Femminismi
support your local postporn star #03 – l’Anonima Black Bloc
Categories: Malapecora


lunedí 4 luglio scriveva Ricke:
ieri repubblica usava questa foto in prima pagina per parlarci di scontri, di “black bloc” (o mi signur ma i giornalisti il linguaggio non lo aggiornano mai? secondo me dicono anche ancora spinello e flipper), di efferatezze di una minoranza che rovinavano la bella marcia pacifica di 60.000 cittadin* un po’ pirla ma in fondo buon*.
a me ha molto impressionato. essendo stata in mezzo a quei 60.000 ho di tutta la giornata un’impressione parziale (in montagna l’esperienza che si fa di un corteo è ancora più parziale che in pianura. son solo quei metri che vedi) ma soprattutto problematica, cioè non so ancora bene cosa penso e cosa sento perchè ho avuto troppi stimoli contrastanti. e questi stimoli contrastanti si appoggiano su altre mie esperienze passate soggettive e su quelli si misurano. quindi a chi mi chiede “come è andata ieri” io non so rispondere. se non in maniera aneddotica. e ho degli aneddoti stupendi per chi li volesse sentire…
ma la foto abita il mio immaginario da quando l’ho vista ieri sera al mio ritorno a casa, quando mi son fatta scoppiare il fegato con una breve rassegna stampa.
io vedo una ragazza, presumibilmente giovane, disarmata e a mani nude, arrampicata sulla cancellata di un cantiere della mafia (dello stato-mafia o della mafia-stato). hai il volto coperto ma parrebbe non avere una maschera antigas. è in una nuvola di CS, gas cancerogeno e vietato in guerra ma permesso in pace, e sfida con il suo corpo e il suo coraggio (temerarietà? beata gioventù? scapestratezza? stupidità? chi lo sa..) dei robocop senza volto, protetti da mille congegni e armati fino ai denti.
politicamente non so che dire.
umanamente posso dire che è un’immagine bellissima. che è straordinariamente sexy (nel senso più politico che potete dare a questa parola) e che spero che oggi la ragazza stia bene e non sia ferita. umanamente le mando anche un bacio. se lei lo vuole.
sono cresciuta negli anni 70. sandokan che affronta gli inglesi solo armato di coltello resta nella mia mente bambina il massimo valore cui l’essere umano può aspirare. è la mia parte immatura e me la coltivo con cura.

io dico che se il sogno di ogni valletta é sposare un calciatore, il sogno di ogni attivista é scopare il black bloc (dove l’articolo determinativo il si riferisce a bloc e contiene quindi gli indeterminativi un, una, dei – a seconda delle inclinazioni sessual-sentimentali del soggetto desiderante).

————> prima di continuare a vaneggiare, due precisazioni:

– quella ritratta nell’immagine sopra non é – evidentemente – una black bloc. indossa una kefia che le copre il volto ma non per travisare la sua identitá. come dice Ricke é immersa in una nuvola di gas lacrimogeno e cerca di proteggere come puó il suo apparato respiratorio. il suo linguaggio corporeo (é a mani alzate e completamente scoperta) é quanto di piú lontano dalla poesia e pratica della sovversione sociale che é tipica dell’agire del Black bloc (che rivendica il diritto ad esercitare una violenza distruttrice sui simboli materiali della societá capitalista nella quale viviamo).
il corpo della manifestante ritratta grida PACE (oltre a una serie di bestemmie, che sono l’unico elemento di violenza che possiamo attribuirle).

non come questa qua sotto:


(notevole l’insieme, dalla posa plastica di sapore classicheggiante all’abbigliamento steampunk – tutto in lei dice: non staró ferma mentre cerchi di maciullare me e chi ho intorno)

il Black bloc non esiste – moriremo Black bloc (sempre meglio che democristiani)

La definizione di Black bloc viene usata impropriamente dalla maggior parte dei giornalisti (terroristi, lo dico adesso come 10 anni fa: non solo perché in massima parte asserviti al Potere di turno, ma perché nella quasi totalitá scrivono di cose che non conoscono copiando in maniera pedissequa agenzie di stampa e rivendicando la superficialitá piú becera come unica etica professionale).

il cosiddetto blocco nero (chiamato in questo modo a causa della dominante cromatica dell’abbigliamento di lo pratica) non é un’organizzazione: é una maniera di agire le proteste che si riappropria della violenza, agendola simbolicamente (é piú violenta una sassata contro la vetrina di una agenzia di lavoro interinale o il ricatto della precarietá che ci toglie anche la piú semplice idea di futuro? é piú insopportabile la distruzione di un bancomat o il fatto che una percentuale crescente di persone vive sotto la soglia di povertá? ti fa piú male un blindato in fiamme o un barcone pieno di immigrati disperati di speranza che si rovescia nel Mediterraneo?).
[se alle domande retoriche di cui sopra hai risposto inclinandoti verso l’umano, fai questo test: magari anche tu sei un Black bloc e non lo sai…)

nell’ultimo decennio s’é aggirato varie volte lo spettro del Black bloc per l’Europa (e non solo). tutte le volte che un corteo non stava lí tranquillo a farsi triturare dai manganelli e gasare dai lacrimogeni, ricicciava il Black bloc. tutte le volte che la dinamica di piazza non era comprensibile alle forze del cosiddetto ordine (e magari neanche alle stesse persone che avevano promosso e organizzato le manifestazioni…), arieccolo: il capro espiatorio perfetto.
io non penso che siano professionisti della violenza: sono manifestanti che assumono la dinamica dello scontro (il riot) rischiando grosso, visto che la disparitá di forze tra loro e le forze del cosiddetto ordine é fin troppo evidente.
e detto tra noi, a me che sono una mediattivista pink, che la comunicazione prima di tutto, che nei cortei ci voglio mia madre e mia figlia e se ce l’avessi pure mi nonna, condividere spazi con la dinamica Black bloc m’ha sempre un po’ messo in difficoltá: la violenza alza il livello dello scontro per tutti e tutte e se non sei preparata e non hai delle scarpe comode, poniamo, lo scompiglio della microguerriglia amica puó trasformarsi in un cetriolone che t’arriva in culo senza consenso.

ma quando la posta in gioco é molto alta – e il livello di repressione pauroso, reagire diventa quasi una scelta obbligata. anche per chi non é affatto Black bloc.
e mi sembra esattamente quello che é successo il 3 luglio in Val di Susa (qua é raccontato molto bene).

ora, la posta in gioco é altissima.
o riusciamo a praticare un mondo diverso, a promuovere la decrescita, ad organizzarci in reti di affinitá e di supporto, a veicolare altri valori, ad uscire dai giri del loro consumo, o presto toccherá a tutti e tutte vestirci di nero, travisarci la faccia e acchiappare il primo tubo innocenti che troviamo (se non per andare in manifestazione, piú brutalmente per andare a fare la spesa o quando ci tocchi pagare l’affitto).


(se avete trovato stimolante l’immaginario rioter, Zerocalcare ne é un gagliardo cantore. mi piace e mi piacciono le sue creature ribelli, anche se hanno sempre questo sguardo cosí truce e serio che mi impedisce di immedesimarmi e alla lunga me fa ride…)

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