L’embrione. Ancora!
E stiamo pur certe che questa indefinibile entità verrà agitata nella fattispecie di persona fatta e finita fintantoché non riusciranno a cancellare la parola aborto dall’orizzonte di ogni donna che decidesse di non portare a termine una gravidanza.
Dei fatti in questione ne hanno parlato molti blog con la campagna #save 194.
Ricordiamo brevemente: alla fine del 2011 una ragazza minorenne chiede al consultorio di Spoleto, in virtù degli articoli 4 e 12 della legge 194 di poter abortire senza che ne siano informati i genitori. In questi casi, la struttura sanitaria redige una relazione per il giudice tutelare che, a sua volta, può autorizzare la donna, con atto non soggetto a reclamo, a ricorrere all’intervento.
Di fatti, il consultorio di Spoleto trasmette la relazione al giudice il quale però non prende alcun provvedimento e trasmette invece un rilievo di incostituzionalità all’Alta Corte a proposito dell’articolo 4 della legge 194. La Corte discuterà in merito il prossimo 20 giugno.
A supporto del suo agire il giudice tutelare del Tribunale di Spoleto, cita una sentenza della Corte Europea del 18 ottobre 2011.
Una delizia per gli avvoltoi che da 34 anni aspettano di banchettare sulle spoglie della 194.
La vicenda ha quasi del paradossale; nasce da un ricorso di Greenpeace -orientato ad individuare i limiti etici della brevettabilità del vivente- vs un ricercatore tedesco, Oliver Brustle, che nel 1997 depositò un brevetto relativo a cellule progenitrici neurali ricavate dal cellule staminali embrionali.
Il Tribunale federale dei brevetti diede ragione a Greenpeace e dichiarò la nullità del brevetto. Brustle fece poi ricorso alla Corte federale di Cassazione tedesca la quale interpellò la Corte di Giusizia UE sulla interpretazione da dare alla nozione di “embrione umano”.
Ed eccoci alla sentenza di cui sopra che in sostanza, pur precisando che il suo intervento non era rivolto ad affrontare e risolvere un problema di natura etica, stabiliva, l’interpretazione da dare alla Direttiva 98/44/CE – Art 6, n. 2, lett. c), ovvero che: “…sin dalla fase della sua fecondazione qualsiasi ovulo umano deve essere considerato embrione umano, dal momento che la fecondazione è tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano”
Ed ecco il “la” per il giudice spoletino che, invece che applicare la 194 rispondendo alla richiesta della ragazza, interviene intravedendo nel dictus della Corte europea una affermazione, decisa ed inequivoca quanto mai prima d’ora, dell’assoluto rilievo giuridico attribuito all’«embrione umano», e perciò considerato un soggetto di primario valore giuridico da tutelare in modo assoluto avverso il pericolo di qalsivoglia indebita utilizzazione mediante invenzioni per finalita’ industriali o commerciali e, ancor piu’ espressamente, escludendosi qualsivoglia brevettabilità…
Dal brevetto all’aborto, universi assolutamente diversi per contesti, soggetti, sviluppi, finalità, si salta ad un:
…non sembra inesatto affermare, dunque, che l’«embrione umano» debba qualificarsi alla luce dell’intervenuta decisione europea come «essere» provvisto di una autonoma soggettivita’ giuridica…
E dunque il seguito, è pura tautologia perché, … se tale interpretazione non erra, sembra necessario farne diretta applicazione nel diritto interno allo Stato e, per i fini qui ci occupano, porre d’ufficio la questione della compatibilita’ fra tale affermato principio e la facolta’ prevista dall’art. 4 della
legge n. 194/1978 di procedere volontariamente all’interruzione della gravidanza entro i primi novanta giorni dal concepimento: cio’ comportando, come e’ ovvio, l’inevitabile risultato della distruzione di quell’embrione umano che, come si e’ visto, e’ stato riconosciuto quale soggetto da tutelarsi in modo assoluto nel diritto vivente della Corte europea…
Ed eccoci dentro il mantra pro life stando al quale … l’«embrione umano» e’ suscettibile di tutela assoluta in quanto «uomo» in senso proprio, seppur ancora nello stadio di sua formazione/costituzione mediante il progressivo sviluppo delle cellule germinali… (*)
Un forzato periplo giuridico per arrivare ad una conclusione (la solita, peraltro) sciocca, illogica e antiscientifica e cioè che le cellule germinali sono un “uomo”; mentre lo stadio di formazione/costituzione, che pur si nomina, in realtà, non si considera perché è un divenire biologico; un processo-se pur convenzionalmente diviso in stadi di sviluppo- che disturba l’assunto puramente morale e discrezionale che poggia sull’artefatta uguaglianza embrione=uomo.
Ma il divenire non è essere; ci dispiace; un embrione non è un bambino, un bambino non è un uomo, un uomo non è una donna.
Colei che ultima, dovrebbe subire la norma di incostituzionalità che si invoca, colei che in tutto questo essere e divenire, andare e venire di embrioni/uomini nemmeno si nomina per questa voragine sessista del diritto, perché tacitamente inclusa, ma soprattutto includente, contenente l’embrione/uomo e in quanto tale soggetto di diritto se e solo se l’embrione sarà un embrione e non un “uomo”.
In tal caso a lei non sarà riconosciuta alcuna facoltà di decidere cosa fare di quelle cellule germinali dentro il suo utero contenitore.
La facoltà di agire sul proprio corpo, dipenderà ancora da cosa i giudici vogliono vedere in quelle cellule.
“Che cos’è una stella?” scriveva Laura Conti nel 1981 “E’ un lumino che sta nel cielo. Ma sappiamo che non è un lumino. Che cos’è un pavone? E’ un pollo con una coda sontuosa. Ma sappiamo che un pavone non è un pollo. Dire che un embrione è un grumo di sangue è altrettanto antiscientifico quanto dire che un embrione è un bambino. Come una rosa è una rosa è una rosa, anche un embrione è un embrione è un embrione” (**) e le stelle sono quantomeno sferoidi luminosi di plasma che generano energia nel proprio nucleo attraverso processi di fusione nucleare…, ma forse gli illustri dell’Alta Corte vorranno ancora vedere l’immagine più rassicurante e nitida delle stelle come lumini nel cielo e della donna come vas honorabile contenitrice e gneratrice di “uomini” nell‘empireo patriarcale.
Il 20 giugno 2012 lo sapremo.
(*) le parti in corsivo sono stralci dalla Ordinanza del Giudice tutelare di presso il Tribunale di Spoleto del 03/01/2012; non l’abbiamo lincata perchè, nonostante l’imperativo della riservatezza, riporta le iniziali della ragazza richiedente l’intervento.
(**) Laura Conti, “Il tormento e lo scudo” 1981, Mazzotta, Milano