Un’altra donna uccisa. Il fatto è orribile ed il modo in cui i media raccontano non smette di essere brutto.
Scrive il Messaggero Veneto del 24 settembre: “Litigano, poi la uccide per motivi economici”. Detta così, ha il sapore di una delle tante narrazioni tossiche che si fanno intorno al femminicidio; cioè quel modo di raccontare i fatti guardandoli dalla parte di chi agisce la violenza; cercando delle motivazioni che spesso scivolano verso la giustificazione.
Quante ne abbiamo lette sui “raptus”, sull’aver agito in preda all’alcol, alle droghe, per un deluso amore, per paura dell’abbandono… per tutte quelle motivazioni che spiegano rispondendo ad un perchè che chiude il capitolo, si ferma lì e non indaga oltre.
Perchè, per esempio, un “raptus”, l’alcol, la droga, l’amore o l’abbandono… portano invariabilmente all’ammazzamento delle donne? Perchè il signore di Aquileia, ossessionato dal fisco, depresso dal lockdown, al culmine di una lite, taglia la gola alla moglie? Perchè non se la è presa con il fisco, origine dei suoi incubi?
C’è qualcosa che non quadra, evidentemente; nè i media che si alimentano e foraggiano lettori e lettrici di familismo morale hanno voglia di quadrare alcunchè, anzi, questo giro vediamo anche peggio.
Che fa il giornale locale Messaggero Veneto per narrare la vicenda a lettori che probabilmente ritiene curiosi ma frettolosi, un pò vojeuristi ma anche semplicisti?
Produce una simbolizzazione fumettistica della dinamica dei fatti. Fa i disegnini con le noticine. Coltello su fondo rosso, sagoma di donna con scritto “Aiuto!”, 112, elicottero/letto di ospedale, Cuore con tracciato elettrocardiografico che si ferma – manette/finestra di prigione. Fine.
Riduce la vicenda in figure simboliche semplici, nitide, lineari. Un simbolo deve essere così; una convenzione condivisa, un segno forte, non equivocabile, rigido; un disegno schematico per rappresentare un concetto. L’omino sulla porta del cesso, la testa con la mascherina, la sagoma della donna che chiede aiuto…
Una simbolizzazione iconica che infine, standardizza l’evento, lo rende riconoscibile per altre volte a venire e perciò lo rende “normale”.
Una narrazione tossica distorce, depista, inquina il bisogno di verità e giustizia per le vittime; una narrazione fumettistica forse fa peggio: uccide l’indignazione, apre la strada alla normalizzazione.