Il patriarcato è peggio del capitalismo.
Intanto è nato prima. Assestato e consolidato sul controllo dei mezzi di ri-produzione ha collocato il genere femminile tra gli “oggetti” di proprietà sicchè anche il più diseredato degli uomini o quelli che “la proprietà è un furto” si sentano legittimati a dire “lei è mia”.
Da questo senso di proprietà discende la violenza.
Transtorica, transgeografica, transpolitica, transeconomica.
Dovessimo calcolare lo spread, il differenziale, il distacco del rendimento di libertà fra una condizione attuale ed una condizione ideale di rispetto ed autodeterminazione per le donne, dovremmo dire che questo è sempre altissimissimo.
I punti percentuali sono segnati, centellinati quotidianamente da stupri, offese sessiste e femminicidi.
Allora, in prossimità del 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, parliamo di questi.
Accade in Italia che un uomo ammazza una donna; poi un altro, ancora una, e un altro ancora un’altra, e via così fino ad oggi, per quest’anno, che si contano 129 donne uccise da uomini. Una ogni tre giorni e non succede niente, perlomeno niente di quello che normalmente accade quando un evento grave si ripete in modo così ciclico, ravvicinato ed insistente. Ogni delitto viene categorizzato, dalla stampa in particolare, come “dramma della gelosia”, “raptus”, “depressione”, trattato perciò in modo isolato, sterilizzato nella patologia individuale e finita lì.
E’ più facile che si crei, e poi si ragioni, e poi si prendano provvedimenti, intorno ad una, poniamo, “fenomeologia dei cani che azzannano le persone” inventandosi una “bad dog syndrome” piuttosto che si ragioni intorno al fatto che gli uomini uccidono le donne.
E poi c’è pure di peggio; quand’anche l’uccisione di donne da parte di mariti, fidanzati, ex, ecc. ecc., riesca ad essere rubricata come “fenomeno sociale” si mette in atto l’orrenda strumentalizzazione e perversa distorsione razzista nel senso che l’aguzzino, lo stupratore, il cattivo non è quello di cui sopra che agisce nel 90% dei casi, ma è l’extracomunitario, il nero, il rom.
E allora, si casca dalla padella e si finisce sulla brace perché la violenza contro le donne diventa l’alibi per le norme securitarie che tutte abbiamo visto sotto Maroni e che hanno puntellato l’elezione di Alemanno con i suoi pogrom contro i rom conseguenti alla morte di Giovanna Reggiani.
E facilmente si capisce che anche questa è una strategia per dare copertura (e quindi complicità!) agli stalker, agli stupratori e ai femminicidi di casa nostra. Casa, proprio nel senso di casa, di cui spessissimo l’assassino ha le chiavi.
E allora il 25 novembre si danno i numeri delle morte e bla bla, si fanno anche le locandine con le donne in croce (peraltro censurate dai sensibili animi clericonegazionisti) o con le donne come sagome bersaglio; quello che non si riesce mai a tracciare è la sagoma, il profilo, l’essenza, l’ontologia dell’aguzzino o del femminicida. Non si riesce a rappresentarlo foto-graficamente (avete presente le foto di cronaca? Sempre la donna ranicchiata nell’angolo nella posa della vittima pre-destinata, oppure i carabinieri a certificazione del delitto, il volto tumefatto della vittima oppure il volto del “mostro” se, e solo se, è un extracomunitario.
Ma il femminicida o il violento di casa non si riesce a rappresentarlo nemmeno psico-socioculturalmente se non con la scorciatoia etnica e la baggianata del “raptus”.
Insomma, noi non ci stiamo allo sporco giochetto tipo quello delle agenzie di rating che declassano per poi speculare meglio, cioè ad una riduzione delle donne a vittime o a concausa della propria violenza (il tipico “mi ha provocato”) per poi continuare a disquisire su di loro, tipo se erano per bene o per male, vestite così o colà, se ci stavano o no, se hanno detto “no” che era “no” o “no” che era “non no” ecc. ecc. insomma di tutto pur di non parlare di lui o di loro; degli esecutori di quelle azioni sempre ben quotate sul mercato del patriarcato postmoderno che incrudelisce ancora di più in tempi di crisi. Perché la crisi di possesso di cose diventa anche di persone per chi è imprintato nell’orizzonte patriarcale.
Ecco, perciò c’è una crisi dalla quale noi abbiamo tutto da guadagnare e niente da perdere: la crisi del patriarcato. Non facciamogli sconti, facciamogli contro!
Investiamo nella nostra autodeterminazione!!