Femminismi
La generazione per cui no future significava a tempo
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Siamo la generazione per cui niente è a tempo indeterminato.

D’altra parte, la vita stessa è un contratto a prestazione, il cui termine non è dato sapere. Ma non sono previsti scioperi, non sono previste manifestazioni. Solo il licenziamento in tronco e spesso senza preavviso.

A tempo determinato sono i nostri amori. Amori a scadenza, facili. Ci si prepara per il meglio all’addio. Ci si consola pensando che possa essere un arrivederci. Si inizia a pensare ad altre persone giusto in tempo per superare il lutto con meno dolore. (I’m not following you).

A tempo determinato sono i contratti, quando ci stanno. A me sono sempre piaciuti quelli a prestazione, che mi facevano sentire un po’ puttana. Ma avrei voluto scegliermi i clienti meglio. Forse in realtà non sono proprio fatta per fare la puttana. Nella vita ci vuole sempre un certo godimento in quello che si fa, disse un giorno un professore che amava insegnarci Machiavelli con gli occhi chiusi e la sigaretta in bocca. Schioccò le labbra su quel godimento e ci penso sempre quando faccio un lavoro di merda, mentre la frustrazione mi riempie le gambe di stanchezza e la faccia di falsi sorrisi, che mascherano solo dei vaffanculi ben strutturati.

A tempo sono le nostre residenze. Localizzate in tutti gli angoli del mondo. Occupazioni e affitti che scadono quando qualcuno ci caccia, o se i coinquilini decidono che è il momento di andarsene. A tempo le nostre insulse nazionalità, permessi di residenza, visti.

A tempo le nostre università, minacciate da riforme che si rincorrono attraverso le legislazioni. Università occupate, colorate e vissute, che tornano in un tratto alla temporaneità dei semestri, delle sessioni d’esame.

Quando no future significava a tempo, tutto sembrava solo un rincorrersi di scadenze, curriculum, lettere di presentazione, referenze e addii. Oggi siamo qua, domani chissà.

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