Domenica scorsa 19 giugno era l’ultimo giorno del mio soggiorno sui sette colli. Dopo aver timbrato l’ultimo cartellino al Forte (5 giorni su 5, se non fosse che ci ho passato pure 5 anni tondi della mia non giá breve vita mi sembrerebbe un’immensitá) avevo deciso di farmi un giretto anche per il centro, se non altro per far mangiare una pizza ad Esperanza che altrimenti non avrebbe avuto l’impressione di essere stata in Italia.
Il vero obiettivo era raggiungere la piazza romana dell’Indignazione precaria: la chiamata sotto Montecitorio era per me ovviamente irresistibile… ma prima, per non sentirmi del tutto solo e sempre militonta, avevo deciso di passare con un gruppo di amiche a una mostra di Francesca Woodman, ove erano esposte alcune sue piccole foto e una serie di documenti inediti (alcuni interessanti, altri meno).
Diciamo che ad attrarre la mia attenzione, piú che la mostra in se, fu il luogo che la ospitava: si chiama Museo del Louvre ed é uno di quei posti che é bello e irreale esistano ancora in un mondo come il nostro.
É un negozio di fotografie, dove trovi da robe degli anni ’20 a ritratti di Pasolini alle mondine a cose piú moderne e sperimentali. Un paradiso per l’occhio e pure per l’olfatto e il tatto, perché la carta ha un buon odore e ogni foto ha la sua base di cartoncino ed é mischiata in ordine casualissimo in degli espositori in cui puoi smucinare liberamente.
E smucinando pure poco, trovo LA FOTO.
Bellissima immagine pornografica degli anni ’30, un po’ fuori dai canoni della pornografia tradizionale ma comprensibilmente, in quegli anni di protoemancipazione femminile, di addii al busto crudele e di tagli radicali di capelli: lei guarda in macchina, é semisdraiata a gambe aperte mentre un lui del quale si notano solo i capelli impomatati si accinge a praticarle un cunnilingus. La padronanza della scena del personaggio femminile é totale. La mia voglia di possedere quella foto, indescrivibile.
Tra me e il soddisfacimento del mio desiderio c’é uno scoglio di 25 euro. In tasca ho gli ultimi 20 euro del mondo (in banca sono in rosso e anche se ho un tot di fatture in pagamento la sapete com’é la storia, no?) ma sono pronta a sacrificarli per intero all’impresa, rinunciando alla pizza, alla colazione di domani e anche all’autobus dall’aeroporto a piazza Catalunya.
Devo peró riuscire a baccagliare uno sconto, cosa con la quale non ho molta familiaritá.
Sono una poveraccia da sempre e forse per questo non mi é mai piaciuto comprare. In questo mi sono sempre sentita poco donna.
Non so tirare sul prezzo, sono una di quelle che anche se va vestita abbastanza male ai mercatini paga sempre il prezzo pieno perché se uno ha occhio lo vede da lontano che il denaro mi fa vergogna e da occidentale di merda che sono ogni centesimo che ho in tasca mi sembra rubato a qualcunx piú povero di me, anche se nessuno me l’ha regalato ma sicuramente ho lavorato (magari poco) per averlo.
Quindi mi rassegno a lasciare la foto al suo posto, ma mi lamento con tutte le amiche presenti – le quali mi sobillano, mi dicono (come fanno sempre le amiche) Maddai, ma é tua, ma é meglio se la prendi te piuttosto che rimane qua, ma cazzo, ma ti pare che non ti fa uno sconto, ma almeno prova.
Dopo una serie di avanti e indietro penosi in cui prendo la rincorsa ma non riesco mai a raggiungere l’obiettivo, alla fine riesco a fiondarmi su quello che mi sembra il proprietario di tutta la storia, un signore coi capelli bianchi a cui spiego il mio dilemma e che fa l’indiano e mi forwarda a un’altra tipa.
Lei avrá forse la mia etá, ma é piú magra, piú elegante, piú intellettuale, piú donna.
