“Nessun uomo potrà difendersi dicendo che avrebbe potuto uccidere una donna che ha «semplicemente» stuprato, perché lo stupro è una sorta di lento assassinio.” così scriveva Slavenka Drakulic nel 2008 quando il Consiglio di sicurezza dell’onu definì lo stupro un’arma di guerra.
Che cosa sia quell’efficacissima arma abbiamo tentato di spiegarcelo anche noi realizzando che nello stupro etnico c’è anche qualcosa di più mostruoso ed è la violenza fatta sulla donna per farla generare, lei in quanto “riproduttrice” dell’etnia nemica, figli della propria etnia -non solo violare l’integrità del suo corpo, ma usare il suo corpo perché in lei nasca il suo proprio nemico.
Ma per le migliaia di donne vittime di questa violenza in Bosnia fra il 1992 ed il 1995 c’è stata assai poca giustizia; meno di 40 casi sono finiti di fronte ai giudici del Tribunale penale per l’ex Jugoslavia o dei tribunali nazionali bosniaci.
E come sempre, la vera giustizia non è quella dei tribunali, è quella delle donne che non dimenticano e creano una rete di soccorso le une per le altre, Žene Ženama, donne per le donne, “Perché se non raccontiamo quello che è successo, è come se quell’orrore non fosse mai successo e verrà dimenticato“.
E invece per poter riparare bisogna sapere e non dimenticare.