Da Abbatto i Muri:
Il fascismo era noto, come mi fa giustamente notare Arianna, oltre che per il controllo sulla stampa, anche per il controllo sulle pubblicità orientava gli acquisti in senso autarchico e grazie al controllo dei giornali femminili più in generale contribuiva alla realizzazione di un immaginario che rispondesse all’ideale di donna, giovane o meno, italiana.
Il Minculpop, Ministero della Cultura Popolare, dava perciò direttive su come le donne si dovevano vestire e su quale doveva essere il loro ideale estetico dal punto di vista del regime; sempre attraverso i giornali femminili il Minculpop cercò di educare e convincere le donne ad alimentare la famiglia in un certo modo che facesse fronte alle sanzioni, e ad aver cura della salute, senza mai discostarsi dall’ottica fascista.
A leggerle adesso alcune “veline”, ovvero direttive impartite dal regime fascista su quello che doveva essere divulgato attraverso i mezzi di comunicazione di massa, possono farvi ridere, ma se pensiamo a quello che dichiarano alcune donne che oggi vorrebbero imporre un modello di donna, invece che un altro, da fornire come esempio alle figlie della patria, direi che si ride un pochino meno.
Si intimava, per esempio, di
“non pubblicare immagini di ragazze dalla vita di vespa: «Disegni e fotografie – precisava la nota – devono rappresentare donne floride e sane», cioè robuste fattrici pronte a sfornare figli per la patria. «Non è tollerabile – confermava un’ altra velina – che, specialmente i giornali di moda, pubblichino fotografie di donne magrissime». E anche le immagini di signore in costume da bagno erano tassativamente vietate. In un moto di puritanesimo si disponeva che perfino nei figurini di moda le gonne fossero «leggermente allungate oltre il ginocchio». In compenso, per graziosa concessione del regime, «nessun trafiletto e tanto meno nessuna condanna contro le donne senza calze».“
[Giovani Italiane in shorts]
Tutto ciò si può trovare nel libro Le veline del Duce, recensito qui, dove si spiega, sempre in campo femminile, come fossero ostracizzate alcune attrici straniere.
“«Basta con Greta Garbo!», tuonava una velina del 1938. E ancor più categorico era il veto nei confronti della «venere nera» di Parigi: «Piantarla di occuparsi di Josephine Baker, sia pure per deplorare che altri se ne siano occupati». Sembrerà strano, ma un’ altra donna poco gradita sui quotidiani era la consorte del Duce, forse per il suo aspetto modesto da casalinga romagnola. Il Minculpop esortava a non citare donna Rachele nei titoli e nei sommari, a non pubblicarne le fotografie, addirittura, durante la guerra, consigliò di ignorare una sua visita in alcuni ospedali.“
Alcune disposizioni del MinCulPop sulla fotografia dicono che non si potevano pubblicare foto di donne nude.
Disposizione del 1933:
“11 luglio
E’ stato ripreso il Popolo di Roma per aver pubblicato fotografie di donne nude in terza pagina, mentre nella prima pagina vi sono le fotografie col pontefice. L’on. Polverelli ha preso spunto da questa circolare per raccomandare nuovamente ai giornali di non pubblicare fotografie di donne nude perché costituiscono un elemento antidemografico.”
Nel 1935 un’altra disposizione diceva:
“1 marzo
E’ stato deplorato Il Piccolo per avere pubblicato fotografie di donne in costume molto succinto, nel numero di ieri. Tali fotografie, ha detto il conte Ciano, sono antidemografiche.”
1939:
“17 luglio
Non pubblicare fotografie e disegni di donne raffigurate con la cosiddetta vita di vespa. Disegni e fotografie debbono rappresentare donne floride e sane.”
1940:
“6 febbraio
Non è tollerabile che, specie i giornali di mode, pubblichino fotografie di donne magrissime.”
1941:
“30 gennaio
Circa la natura ed il carattere che deve avere la stampa in tempo di guerra, specialmente la stampa fascista, essa non può essere né frivola né scandalistica.
Quindi niente fotografie di donne nude o seminude, niente romanzi scandalistici a sensazione, tipo amanti di Daladier e Reynaud. (…)
A proposito di quanto ho detto circa le donne seminude, accade che queste donne seminude attraggano specialmente l’attenzione degli adolescenti che ne traggono motivo per le solite e note masturbazioni. Questi giovano arrivano poi ai Reggimenti sfibrati e tutto ciò, specialmente in tempo di guerra, non giova alla razza. In Germania alcuni giornali illustrati mettono molto in evidenza donne seminude. La Germania è nostra alleata ma non esito a dire che quello è un pericolo.”
“25 giugno
C’è la questione dei pantaloni delle donne (…) la direttiva è che a noi la donna piace in sottana. Quindi non fare fotografie di donne in pantaloni. Quindi non fare propaganda per le donne con i pantaloni in bicicletta.”
Ecco. Così magari si capisce come mai le donne, trasversalmente, da destra a sinistra destra, con tutti i distinguo del caso, siano così in sintonia quando c’è da parlare di immagini di donne i cui corpi sono eccessivamente esposti.
Ci serve davvero un MinCulPop che imponga una morale comune e stabilisca al posto di tutte noi come dobbiamo apparire nelle immagini? Chi stabilisce i criteri per decidere cosa sia indecente e cosa no? Secondo quale morale vengono imposte censure dove si formano apposite commissioni, tribunali dell’inquisizione, che decidono dove una gonna va allungata e dove invece va accorciata (a seconda dell’etnia della donna… se araba/islamica bisogna liberarla accorciando… no?)?
La lotta al sessismo, la critica, l’attivismo, la sovversione, la riappropriazione di immagini e linguaggi da decostruire, scardinare, sovvertire, perché è così che si fa cultura e non con divieti e censure, nel rispetto dell’autodeterminazione di ciascun@, va tutto più che bene e bisogna andare avanti ma io di commissioni che decidano al posto mio cosa sia morale e cosa immorale per essere “liberata” e per essere “salvata” da un pericolosissimo manifesto pubblicitario, al punto da immaginare galera e multe salatissime per chi non si dispone all’obbedienza di siffatti canoni imposti, non ho bisogno. E voi?
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