Ci risiamo. Ogni volta che c’è da divulgare una scoperta o una procedura biotecnologica un po’ dura da digerire, si ricorre alla formula “beneficio all’umanità”.
Così, per esempio, come gli OGM dovevano cancellare la fame nel mondo, la cellula artificiale di Venter realizzare il sogno del batterio che si mangia l’inquinamento, l’albero artificiale che si ciuccia l’anidride carbonica… la carne artificiale, oltre a sfamare l’umanità, cancellerebbe l’orrore degli allevamenti e dei mattatoi. Come se la fame, l’inquinamento, lo sfruttamento degli animali non potessero essere eliminati in altro modo. Anzi, peggio, sono realtà che diventano problemi solo quando si prospetta (o si millanta) una soluzione che li definisce come tali; altrimenti chissenefrega.
Così con l’ultima della carne artificiale, appunto. Ce ne informa Repubblica e Le Scienze di luglio pronti a ricordarci che la carne coltivata “farebbe risparmiare tra il 35 e il 60 per cento dell’energia, abbatterebbe l’80-95 per cento le emissioni di gas serra e userebbe il 98 per cento in meno di terreno rispetto ai sistemi convenzionali usati in Europa per la produzione di carne”. Il progetto piace a PETA (People for Ethical Treatment of Animals) che nel 2008 ha offerto un milione di dollari a chi riuscirà a far crescere in laboratorio carne di pollo commercialmente competitiva entro il 2012.
A noi invece non piace.
Intanto perché non necessariamente la carne deve essere sostituita con altra carne. Per quanto ci riguarda, gli allevamenti possono essere chiusi già adesso; una corretta dieta vegetariana fornisce già tutto ciò di cui abbiamo bisogno e senza farla troppo lunga, si realizzano tutti i risparmi di energia, si evitano le emissioni di gas e il consumo di territorio di cui sopra.
Poi non ci piace perché ci sembra un modo riduttivo e perciò ottuso di pensare ad un’etica da tenere nei confronti degli animali che nel contempo avvalora e sprona acriticamente l’agire scientifico-biotecnologico.
La carne artificiale è o sarà possibile grazie all’uso delle cellule staminali, il nuovo eldorado della biologia; le cellule che non sono nulla ma possono diventare tutti i tessuti che vuoi. Anche se quelle prelevate dal suino, nell’esperimento in corso, si ostinano ancora a differenziarsi in cervello piuttosto che in pancetta, prima o poi anche questo step sarà superato e le celluline dal loro brodo di coltura, dagli incubatori, potranno moltiplicarsi sui graticci, ingrossarsi e formare le fibre muscolari atte ad essere macinate, salate, pepate, speziate e convertite in salsiccia.
Alla fine, come scrive Le Scienze, “gli scienziati potranno mostrare la salsiccia vicino al maiale vivo da cui è cresciuta”.
I carnivori diranno che non è la stessa cosa; difatti non lo è perché è solo una brutta copia.
Sezionare, ridurre e riprodurre e di corsa verso il mercato; d’altra parte chi finanzia altrimenti la ricerca se non c’è un ritorno monetario? Bacone è sempre tra noi, non d’attualità come uomo politico corrotto (e lo fu), ma per il suo metodo scientifico portato dal parto maschile di quel tempo in cui si disse che la natura è materia meccanica, oggetto nelle mani dell’uomo che ne deve estorcere i segreti ed usarli a suo beneficio. Ha senso la salsiccia biotecnologica?
Negli allevamenti di animali la scienza interviene con farmaci, antibiotici, ormoni e tutto quanto occorre per compensare chimicamente una situazione forzatamente innaturale; negli allevamenti di carne animale la scienza interviene a forzare artificialmente un processo altrimenti naturale come la differenziazione, la divisione e la crescita cellulare. Meccanicismo puro, riduzionismo spinto.
Da questo punto di vista, la toppa ci sembra peggio del buco.
Chiudiamo gli allevamenti, mangiamo verdura e ripensiamo la scienza. E’ meglio.