Ragionando intorno alla pandemia in relazione con il virus. – E con chi sennò?
E’ stato chiamato Sars-cov2 per dire che non è il primo della sua specie ma, pur essendo il secondo è comunque nuovo per noi.
Esiste una versione abbastanza condivisa di come si sia presentato sulla scena umana; in ogni caso, che ci si creda o no, il fatto è che c’è e che procura quella malattia chiamata Covid e che in molti casi provoca, direttamente o indirettamente (per la reazione del sistema immunitario) la morte delle persone.
Dunque abbiamo a che fare con lui, la cui mission, come del resto di tutti i virus, è quella di moltiplicarsi dentro il corpo di qualcun altro. Adesso, dopo il presunto pangolino, gli ospiti siamo noi.
Noi, che dai tempi di Marco Caco (Neanderthal?) siamo una specie aggressiva e belligerante, gli abbiamo schierato contro tutto il nostro migliore arsenale linguistico militaresco parlando di nemico invisibile (alla stregua degli stealth), armi specifiche, difese mirate, guerra globale ecc.
In contemporanea con un florilegio di briefing massmediatici che tanto hanno titillato la vanità di esperti/e chiamati/e a dissertare nella società dello spettacolo, delle news e delle fake-news, della post verità nell’ecosistema della disinformazione.
Alla fine si capiva poco e niente e anche le poche analisi epidemiologiche serie si perdevano in un mare di numeri spesso sparati a caso dentro un magma contraddittorio.
Certo, non era facile, anche per modo di viaggiare del SarsCov2: con le nostre emissioni respiratorie.
Ritorna in mente il suo compare retrovirale HIV che debuttò all’epoca in cui i virus erano più comprensibili in termini tecnologici (quelli che infettavano i computer) che biologici; in ogni caso, quello viaggiava per via fluido-sessuale perciò, nonostante la difficoltà ad accettare l’irruzione del dictat biologico nella vita sociale e intima, le cose erano chiare: per evitarlo occorreva (occorre), oltre ai controlli trasfusionali, soprattutto il profilattico.
Ma come si fa ad evitare o contenere il respiro, la parola, il grido, il canto?…
La mascherina è diventato il nostro condom, il lockdown la nostra astinenza.
C’è chi dice (spesso all’interno del movimento) che “La mascherina non serve a preservare dal contagio”; forse non a preservare (abbiamo anche altre mucose a disposizione) ma, se ammettiamo che lui cammina con noi; a contenere sì. E’ semplice da capire, non occorre farselo dire dal governo, dall’Europa o dall’Organizzazione mondiale della sanità.
Qualcun* ricorderà la campagna Pubblicità Progresso del 1989: “AIDS: se lo conosci lo eviti” dove gli aidizzati (appestati) erano contornati da un alone fuxia. Quella era la sintesi di come la politica e la morale segnavano l’evento e gli infetti, e prescrivevano il comportamento.
Da allora, il processo di controllo sorvegliante e prescrittivo innescato è progredito; ha assunto i contorni precisi e dettagliati che chiamiamo “biopolitica” e che Paul Preciado (fra i/le tanti/e) descrive così bene qui pubblicato il 9 maggio su Internazionale dal titolo “Le lezioni del virus”.
Si può anche ritenere che in realtà tutta l’emergenza covid sia un esperimento sociale costruito sull’induzione della paura per attuare politiche di confinamento e che, per parafrasare Agamben…”La Pandemia, se non ci fosse bisognerebbe inventarla…”
Ma al netto di tutto ciò, al netto di chi parla di “epidemia farlocca” e chiama alla piazza contro complotti planetari, di chi ritiene il virale strumentalmente virtuale…; dal nostro punto di vista, il virale è ‘comportamento’ di virus reale ed è con lui che ci dobbiamo mettere in relazione.
…E pur si muove muore… Già.
E’ vero, il lockdown che confina le donne in casa con relativo aumento di molestie e violenza non dimostra altro che quello che già c’era e che riemerge non appena ne ha l’opportunità come durante uno ‘stato di emergenza’: una violenza patriarcale mai estinta, che cova come braci sotto la cenere.
Il virus mette a nudo anche le miserie di questa società, politicamente miserabile, gerarchica, patriarcale.
