Femminismi
Le 10 turture capitali (per Patricia Heras) di Silvia Villullas
Categories: Malapecora

(in lingua originale qui)

Patri mi manca moltissimo. Anche se non piango piú diverse volte al giorno continuo a farlo diverse volte a settimana. Mi fa male il petto quando ricordo. Mi fa male il suo dolore. Volevo essere il suo angelo salvatore peró non sono stata altro che un cerottino in una ferita di dimensioni inaffrontabili, dalla quale usciva sangue a fiotti.

Questa ferita forse era genetica o forse fu dovuta alla poca fortuna nel primo contesto familiare. Peró quello che dal febbraio del 2006 impedí che ci fosse una cura per questo cuore cosí grande e cosí ferito fu il vedersi schiacciata da un’accusa che cominció come assassinio e che finí come attentato all’autoritá e lesioni.

Il primo colpo d’ascia fu la sua detenzione nell’Hospital del Mar e la successiva reclusione nella cella del commissariato, soffrendo torture psicologiche ed essendo ripresa in video – perché non ci fossero dubbi nelle dichiarazioni dei due poliziotti che l’avrebbero accusata (Victor Bayona e Bakary Samyang, condannati per aver torturato Yuri Sarrán simulando un delitto di traffico di droga e falsificando la denuncia)

A partire da allora comincia una lunga lista di torture che cercheró di riassumere:

  1.  Il pellegrinaggio settimanale alla Audiencia Provincial (il tribunale) per firmare, come misura cautelare. 5 anni e 7 mesi, ovvero 288 settimane andando a firmare alla 8a sezione del tribunale del cazzo, vedendo gli stessi funzionari del cazzo che sebbene all’inizio la guardassero come una delinquente antisistema alla fine forse misero in dubbio l’impressione iniziale.
  2.  Vedere come la sua versione era messa in dubbio anche dalla sua stessa famiglia. Non ebbe l’appoggio dei suoi, forse era sua nonna l’unica con cui si relazionava amabilmente. Suo fratello. *sparito* dall’estate del 2009, non era che un accollo. Quando sua madre la chiamava era solo per raccontarle i suoi guai. Suo padre non era sparito ma comunque assente.
  3. Il ruolo degli avvocati durante il processo davanti all’Audiencia Provincial fu anch’esso una tortura, non solo per il fatto che il loro lavoro fu deplorevole, ma perché Patri fu pressata perché riconoscesse la sua colpevolezza con il fine di ricevere un trattamento migliore. Sebbene non riconobbe mai suo il delitto di cui era accusata, sí che la consigliarono perché pagasse la responsabilitá civile ai poliziotti, cosa che le si rivoltó contro, perché se era innocente come mai aveva risarcito i poliziotti? Apparentemente l’unico avvocato che meritó il suo onorario fu Don Gonzalo Boyé, difendendo l’innocenza di Rodrigo
  4. Collegata con il punto anteriore, la tortura economica. Patri venne a Barcellona con l’indennizzo per licenziamento del suo lavoro di Madrid, circa 6.000 euro, che dovette impiegare quasi integralmente per gli onorari di avvocati e procuratori che non servirono a niente.
  5. Tortura di innumerabili riunioni nel Fagc per organizzare feste per raccogliere fondi per aiutare economicamente lei e Alfredo. Tortura di ladrocinio e nepotismo da parte del suo presidente.
  6. Tortura di vivere ogni finesettimana come se fosse l’ultimo, con le conseguenze che ne derivano. Non sono una sostenitrice della *vita sana* peró la pressione di un futuro assolutamente incerto si puó trasformare in una spirale dove non hai niente a cui aggrapparti e condurre alla depressione
  7. Tortura di infiniti ricorsi giuridici e richieste di indulto. Una volta che fu pubblicata la sentenza dell’Audiencia di Barcellona, il 15 gennaio del 2008, c’era il ricorso al Tribunal Supremo. Il quale non emise sentenza fino al 12 giugno 2009. Tortura dell’attesa dell’esecuzione della sentenza del Supremo. Dal 12 giugno del 2009 in qualsiasi momento potevano chiamare dalla Audiencia e dire *dai, in galera*. Peró non lo fecero fino all’Ottobre del 2010. É inimmaginabile questa sensazione che in ogni momento puó apparire in casa tua un Mosso (carabiniere) e prenderti per il braccio dicendoti *andiamo, game over*. Un anno e tre mesi pensando se prendere la valigia e scappare da tutta questa merda. Pentendoti ogni giorno per non averlo fatto. Tortura di vivere in un carcere costruito di carte durante quasi 5 anni, un carcere che ti impedisce viaggiare, amare, vivere.
  8. Tortura di che, a poche ore dal tuo ingresso in prigione arrivi la notizia dell’indulto a Alfredo (suo coimputato ndt). Sono troppe le domande senza risposta su questo tema. Tortura del perché lui sí e io no. Perché sono donna. Effettivamente, il maschilismo uccide.
  9. La seconda peggiore tortura: la prigione di Wad Ras. Anche se cercava di mostrare sempre buonumore alle persone che la visitavano il finesettimana, io che andavo da lei quasi tutti i giorni come *avvocata* vedevo la sua sofferenza quotidiana, le sue lacrime di impotenza davanti alla tortura di dover dire agli stronzi del Consiglio di Trattamento che non avrebbe riconosciuto il delitto, che era innocente. Innocente, dietro le sbarre. Scherzavamo sul fatto di fare un film porno in galera. Peró la veritá é che lo squallore della prigione lo conosce solo chi lo ha sofferto sulla sua carne. Ancora ricordo il nostro unico vis a vis (incontro di affettivitá che si svolge in privato ndt) lei non mi voleva baciare perché aveva le gengive cosí infiammate e infettate che aveva un alito che faceva del male.
  10. La tortura finale, la piú dura, quella che distrusse tutta l’energia che le rimaneva: la semilibertá del cazzo. É una forma di tortura molto perversa. Papá Stato, come lo chiamava lei, ti lascia uscire di prigione per essere una donna integrata nel sistema. Era molto positivo stare in coppia e per quello cominciammo una sorta di finzione (la veritá é che abbiamo vissuto sempre una non-relazione molto complicata, anche se piena d’amore). Patri era distrutta dalla vita in semilibertá e il futuro incerto del non sapere fino a quando sarebbe durata questa situazione. Dormire in cella con altre 7 persone, svegliarti alle 7 del mattino, andare a lavorare, uscire dal lavoro e tornare di nuovo a dormire in galera. E i finesettimana come oasi nel deserto – fino a che arriva la domenica, le otto di sera e devi tornare a quella che é la tua realtá. Di depressione, di tristezza, di rabbia, di impotenza, di frustrazione.

La semilibertá é una tortura, come concetto, e non c’é bisogno di raccontare le schifezze che si producono in prigione. Questa sensazione di falsa libertá erode giorno dopo giorno la tua autostima, la speranza e la voglia di vivere. Vivere, perché?

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