se ha da farsi dare schiaffo avverta di tenere il velo sempre in modo che le cuopra la faccia, acciò sopra di quello venga a calare lo schiaffo; se ha da star a giacere su la porta per farsi calpestare da quelle che entrano, s’accomodi l’habbito stringendolo a i piedi molto decentemente e se ne stia a giacere drstta con le mani giunte sopra il petto e con la faccia coperta sin al naso, acciò sulla bocca scoperta possino mettere il piede le sorelle che entrano…. Quando havrà da farsi la disciplina avverta di non farla in modo che voglia cacciarsi le mosche (…) Vostra Carità alzi gagliardamente il braccio e dia li colpi sodi e con modo che mostri lo sdegno che ha contro quel corpo che di tanto impedimento gl’è al servitio di Dio. Avverta anche che (…) le spalle stiano scoperte in modo che il colpo non dia su la tonica o tonicella ma su la nuda carne, e quando la riceve da altri stia con un modo tanto humile e con le mani giunte che si conosca il desiderio che ha da essere flagellata e sprezzata…
Suor Francesca Farnese, Archivio del Monastero della SS. Concezione di Albano, Ricordi, in Stefano Andretta, La venerabile superbia, Roma, 1994.
L’eroticità delle pratiche di mortificazione corporale, oltre che nella trascendenza cui dovevano portare, sta tutta nell’assenza di contatto fisico che negli altri momenti di vita le monache dovevano condurre: non lavarsi più del necessario (e in età moderna il necessario era veramente poco), non toccarsi, non toccare chi veniva a visitarle (e questo era formalmente impedito dalle fessure da cui parlavano), non possedere animali da compagnia, non parlare.
Tutta un’altra storia rispetto alla mistica medievale (quella successiva al Concilio di Trento fu per lo più repressa, ma non scomparve), fatta di privazioni, ma anche del piacere tutto divino che si raggiungeva con l’estasi.