Ma il virus è soprattutto entità biologica che penetra i nostri corpi indipendentemente dal fatto che questi siano, come dice Vandana Shiva, l’ultimo baluardo da colonizzare e sfruttare in termini schiavisti ed estrattivisti o che siano alimento del potere biopolitico.
Che fare dunque?
Scrive Preciado: “Tutto questo potrebbe essere una brutta notizia o una grande opportunità. È proprio perché i nostri corpi sono le nuove enclavi del biopotere e i nostri appartamenti le nuove celle di biovigilanza che oggi più che mai bisogna inventare nuove strategie di emancipazione cognitiva e di resistenza, avviare nuove forme di antagonismo.
Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, la nostra salute non dipenderà dal confine né dalla separazione, ma da una nuova concezione della comunità che includa tutti gli esseri viventi, da un nuovo equilibrio con gli altri esseri viventi del pianeta”.
Non è chiara nei dettagli, ma è un’indicazione, una sintonia, una frequenza sulla quale altre donne si sono orientate.
Donna Haraway per esempio.
Nel suol testo visionario (e profetico!) del 2016 “Chtulucene-sopravvivere su un pianeta infetto”, ci interpella con una questione interessante: “E’ importante capire quali idee usiamo per pensare altre idee”.
Nel nostro caso, con quali idee pensiamo a virus, contagio, epidemia? … NOI, non il potere, non il sistema del quale ne abbiamo già capito abbastanza (speriamo).
Un’entità biologica infinitesima ci chiama a pensare in termini biologici.
Dobbiamo allora ricorrere ad un sapere scientifico?
Un sentire spesso comune nel movimento è quello di non entrare in argomenti tecnico-scientifici perché “la scienza non è neutra”…
NO, non lo è, né potrebbe esserlo perché sempre prodotta da un ente conoscente, ontologicamente e storicamente situato, che sia Bacone (1) o Barbara McClintok, è così. Certo, meglio la seconda (2) che il primo…; questo è quello che abbiamo imparato dalle epistemologie femministe che hanno scardinato proprio il dogma del Sapere con la S maiuscola che poi era maschio, bianco, occidentale ecc. ecc.
Perciò, sì, dobbiamo pensare anche in termini scientifici, in questo caso biologici perché, se, come scrive Preciado, “dobbiamo passare da una mutazione forzata (quella indotta dal potere) a una mutazione decisa da noi” abbiamo bisogno di una cornice concettuale più ampia che collochi la nostra specie fra le altre considerando uguaglianze e differenze. Allora, da questo punto di vista, i virus non sono né nemici, né amici; sono. Dentro e fuori di noi che siamo in parte fatti, evolutivamente “costruiti”, anche con – e attraverso di loro, ancora parte attiva e fondamentale del nostro DNA.
Da qualsiasi buco nero del sistema neoliberista siano stati forzati ad uscire; da un orribile wet market, allevamento intensivo o distruzione di habitat, sono qui e non fanno null’altro che quello che la natura fa: mutare ed evolvere. Scriveva tempo fa Elena Gagliasso: “… La mancata metabolizzazione dei metodi evoluzionistici non ci ha reso accessibile uno strumento di trascendimento dell’immediato e quindi di collocare l’eccezionalità per noi in una non-eccezionalità per la storia del mondo vivente…”
Ovviamente l’evoluzione (replicazione/mutazione) virale nei nostri corpi pone un problema al nostro sistema immunitario sempre messo davanti al nuovo ospite nell’eterno dilemma se collaborare (con lui) o competere. Fu Lynn Margulis nel 1967 a proporre l’evoluzione attraverso la cooperazione tra gli esseri viventi. Il motore della selezione naturale non era solo la competizione ma anche la condivisione incessante di forze, obiettivi e patrimonio genetico.
Una soluzione per tempi biologici lunghi, mentre i tempi storici, i nostri, sono brevi e richiedono risposte immediate.
Il buonsenso ci suggerirebbe di prenderlo a piccole dosi, ma non siamo tutt* giovani e forti perciò, come spinta di specie, (e non subalternità a dictat governativi spesso contraddittori o incongruenti) dovremmo avere anche la sensibilità per proteggere le persone più fragili. Conosciamo altri modi efficaci che non siano distanziamento e mascherine?
