Femminismi
Ecosex will save the world!
Categories: Malapecora

pur essendo molto critica con la societá dello spettacolo, che crea miti e li distrugge senza alcun rispetto per l’intelligenza delle moltitudini e con il solo scopo di far soldi, riconosco che sento per alcune persone una vera e propria forma di idolatria.
Annie Sprinkle é una di queste persone.


la conobbi attraverso un testo sacro degli anni ’90, quell’Angry Women (raccolta di interviste a un nutrito gruppo di artiste femministe radicali) che la Shake aveva pubblicato con il titolo meraviglioso di Meduse cyborg (lo hanno rieditato, lo trovate qui).
tra i molti interventi interessanti, il suo fu quello che mi colpí al cuore. sostanzialmente perché mi fece ridere.

la sua visione della sessualitá era liberatoria e la sua concezione del femminismo includente: il terreno di ricerca in cui si muoveva, la sessualitá, era quello che mi interessava esplorare e che fino ad allora non ero riuscita ad identificare con chiarezza.
il suo era un femminismo era gioioso e impudico, molto lontano dai modelli che avevo a tiro: per me fu una vera e propria rivoluzione. mi ritrovai nel suo lucido candore e da allora cominciai a seguirla come potevo, scatenata come una fan adolescente.
(nella mia valigia di emigrante trovó posto solo un libro: la sua autobiografia – edita in italiano dalla mitica Venera – che ho successivamente portato come una reliquia in tutti i laboratori di postpornografia che ho condotto).

cosí quando seppi che Diana stava organizzando una serie di eventi che l’avrebbero portata a Barcelona insieme alla sua compagna Beth Stephens e al suo nuovo progetto Sexecology l’emozione mi travolse.
ritrovarmela vicina di tavolo all’Hard Cabaret (che presentarono lei e Beth con una passione, un rispetto e una maestria commoventi) mi aveva giá reso tachicardica: quando mi presentai al primo giorno del Laboratorio di Ecosessualitá sfrigolavo come una patata nell’olio.

incontrare gli idoli non é sempre proficuo. molto spesso é meglio guardarli da lontano, innamorarsi dell’immagine che danno di se e non sporcarla di realtá. perché gli idoli sono esseri umani e quindi cagano, pisciano, dicono bugie e possono risultare piccoli e miseri, se visti da vicino.
ma Annie é grande e generosa e non delude, perché é mitica nel suo essere meravigliosamente umana.

una delle prime cose che dissi al Laboratorio fu che apprezzavo molto la nuova deriva Ecosessuale, perché mi sembrava piú politica delle fisse New Age che avevano caratterizzato l’ultima produzione di Annie prima dell’incontro con Beth.
Beth é una professoressa universitaria e da 11 anni é la compagna di Annie. insieme hanno superato una malattia terribile (Annie si era ammalata di cancro al seno) e hanno orchestrato, durante 7 anni, il LoveArtLab – progetto ispirato alla living art di Linda Montano all’interno del quale, seguendo una struttura basata nei chakra, hanno messo in scena dei matrimoni performativi e coloratissimi (la loro é anche una sorta di rivincita: vivono in California, stato nel quale il matrimonio tra persone dello stesso sesso non é permesso).

cardine dell’Ecosessualitá é la trasformazione della metafora della Terra come madre in quella della Terra come amante: un richiamo a un rapporto piú paritario e meno passivo, piú sensuale e dialogico con gli elementi della Natura. la Natura ha bisogno di essere rispettata e protetta, ma anche di godere… e noi abbiamo bisogno di godere della e nella Natura, per stabilire con essa un vincolo piú significativo.

nel primo giorno di Laboratorio cominciammo con lo sperimentare un contatto profondo e prolungato con la terra, strofinandoci ad occhi bendati, durante piú di 10 minuti, con il pratino del parco della Ciutadella (gli avevamo previamente chiesto il permesso di abbandonarci ai suoi odori e sapori).
scoprimmo che l’espressione Tree-hugger (abbraccia-alberi) in alcuni stati USA é un insulto piú offensivo che Negra, lesbica e puttana. e cosí ci perdemmo in un lunghissimo abbraccio di gruppo ad un albero che sembrava ci aspettasse da un sacco di tempo.
sperimentammo diversi tipi di respirazione per fare del nostro corpo un medium tra terra e cielo.
andammo alla ricerca di E-spots, che sono come punti G di concentrazione sensibile (tattile, visuale, odorosa) del piacere ecosessuale.


