Talmente pregnante è il segno lasciato sul pianeta dalla specie umana che la definizione “Olocene” non è più soddisfacente.
Si è proposto “Antropocene”, poi ritenuto troppo generale ed ingiusto rispetto al più preciso “Capitalocene”; ma anche questo meglio caratterizzato con un più ‘rivoluzionario’ “Plantationocene”, quello che ha portato la sua parte di sconvolgimenti planetari con il colonialismo cui ha fatto seguito il razzismo ecc. ecc.; ma perchè non pensare anche ad un più positivo e speranzoso Chtulucene, così come proposto da Donna Haraway… oppure ecco, in questi giorni di fuoco, che dire, se non “Pyrocene”?
E’ quello che propone Stephen J. Pyne.
La rivista “Internazionale” del 10/16 gennaio 2020, nel retro copertina propone due foto: una con gli abitanti di Malua Bay, Australia, in fuga dal fuoco in cerca di riparo sulla spiaggia; l’altra di Jakarta, Indonesia, con uomini nell’acqua fino alla cintola nelle strade allagate per l’alluvione che ha ucciso sessanta persone e ne ha sfollato 170mila per via della pioggia caduta fra il 31 dicembre ed il primo gennaio, praticamente in una notte. Proponiamo l’Hydrocene? Eh certo perchè l’acqua, in forma di ghiaccio ed in tutti gli altri suoi stati fisici ha conformato il pianeta tanto quanto il fuoco anche se, secondo Pyne, nell’interessante articolo che trovate qui: , c’è il fuoco nel nostro orizzonte più prossimo.
L’Australia non fa altro che mostrarci quale sarà la “nuova normalità” come scrive Jeff Sparrow nel numero citato de l’Internazionale.
Di fatto dall’inizio delle misurazioni, l’ultimo decennio è stato il più caldo della terra ed il 2019 il secondo anno più caldo; in Australia si sono quasi raggiunti i 50 °C; lunghe siccità e alte temperature hanno incendiato 12 milioni di ettari di foresta in Amazzonia, 27 mila ettari del Bacino del Congo, 8 milioni di foresta boreale nell’Artico, 328mila ettari in Indonesia. Qui alcuni dati per un documento del WWF concluso ai primi di dicembre, prima del peggio dell’Australia.
Che poi sembra incedibile; quanto più la situazione è grave, tanto più emergono personalità politiche intellettualmente miserrime ed incoscienti.
Scott Morrison, primo ministro, ammanicato con le lobby del carbone, leader politico di un paese dove respirare oggi l’aria della capitale Sydney, equivale a fumare 34 sigarette al giorno, mentre le case bruciavano e la gente cercava di sfuggire alle fiamme nell’acqua del mare, ha dato più risalto al fatto che questa “sarà una grande estate per cricket”, anzi, lui è sicuro che “i nostri ragazzi daranno ai nostri vigili del fuoco ed alle comunità colpite dagli incendi qualcosa per cui gioire”. Tutto vero; nero su bianco su Internazionale.
Poi c’è Bolsonaro in Brasile, appoggiato dai fazendeiros, che invece ha pensato di dare la colpa degli incendi alle ong che si vendicano in quel modo perchè gli sono stati tagliati i fondi. La foresta amazzonica nel 2019 ha bruciato più che mai; 37% in più gli incendi rilevati, il 33% degli incendi rilevati si colloca nell’interfaccia tra aree agricole e foresta, il che vuol dire che il fuoco avanza verso quest’ultima.
E come non fare un accenno a Trump il negazionista che per gli incendi che continuano a devastare sempre più ferocemente la California ha invece puntato il dito contro una scorretta amministrazione forestale?… insomma, la forestale non ha pulito bene il bosco, ecco.
Negare per non annegare e fake news cioè fumo negli occhi che non devono guardare al cambiamento climatico di origine antropogenica.
(Per inciso le 183 persone arrestate in Australia con l’accusa di aver appiccato gli incendi, in realtà sono semplicemente il numero di persone sanzionate in tutto il 2019 per aver violato le norme antincendio – NewYorkTimes dixit.)
