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Noi Ribellule abbiamo deciso di affrontare gli stereotipi che il tema della violenza porta con sé chiedendoci in primo luogo in che modo e con quali strumenti possano essere disinnescati.
La violenza è un fatto trasversale a tutta la società: non si differenzia per classi sociali, per cultura o per nazionalità…la violenza viene attuata dagli uomini e se questi sono mariti, cugini, fratelli, compagni, extracomunitari, avvocati o operai non fa differenza..
Partendo dal presupposto che la solidarietà fra donne dovrebbe essere la nostra arma e la nostra forza ci siamo chieste come smantellare quegli stereotipi che giorno dopo giorno sentiamo affermare dalle stesse donne su altre donne oltre che, ovviamente dagli uomini stessi.
Ci è sembrato innanzitutto fondamentale partire da quello che noi viviamo tutti i giorni da quelle frasi, da quei pensieri che pervadono le nostre orecchie e le nostre menti, davanti ai quali spesso ci sentiamo non solo insofferenti ma anche impotenti.
Come possiamo trasmettere alle donne, così come agli uomini, così come alla società tutta il fatto che se una donna subisce violenza questa non è in nessun modo responsabile di ciò che avviene, che non se l’è cercata che non è la sua gonna corta, o il suo essere ubriaca, o il suo non essere comprensiva che l’ha portata ad essere protagonista di un sopruso fisico, psicologico, economico che sia???
Come possiamo andare ad incentivare nelle donne tutte e in primis nelle donne che la subiscono, il tarlo della domanda: “perché a me\lei?” Facendo in modo che la risposta non sia: “era stanco”, “non sono stata attenta alle sue esigenze, dovevo essere più puntuale nel rispettare le sue richieste, alla fine si era raccomandato!”, “in fondo anche lui ha subito o è stato spettatore di violenza, all’interno del suo nucleo familiare, poverino!”, “sono stata troppo provocante\provocatoria”, “stava scherzando!”, “è solo la sua insicurezza che lo porta a comportarsi così”, “è successo oggi non succederà più”?
La donna che subisce violenza entra in un circolo vizioso in cui non soltanto spesso non si rende conto della violenza che sta subendo, ma in qualche modo tende a giustificare “l’aggressore” ad autoesaminarsi e a ritrovare in se stessa la causa del sopruso subito. Spesso, purtroppo, tutto questo viene sostenuto da persone vicine che non solo hanno difficoltà a riconoscere la violenza ma che fondamentalmente processano la donna stessa in quanto la sua presunta insicurezza o la sua presunta leggerezza nel rapportarsi a uomini sempre non adatti a lei, aggressivi, violenti, la portano a vivere situazioni “scomode”.
E si ritorna di nuovo a processare chi è l’oggetto della violenza e a giustificare il soggetto che la attua.
Senza contare che la donna subisce un doppio processo, non solo personale in quanto si considera causa stessa del’atto di violenza altrui, ma anche sociale, in quanto la società tutta la giudica e e la “criminalizza”.
Questo meccanismo di doppio processo che la donna subisce è ciò che va disinnescato: in una cultura dove l’uomo da sempre risulta essere l’individuo dominante, la colpa non può che essere additata al soggetto più “debole” e la donna “violentata” non può che fare lo stesso, avendo introiettato quel senso di subalternità che giorno dopo giorno invade le nostre vite.
E a questo punto le domande sono: “ come incentivare una società maschilista e patriarcale a disinnescare prototipi, stereotipi e pregiudizi sulla violenza maschile sulle donne?” “come costituirci noi donne come forza e strumento non solo di solidarietà ma anche di trasformazione nostra e della società tutta?”