io non lo sapevo, ma giá da anni ero ecosessuale (queste foto sono di 5 anni fa, quando giá la metamorfosi da metropola esaurita a neorurale cyborg era in atto…)

per il giorno seguente ci fu dato come compito costruire un altare all’ecosessualitá con gli elementi della natura che sentivamo piú vicini. io misi insieme questo:

mollemente adagiato su un sacco nero della monnezza, il mio altare girava tutto intorno a un sampietrino: un omaggio alle mie radici e a un’ereditá simbolica dei movimenti degli anni ’70. un altro richiamo a Roma era il fiore di zucchina, poi la margherita che é il fiore piú semplice e comune che esiste e poi lenticchie e lavanda e un pomodoro (nasorosso!).
tutto circondato da un filo di lana rosso, perché tutte le cose che ho fatto nella vita (che riguardino il sesso o l’attivismo) sono legate tra loro.

un’altro compito che avevamo era quello di preparare una piccola performance da rappresentare sulla spiaggia nudista di San Pol, dove andammo a svolgere il secondo giorno di laboratorio.
la mia perfo era semplicissima: raccontai la storia di Schiuma d’onda, uno dei Dialoghi con Leucó di Pavese, nel quale la poetessa Saffo e la ninfa Britomarti si interrogano sulla vita, l’amore e l’essere donne. é uno dei testi che ha formato il mio immaginario erotico/amoroso ed é di una tristezza senza pari.
risciacquando dunque queste antiche memorie letterarie nella nuova filosofia ecosessuale, che mi vede al centro di un universo materiale pieno di spunti d’amore e d’erotismo non strettamente collegati alla dimensione umana, mi ripromettevo di rinascere tra la schiuma delle onde come una donna nuova un po’ ninfa, un po’ dea, un po’ tindaride e molto cyborg, capace di amare e di sorridere, creatrice del suo destino dove l’amore é forza motrice e non maledizione da rifuggire.
ero vestita del mio migliore vestito di paillettes (compagno di tante battaglie: di Primimaggi e Mayday, di vari raves, del Reclaim your media e di numerosisssime feste e festucce – se mi conoscete sicuramente l’avrete visto – io l’avevo giá visto troppe volte…) e alla fine di questo pippone su chi ero stata e chi volevo essere mi sono alzata ed é uscito il sole, che si rifletteva sul vestito sparando raggetti di luce.
mi sono tirata in mare ammischiandomi con la schiuma d’onda, uscendone nuda e nuova.

il vestito poi l’ho regalato a Annie ed é stato bellissimo, come darle un pezzettino di me.

le altre perfo erano tutte interessanti (l’S/M ecosex é quella che m’é piaciuta di piú) e Beth e Annie erano felici e attentissime (qui ci sono un po’ di foto dei due giorni di laboratorio e la loro cronaca in inglese).

parlando con le nostre madri ecosex del movimento Notav in Valsusa gli proponemmo (come EcoSex Bloc) di fare un videomessaggio di animo a chi resiste. sta qui e fa abbastanza ridere con i consigli un po’ frikkettoni, ma loro due sono mitiche.

 

 

vi lascio con l’allegato di Pavese, che pure se é triste é bello – é una prosa divina e fa bene come certe gioie della Natura (la frase chiave é di Saffo, naturalmente, quando dice che se non puó essere se stessa non vuol essere nessuna…)

