nelle ultime settimane del 2011 una querelle di questo metaverso m’ha tolto la gioia di scrivere e m’ha fatto riconsiderare e rileggere criticamente alcune vicende della mia vita recente.
tra il senso di colpa e la necessitá di capire che cosa stava succedendo veramente mi sono fermata, autocensurandomi (mi stavo facendo prendere la mano dalla dinamica malata dei social network) e mi sono data tempo di riflettere, di incazzarmi con calma senza schizzare piú merda in giro di quanta giá ne stesse volando, di parlare con una modica ma fondamentale quantitá di persone amiche, di farmi passare la freva e di capire quello che era alla portata della mia capacitá di comprensione (perché ci sono cose che con la migliore volontá del mondo continuo a trovare incomprensibili).
i pensieri che seguono probabilmente non aggiungeranno nulla allo svolgimento del flame in oggetto: i giochi sono fatti, é passato quasi un mese, chi aveva interesse nel parassitare la discussione giá lo ha fatto mentre (ovviamente…) nessun passo é stato fatto verso la comprensione reciproca. forse neanche questo mio post servirá allo scopo nobile di facilitare il confronto, ma almeno chiarirá la mia posizione, cosí come da piú parti mi era stato (piú o meno esplicitamente, anzi direi piuttosto con un grado piú o meno tollerabile di aggressivitá) richiesto.
per chi – fortuna sua – non navighi nella mia stessa vasca di pesci rossi, sto parlando di una discussione che é iniziata da questo post, al quale ha fatto seguito questa risposta che ha scaturito un corollario di delirio piú o meno lucido che si basava sullo schierarsi: una serie di anime belle sbandierando un antifascismo senza se e senza ma (e senza nient’altro…) contro chi difendeva piú o meno pelosamente l’autonomia della professione giornalistica.
a scanso di equivoci, chiarisco da subito: a parte rari casi di coerenza incontestabile, trovo il giornalismo un mestiere spesso indegno e penso che la maggior parte dei professionisti del settore sia una feccia che fa della superficialitá una regola di vita.
d’altra parte, pur essendo una antifascista dal pedigree pressoché immacolato sono sempre stata immune alle mitologie dell’antifascismo militante (mai stata una tifosa della Volante Rossa: ho sempre rosicato nelle occasioni in cui bisognava mostrare i muscoli, ho sempre pensato che l’antifascismo era una modalitá dell’essere cosí poderosa che escludeva a priori la violenza materiale e la virulenza comunicativa).
queste le premesse ideologiche.
in merito al contesto 2.0: da almeno dieci anni assisto e partecipo (a volte divertita, a volte meno) allo svilupparsi di intrecci e narrative che si producono in quest’ambito che è decisamente fuori dalla realtà, ma che perversamente produce scazzi, scleri e conflitti di difficile se non impossibile gestione – perchè arrivano ad influire sulla vita vera e sulle relazioni.
sono due le esperienze che m’hanno formato, nelle percezione di questi avvenimenti virtuali: da una parte Indymedia, con tutta l’ideologia che sottendeva, il suo portato rivoluzionario e il suo fallimento devastante – dall’altra Guerrilla Marketing, un’esperienza professionale che m’ha tolto ogni candore e m’ha regalato un occhio clinico che mi fa riconoscere i mezzucci della promozione che si celano dietro ogni guaito emesso a beneficio del pubblico della Rete.
sono diffidente e cinica, soprattutto nei confronti della popolaritá. quando il mio blog ha piú di 100 contatti al giorno mi preoccupo.
parto da me, come m’ha insegnato il femminismo.
per usare una metafora tecnologica che andava di moda qualche anno fa, spesso mi sento come un Hub.
un attrezzo tutto pieno di buchi, al quale persone diverse s’agganciano per succhiare informazioni e per interfacciarsi con altre entitá. lavoro nella traduzione, istituzionalmente mi sporco le mani.
