Di questa notizia nell’edizione cartacea c’è scritto qualche dettaglio in più sul come e sul quando la friulana avesse sposato il marocchino, sulla sua presunta “sudditanza psicologica”, sul naso rotto riportato dalle botte… per inquadrare una relazione interetnica, che se lui fosse stato friulano e l’avesse picchiata uguale, forse, sarebbero parse meno importanti. Chissà…
Quello che a noi invece rimane impresso è il gesto di lei di chiamare il 112 chiedendo di un centro antiviolenza e poi, alle domande indagatrici dell’interlocutore, riagganciare. Ma trovarsi identificata, nome cognome e indirizzo, i carabinieri in casa e la procedura d’ufficio della Procura di Udine.
Quando fu approvato il decreto contro la violenza di genere, noi lo disapprovammo anche per il discorso della procedura d’ufficio.
Il naso rotto è una cosa grave, le botte sono una cosa grave, le minacce, gli insulti, la mancanza di rispetto e di libertà sono una cosa grave; e leggendo di questa donna, cui va tutta la nostra solidarietà, potremmo ritenere giusto che lei denunciasse e se lei non lo fa, lo facesse la Procura, … per lei, per il suo bene.
Però, e questo era il punto, possiamo noi, come “coscienza collettiva” -per il suo bene- pensare che qualcun’altro (in questo caso l’istituzione statale) debba agire per lei?
Vorrebbe dire che noi la riteniamo un’incapace che può agire fino ad un certo punto, dopodichè scatta la protezione obbligatoria con esautoramento della libertà di scelta e di giudizio.
Ed è auspicabile risolvere la presunta “sudditanza psicologica” ponendo il soggetto in uno stato certo di sudditanza istituzionale?
E poi, sudditanza istituzionale aiuta, favorisce un percorso di autodeterminazione?
Non ne siamo convinte; in tanti casi ne rappresenta la morte perchè si fonda su un’autorità che agisce su di noi, per noi, spesso, contro di noi.