Saffo: E’ monotono qui, Britomarti. Il mare è monotono. Tu che sei qui da tanto tempo, non t’annoi?
Britomarti: Preferivi quand’eri mortale, lo so. Diventare un po’ d’onda che schiuma, non vi basta. Eppure cercate la morte, questa morte. Tu perché l’hai cercata?
Saffo: Non sapevo che fosse così. Credevo che tutto finisse con l’ultimo salto. Che il desiderio, l’inquietudine, il tumulto sarebbero spenti. Il mare inghiotte, il mare annienta, mi dicevo.
Britomarti: Tutto muore nel mare, e rivive. Ora lo sai.
Saffo: E tu perché hai cercato il mare, Britomarti – tu che eri ninfa?
Britomarti: Non l’ho cercato, il mare. Io vivevo sui monti. E fuggivo sotto la luna, inseguita da non so che mortale. Tu, Saffo, non conosci i nostri boschi, altissimi, a strapiombo sul mare. Spiccai il salto, per salvarmi.
Saffo: E perché poi, salvarti?
Britomarti: Per sfuggirgli, per essere io. Perché dovevo, Saffo.
Saffo: Dovevi? Tanto ti dispiaceva quel mortale?
Britomarti: Non so, non l’avevo veduto. Sapevo soltanto che dovevo fuggire.
Saffo: E’ possibile questo? Lasciare i giorni, la montagna, i prati – lasciar la terra e diventare schiuma d’onda – tutto perché dovevi? Dovevi che cosa? Non ne sentivi desiderî, non eri fatta anche di questo?
Britomarti: Non ti capisco, Saffo bella. I desiderî e l’inquietudine ti han fatta chi sei; poi ti lagni che anch’io sia fuggita.
Saffo: Tu non eri mortale e sapevi che a niente si sfugge.
Britomarti: Non ho fuggito i desiderî, Saffo. Quel che desidero ce l’ho. Prima ero ninfa delle rupi, ora del mare. Siamo fatte di questo. La nostra vita è foglia e tronco, polla d’acqua, schiuma d’onda. Noi giochiamo a sfiorare le cose, non fuggiamo. Mutiamo. Questo è il nostro desiderio e il destino. Nostro solo terrore è che un uomo ci possegga, ci fermi. Allora sì che sarebbe la fine. Tu conosci Calipso?
Saffo: Ne ho sentito.
Britomarti: Calipso si è fatta fermare da un uomo. E più nulla le è valso. Per anni e per anni non uscì più dalla sua grotta. Vennero tutte, Leucotea, Callianira, Cimodoce, Oritía, venne Anfitrìte, e le parlarono, la presero con sé, la salvarono. Ma ci vollero anni, e che quell’uomo se ne andasse.
Saffo: Io capisco Calipso. Ma non capisco che vi abbia ascoltate. Che cos’è un desiderio che cede?
Britomarti: Oh Saffo, onda mortale, non saprai mai cos’è sorridere?
Saffo: Lo sapevo da viva. E ho cercato la morte.
Britomarti: Oh Saffo, non è questo il sorridere. Sorridere è vivere come un’onda o una foglia, accettando la sorte. E’ morire a una forma e rinascere a un’altra. E’ accettare, accettare, se stesse e il destino.
Saffo: Tu l’hai dunque accettato?
Britomarti: Sono fuggita, Saffo. Per noialtre è più facile.
Saffo: Anch’io, Britomarti, nei giorni, sapevo fuggire. E la mia fuga era guardare nelle cose e nel tumulto, e farne un canto, una parola. Ma il destino è ben altro.
Britomarti: Saffo, perché? Il destino è gioia, e quando tu cantavi il canto eri felice.
Saffo: Non sono mai stata felice, Britomarti. Il desiderio non è canto. Il desiderio schianta e brucia, come il serpe, come il vento.
Britomarti: Non hai mai conosciuto donne mortali che vivessero in pace nel desiderio e nel tumulto?
Saffo: Nessuna… forse sì… Non le mortali come Saffo. Tu eri ancora la ninfa dei monti, io non ero ancor nata. Una donna varcò questo mare, una mortale, che visse sempre nel tumulto – forse in pace. Una donna che uccise, distrusse, accecò, come una dea – sempre uguale a se stessa. Forse non ebbe da sorridere neppure. Era bella, non sciocca, e intorno a lei tutto moriva e combatteva. Britomarti, combattevano e morivano chiedendo solo che il suo nome fosse un istante unito al loro, desse il nome alla vita e alla morte di tutti. E sorridevano per lei… Tu la conosci – Elena Tindaride, la figlia di Leda.