la mia ricerca prolifera nelle zone liminali, spurie, nella contaminazione. so benissimo qual’è il mio posto, non sono per niente neutrale (sono precaria, allergica all’etica del lavoro, sessualmente insubordinata, antirazzista, antifascista, femminista) ma da questo posizionamento mi confronto con il mondo, dentro e fuori dalla Rete.
e con questo spirito ho facilitato, nei giorni precedenti il Feminist Blog Camp, il contatto tra le due parti che si sono trovate ai lati opposti della barricata virtuale: la mia amica Alessandra e le compagne di Femminismo a sud.
pensavo che un contatto diretto e reale sarebbe stato proficuo ad entrambe le situazioni – anche se ero consapevole che esisteva un casus belli, quell’articolo, che speravo non risalisse a galla come la merda prima di aver costruito un terreno comunicativo dove poter discutere del merito senza che il confronto degenerasse in processo (ahimé con tanti anni di movimento alle spalle conosco i miei polli – e pure le mie galline).
e cosí mi sembrava che stesse funzionando: fino a poche ore prima del post della discordia infatti, nei contatti virtuali tra le parti in causa era tutto un fiorire di confidenze e cuoricini.
e invece poche ore dopo, il disastro. fine della vita di Samb, Diop e Mustafá e fine pure dei cuoricini.
non voglio entrare nel merito di cosa significa per me quel post di Femminismo a sud, perché direi cose forse equivocabili, in mancanza di un contatto diretto. allora dico semplicemente che non rientra in quello che io pratico come antifascismo. non mi ci riconosco e non mi piace.
sono per la contro-produzione di immaginari e per la costruzione di forme di relazione e lotta coinvolgenti, piuttosto che per una semplicistica ricerca ed attribuzione di responsabilitá nella diffusione del fascio fashion (perché mi sembra un esercizio abbastanza aleatorio e che puó diventare anche pericoloso).
cosí come non mi piacciono il procurato allarme e l’intruppamento, che riconosco come tendenze umane quasi inevitabili ma che trovo un po’ deprimenti e lontane dalla politica che sento mia.
forse se il primo nome della lista non fosse stato quello di una mia amica, chissá non mi sarei posta cosí violentemente il problema. ma il personale è sempre politico (soprattutto quando non vuoi) e tra le cose di cui mi rammarico di tutta questa storia c’è la mia incapacitá di gestire questa crisi con freddezza, luciditá e piglio. ma non sono una macchina e tutto quello che ho saputo fare è stato confondermi, deprimermi e farmi cadere le braccia.
perché dopo il post di Femminismo a sud, le stronzate sono arrivate a valanga, altro che slavine.
la reazione di Alessandra, di un orgoglio maldestro e spettinato, ha attivato una catena letale di interventi di carampane che non aspettavano altro che qualche cadavere fresco per sfidarsi a singolar tenzone e regolare due contarelli loro.
mi dispiace, ma questa per me è la merda della politica. lontana anni luce dal femminismo.
e sono contenta di affermare che la vita è altrove e che a un certo punto ho smesso di leggere qualsiasi cosa riguardante questa querelle.
vero è che secondo la filosofia del puto ottimismo che io professo si impara sempre, ma è vero anche che non è mai gratis.
ho passato almeno tre settimane della mia vita ad arrovellarmi su questa storia. nella prima febbre dell’anno non deliravo sui grandi classici come l’amici morti, mio padre o l’ex rancoroso, ma immaginavo di chiudere questa storia senza ulteriori sbocchi de veleno. ci sto provando adesso – non so se ci riesco ma almeno sono sincera. e per me si chiude qua.
di una cosa sola forse posso dire di essere contenta: avró perso qualche fans. di quelle che ti fanno la ola e ti dicono carissima senza sapere chi sei ne’ domandarselo ma solo perché lo fanno tutte.
io sono questa qui, con queste aspirazioni e pretese altissime e insieme questa limitatezza.
e non me ne frega un cazzo di avere fans, preferisco l’amicizia e persone che mi trattino da pari a pari – che sono esattamente quelle che non m’hanno lasciato sola ad arrovellarmi su questo marrone.