Sabato sera, ore 1:15, vento nei capelli e motorino sotto il culo. Sembra una roba anni ’90 andare in giro senza casco. In realtà lo è e i due svicolano laddove non li possano vedere. I sanpietrini gli fanno tremare la spina dorsale, e lei gli stringe la pancia perché non c’è nessun altro appiglio. In realtà è pure perché le fa piacere.
Hanno lo sguardo dei futuri esuli, anche se non si allontaneranno nemmeno troppo. Forse fuggono un po’ da se stessi.
Si abbracciano e salutano.
Si salutano e abbracciano.
E di nuovo.
Gli rimane così poco tempo per raccontarsi amori impossibili e future lotte.
– Ti ricordi quando ci abbracciavamo così tanto che non c’erano più lo spazio e il tempo e la luce e la pioggia?
– Certo che mi ricordo.
– E tu guardavi come guardi ora le altre che passano?
– …
– In effetti non ha poi così tanta importanza.
Rimane il profumo e il libro sotto il braccio, alla ragazza. A lui rimane la curva del suo collo e la sensazione della mano sulla pancia.
Ore 1:35. Ora di andare a prendere l’ultima metro e il terzo notturno. Perderlo vorrebbe dire aspettare mezz’ora, da sola.
– Ciao biondo, ci vediamo presto, eh.
Nelle orecchie, Coma Girl.