Britomarti: E costei fu felice?
Saffo: Non fuggì, questo è certo. Bastava a se stessa. Non si chiese quale fosse il suo destino. Chi volle, e fu forte abbastanza, la prese con sé. Seguì a dieci anni un eroe, la ritolsero a lui, la sposarono a un altro, anche questo la perse, se la contesero oltremare in molti, la riprese il secondo, visse in pace con lui, fu sepolta, e nell’Ade conobbe altri ancora. Non mentì con nessuno, non sorrise a nessuno. Forse fu felice.
Britomarti: E tu invidi costei?
Saffo: Non invidio nessuno. Io ho voluto morire. Essere un’altra non mi basta. Se non posso esser Saffo, preferisco esser nulla.
Britomarti: Dunque accetti il destino?
Saffo: Non l’accetto. Lo sono. Nessuno l’accetta.
Britomarti: Tranne noi che sappiamo sorridere.
Saffo: Bella forza. E’ nel vostro destino. Ma che cosa significa?
Britomarti: Significa accettarsi e accettare.
Saffo: E che cosa vuol dire? Si può accettare che una forza ti rapisca e tu diventi desiderio, desiderio tremante che si dibatte intorno a un corpo, di compagno o compagna, come la schiuma tra gli scogli? E questo corpo ti respinge e t’infrange, e tu ricadi, e vorresti abbracciare lo scoglio, accettarlo. Altre volte sei scoglio tu stessa, e la schiuma – il tumulto – si dibatte ai tuoi piedi. Nessuno ha mai pace. Si può accettare tutto questo?
Britomarti: Bisogna accettarlo. Hai voluto sfuggire, e sei schiuma anche tu.
Saffo: Ma tu lo senti questo tedio, quest’inquietudine marina? Qui tutto macera e ribolle senza posa. Anche ciò che è morto si dibatte inquieto.
Britomarti: Dovresti conoscerlo il mare. Anche tu sei da un’isola…
Saffo: Oh Britomarti, fin da bimba mi atterriva. Questa vita incessante è monotona e triste. Non c’è parola che ne dica il tedio.
Britomarti: Un tempo, nella mia isola, vedevo arrivare e partire i mortali. C’erano donne come te, donne d’amore, Saffo. Non mi parvero mai tristi né stanche.
Saffo: Lo so, Britomarti, lo so. Ma le hai seguite sul loro cammino? Ci fu quella che in terra straniera s’impiccò con le sue mani alla trave di casa. E quella che si svegliò la mattina sopra uno scoglio, abbandonata. E poi le altre, tante altre, da tutte le isole, da tutte le terre, che discesero in mare e chi fu serva, chi straziata, chi uccise i suoi figli, chi stentò giorno e notte, chi non toccò più terraferma e divenne una cosa, una belva del mare.
Britomarti: Ma la Tindaride, tu hai detto, uscì illesa.
Saffo: Seminando l’incendio e la strage. Non sorrise a nessuno. Non mentì con nessuno. Ah, fu degna del mare. Britomarti, ricorda chi nacque quaggiù…
Britomarti: Chi vuoi dire?
Saffo: C’è ancora un’isola che non hai visto. Quando sorge il mattino, è la prima nel sole…
Britomarti: Oh Saffo.
Saffo: Là balzò dalla schiuma quella che non ha nome, l’inquieta angosciosa, che sorride da sola.
Britomarti: Ma lei non soffre. E’ una gran dea.
Saffo: E tutto quello che si macera e dibatte nel mare, è sua sostanza e suo respiro. Tu l’hai veduta, Britomarti?
Britomarti: Oh Saffo, non dirlo. Sono soltanto una piccola ninfa.
Saffo: Tu vedi, dunque…
Britomarti: Davanti a lei, tutte fuggiamo. Non parlarne, bambina.

Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò (1947)

 

 


ps: join the EcoSex Bloc!

Ci sono piú cose in cielo e in terra (di cui godere) Orazio (?)
di quante non ne sogni la tua filosofia…

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