Perchè è solo in quest’epoca che il fuoco è quella cosa globale e tremenda che registrano i satelliti;
l’epoca, come scrive Pyne, in cui predomina il terzo fuoco, la fiamma che ha reso possibile la civiltà industriale e ci ha dato il potere diabolico di creare innumerevoli catastrofi, quello che interferisce con gli altri due fuochi; il primo quello della natura, il secondo, quello dell’umanità.
Tutti gli incendi smantellano ciò che la fotosintesi ha messo insieme, dice; ma non tutti gli incendi si comportano allo stesso modo. Ora, esistono tre fuochi che interagiscono in una sorta di dinamica a tre corpi.
C’è un fuoco che è scatenato dalla lotteria della natura, quello dei fulmini, poi c’è quello con il quale la specie si è coevoluta, grazie al quale da preda è diventata predatrice, ha cotto i cibi, è stata al caldo, ha conquistato terreno, quello che ci ha dato grandi teste e piccole viscere, e poi ci ha portato in cima alla catena alimentare. Sono due fuochi, scrive Pyne, che competono per il carburante; ciò che brucia uno non può bruciare l’altro, e nessuno dei due può oltrepassare i confini ecologici stabiliti dalla loro matrice biotica.
Il terzo fuoco invece trascende i primi due; è quello che brucia biomassa fossile.
Il terzo fuoco aumenta il carico di carbonio della Terra. Il primo e il secondo fuoco riciclano ciò che esiste.
Non c’è mai stata così tanta combustione su questo pianeta di quanta ce ne sia adesso.
Il terzo fuoco alimenta il macchinario che estrae il minerale, lo schiaccia, lo fonde, lo rotola, lo consegna, lo timbra, lo salda e crea automobili e innumerevoli altre cose. Il fuoco controllato nei motori non si preoccupa del tempo né dello spazio. Può bruciare nel deserto, nella foresta pluviale, nell’Artico, negli aerei e in mare. Giriamo semplicemente la chiave di accensione e i motori si accendono.
Ma bruciare le enormi quantità di carbonio sequestrato produce un deflusso di gas ad effetto serra che si scarica sul presente ed ingombra anche il futuro…. il cambiamento climatico generato è un accelerante.
Alta temperatura e lunga siccità è una mistura fatale.
C’era il fuoco che si controllava e si usava nella pratica agricola, quello che certi ecosistemi li arricchiva perchè mobilitava i nutrienti e favoriva la nascita di nuova biodiversità; oggi il fuoco del nostro orizzonte, sono “Forever Fires”, dice Pyne, incendi che sembrano inestinguibili.
… “essi, per il calore che generano, creano un proprio ecosistema climatico, da cui si scatenano tempeste di fulmini ed uragani di fuoco”…sì, il calore fa salire rapidamente l’aria in una forte corrente ascendente che altrettanto rapidamente si raffredda a contatto con le basse temperature dell’atmosfera superiore, si formano cumulonembi nei quali la collisione di particelle generano scariche elettriche, che si scaricano sotto forma di fulmini. I fulmini cadono in punti imprevedibili e l’aria ascendente con il suo risucchio sviluppa venti forti che portano fuoco ovunque.
Questa è la narrazione dell’oggi che non ha confronti con il passato; così immensi e inimmaginabili sono gli sconvolgimenti che verranno, che l’arco della conoscenza ereditata che ci unisce al passato si è rotto. Non esiste un precedente per quello che stiamo per sperimentare, nessun mezzo con cui triangolare dalla saggezza umana accumulata in un futuro diverso da qualsiasi cosa abbiamo conosciuto prima.
Quello che abbiamo conosciuto prima, appunto: il nostro pignarul epifanico al di là dello scopo immediato del ritrovarsi attorno ad un falò per una socialità meno demenziale, di un richiamo a temi importanti per chi ha ancora coscienza e sensibilità (quest’anno ancora dedicato in gran parte alle/ai combattenti in Rojava), al di là di tante cose … è ancora la memoria, il segno di un fuoco elemento–tramite tra terra e cielo, buono o cattivo, espressione della natura che, temuta o venerata, andava rispettata.
Prima che le religioni bruciassero le streghe, i regimi la cultura e il capitale la biomassa fossile.
… d’altra parte, l’inferno di cristiana ispirazione, era già un gran Pyrocene.