E poi ci sono i vaccini che, lo sappiamo già in partenza, sono prodotti di Big Pharma con tutto quello che significa, frutto di finanziamenti e contrattazioni con gli stati per i quali infine saranno agiti come nuove armi strategiche. Ma i vaccini, ammesso che funzionino nel tempo, saranno istruzioni operative per il sistema immunitario costruiti per indurlo a produrre anticorpi specifici.
Quelli a mRNA sfruttano questa sequenza-informazione del virus per far produrre alle nostre cellule solo la proteina spike (quella che il virus usa per infettarci) di modo che il sistema immunitario reagisca producendo gli anticorpi specifici. Se, e quando arriverà, il virus tutto intero, il sistema sarà istruito per disattivarlo. Niente di che; un sistema di furto (rubiamo al virus il suo mRNA) ed inganno (usiamo il suo stesso mRNA per stopparlo). La mente umana è “furba”? “intelligente”? Mah…
Torniamo al “Quali idee usiamo per pensare altre idee?”
Se non ci fosse una mentalità predatoria ed estrattivo distruttiva nei confronti dell’ambiente non avremmo stimolato nuovi virus, ed allora non avremmo bisogno di nuovi vaccini… Se non ci fosse ancora una mentalità patriarcale durante il lockdown non avremmo problemi di violenza contro le donne… e via avanti…
Allora, quali idee mettere in campo per scardinare tutto questo? Viviamo perché questo pianeta è stato reso abitabile dai microbi, siamo un risultato occasionale dei loro scarti (l’ossigeno) ma stiamo rendendo il pianeta inabitabile a tutti, non solo a noi.
“Restare in vita, mantenerci in vita come pianeta, di fronte al virus ma anche a ciò che potrà succedere, significa mettere in atto nuove forme di cooperazione planetaria” dice Preciado; se pensassimo per dualismi contrapposti, potremmo anteporre un “bio-femminismo” alla bio-politica, ma già un semplice virus rompe gli schemi binari fra
locale e globale, grande e piccolo, debole e forte, dentro e fuori; salta, migra, muta e rompe i confini di specie e ci suggerisce che dobbiamo pensare per complessità collegate; “ecofemminismo” ci sembra meglio.
“Pensare, pensare, dobbiamo.Dobbiamo pensare”: Donna Haraway cita Isabelle Stengers e Vinciane Despret (3) che a loro volta citano Virginia Woolf… che a sua volta è citata da Maria Puig della Bellacasa (3). Un filo di pensiero continuo e complesso che aggroviglia noi insieme a tutte le altre specie.
NOTE
(1) «La natura nella concezione di Bacone doveva essere “rincorsa nelle sue peregrinazioni”, “costretta a servire” e resa “schiava”. Essa doveva essere “messa in ceppi” e scopo dello scienziato doveva essere quello di “strappare con la tortura i suoi segreti”. Pare che gran parte di queste immagini violente siano state ispirate dai processi per stregoneria, che erano frequenti al tempo di Bacone. In quanto ministro della Giustizia sotto il re Giacomo I, Bacone aveva grande familiarità con tali processi, e poiché la natura era considerata di solito femmina, non sorprende che egli trasferisse nei suoi scritti scientifici le metafore usate nei tribunali. In effetti la sua concezione della natura come donna alla quale si debbano strappare i segreti con la tortura per mezzo di dispositivi meccanici richiama alla mente con grande evidenza la diffusione della tortura alle donne nei processi per stregoneria dell’inizio del Seicento» (Carolyn Merchant in «La morte della natura. Donne, ecologia e Rivoluzione scientifica. Dalla Natura come organismo alla Natura come macchina», 1988)
(2) Vedi anche In sintonia con l’organismo (castelvecchieditore.com)
(3) Donna Haraway, Chthulucene – vivere su un pianeta infetto. Nero edizioni, settembre 2019. Pag. 51; rimando a nota 2, pag. 202: “Questa frase si trova sulla quarta di copertina di Stenger e Despret, Women Who Make a Fuss, Univocal Pub 2014. Quel “Non dobbiamo mai smettere di pensare” tratto da Le tre ghinee di Virginia Wolf è un’urgenza che viene trasmessa al con-pensare femminista di Women Who Make a Fuss attraverso Puig del la Bellacasa: “Penser nous devons”.