Io ho dei capelli incommentabili, una minigonna rossa, delle scarpe da ginnastica un po’ invernali che mi fanno puzzare i piedi abbestia con la callara romana (ma che erano precise per il Forte) e una maglietta con scritto sopra CaccaDura.
Lei sta svolazzando da alcuni minuti intorno a un tipo che deve considerare importante e infatti quando m’avvicino e timidamente le chiedo “Scusa…” mi fulmina con lo sguardo e mi dice una cosa tipo “Quando finisco con il signore parlo con te”
Io giá sudo freddo e mi vergogno a morte, quindi quando lei s’avvicina mi rimpicciolisco tutta e comincio a sentire puzza di capro…
Le spiego la situazione, le dico che non ho abbastanza soldi ma che quelli che ho ce li metto tutti.
Lei neanche mi guarda, mi spiega che quella foto vale molto di piú di quello che costa, l’avvicina ad altre (che non c’entrano un cazzo, sono degli anni ’20, hanno un’altra grana e un’altro stile ma per lei sono uguali, é pornografia e punto) cercando di farmi credere che é tutta un’unica serie di un bordello di non so che Nu Orleans e mi spara due o tre cazzate sulla pornografia che se volessi (della tettonica a zolle non so un cazzo, ma stella mia ormai sono anni che mangio pane e porno anzi a volte solo porno) dico, che se volessi potrei inchiodarla al muro come Cristo e invece le dico umilmente “Guarda che io lo capisco benissimo il valore che ha questa foto (n.b. per questo sto facendo sta figura di merda per averla) é solo che sono precaria e proprio non ci arrivo!”
Lei mi propone di pagarle metá ora, metá un’altra volta. Io le dico che so pure emigrata e che al momento non ho idea di quando potró tornare a Roma.
A sto punto, spazientita da tanta sfiga, mi rimanda a parlare col vecchio e mi dice “Che decida lui!”
Io ritorno dal vecchio pensando che forse é una candid camera che hanno organizzato le mie amiche che stanno lí a godersi la scena.
Il tipo coi capelli bianchi quando mi vede sbuffa e mi dice “Non te l’ha fatto lo sconto?” Io faccio la faccia che no ma ormai non riesco piú a dire niente. Torniamo insieme dalla tipa, che alle prime parole del vecchio sbotta e urla davanti a tutti EH NO, PERCHÉ LEI É PRECARIA, LEI… E IO CHE LAVORO PER 400 EURO AL MESE E STO QUA PURE LA DOMENICA? EH? E IO ALLORA? e in un impeto di rabbia tira in aria una pallina di carta che stava maneggiando.
Io scappo dal negozio, inseguita dal vecchio a cui dico che mi dispiace un sacco, soprattutto mi dispiace che lei stia cosí e tante care cose ma soprattutto tenetevela, quella cazzo de foto.
Non so cosa possa essere girato storto nella capoccia di quella ragazza, non so cosa le avrá dato fastidio (ma se dovessi scommettere, punterei sulla maglietta CaccaDura), di sicuro aveva un sacco di rabbia precaria che avrebbe fatto bene a rivolgere non verso un’altra disgraziata come lei ma verso chi la paga cosí poco, verso il sistema, o forse verso se stessa che accetta quel tipo di compromesso (poi me dovrebbe spiegá come ci vive, con 400 euro, ma questa é un’altra storia).
La guerra fra poveri mi fa schifo. La dinamica per la quale vale piú affondare uno che ti sembra piú disgraziato di te che lottare per i tuoi diritti o guardarti allo specchio e avere il coraggio di sputarti in faccia una volta ogni tanto é cosí tipica e cosí funzionale al capitalismo che mi pento e mi dolgo di aver vissuto gli anni migliori della mia vita in una borgata innominabile e di non aver imparato mai neanche le regole di base del catfight, che a quella un pizzone je stava proprio bene.
Certe volte so veramente troppo fregnona.