria per interpretare la pratica postpornografica: il postporno non è semplicemente femminista, parola contenitore tirata da tutti i lati, per me è e deve essere anche anticapitalista e antiautoritario. Non tenendo presente o non condividendo questo aspetto è breve il passo qui in Italia, 25 anni dopo, a permettere che si ripeta una delle pagine più imbarazzanti e autoritarie del femminismo bianco occidentale: quando Andrea Dworkin e Catherine MacKinnon strinsero alleanza con il governo Reagan proponendo la Antipornography Civil Rights Ordinance in nome di una crociata proibizionista antipornografica.

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