Dice Merkel che il burka è un ostacolo all’integrazione.
Perchè, supponiamo, nel suo pensiero, ma anche in quello di tant* altr*, l’integrand* dovrebbe assomigliare, assumere, essere come o uguale all’integrat* .
Perciò supponiamo che l’integrazione debba passare per la demolizione dell’identità propria e dell’assunzione dell’identità altrui.
Tutto questo discutere su burka, burkini, velo e non velo (o qualsiasi altra connotazione religiosa, culturale, sociale) ci riporta di fatto a questo: chi vuol essere integrat* deve sostanzialmente assomigliare a noi integrator* ed integrati*
Cosa impossibile, ovviamente.
Storie diverse, ontologie diverse; il non riconoscerle manterrà l’integrand* in una condizione di subalternità sociale e culturale alimentando quella cosa che noi chiamiamo neocolonialismo.
Alcun* ed alcune femministe più o meno “storiche” ritengono che questo sia relativismo culturale e che non vada bene perchè le conquiste delle donne sono universali.
Ma universali non vuol dire imposte; la storia stessa del nostro femminismo: il separatismo, l’autocoscienza, ricordano che la liberazione è quella cosa che avviene anche “a partire da sè” , da quel desiderio e quella ribellione che quando si innesca non si ferma. Ma tempi e modalità non si dettano; si confrontano, si discutono, si condividono ma non si dettano.
Che il femminismo integralista, neanche quello sarebbe una buona cosa.