La notizia di minacce ed azioni violente nei confronti di donne e bambini ospiti in un centro antiviolenza per le donne, sul quale la procura di Udine avrebbe aperto un’indagine, ci sollecita alcuni pensieri, indipendentemente dal centro in questione, del quale non sappiamo, se non dalla stampa, di come siano andate e come stiano le cose.
I centri contro la violenza sulle donne sono dei punti fermi nella strategia di lotta contro questi abusi perchè offrono rifugio, sicurezza, consulenza legale, appoggio psicologico, punto di partenza e ripartenza per una vita migliore ecc. ecc.
Sono insomma una risposta immediata ad un problema concreto, quando in campo non ci sono altre vie praticabili; ma sono solo una parte della soluzione; tutto il resto è quello che sta intorno ai centri, prima e dopo di loro, cioè la cultura che può stimolare, foraggiare o, inversamente contestare e contrastare la violenza contro le donne.
In questo infame periodo ed in un contesto in cui della lotta alla violenza contro le donne si è fatto argomento redditizio sul piano della visibilità politica con leggi securitarie che non hanno risolto un tubo (come era ovvio), con conferenze e sceneggiate istituzionali, era immancabile che anche i centri antiviolenza fossero oggetto di lottizzazione politica con finanziamenti orientati ad hoc per crearne di nuovi su input istituzionale; lo spiegava bene Nadia Somma in questo post che, a suo tempo, avevamo ripreso qui.
Ora, il problema è questo: come possono operare centri che nascono già bacati in quanto figli di una politica che non possono disturbare e contestare? Come si coniugherà nel loro ambito la libertà delle donne: potrà essere anche autonomia economica in un contesto dove si sono partorite leggi precarizzanti per tutt*? Potrà essere stimolo all’autodeterminazione quando questa è continuamente schiacciata da scelte politiche che mercanteggiano il corpo delle donne con i dictat clericali, familisti e, tutto sommato, fascisti?
Il ricatto sull’allontanamento dei figli, le azioni punitive nei confronti di questi, il richiamo alla disciplina ecc. di cui si parla nell’inchiesta di Udine, richiamano ad una gestione da istituzione totale di triste memoria e, purtroppo, realtà.
Non sappiamo certo se così sia per il centro in questione, però possiamo anche immaginare che potrebbero esserlo per centri che nascono più per gestire finanziamenti che per combattere la violenza contro le donne, tanto è vero che nella ripartizione dei fondi, a quelli che sono autonomi e non istituzionalmente affiliati, sono andate solo briciole. Qualcuno le restituirà al mittente.
E’ ovvio che un centro contro la violenza non dovrebbe riprodurre al suo interno la violenza che dovrebbe combattere. C’è anche un’altra violenza però, meno evidente, più subdola che è quella di centri antiviolenza eterodiretti, politicamente orientati… perchè: le donne libere e indipendenti no, quello no!
Vigiliamo.