e finalmente, acampada fu.
il power nap del pomeriggio m’aveva lasciato con un principio di mal di testa e una voglia quasi invincibile di orizzontalitá non partecipativa – c’era il sole e giá mi immaginavo schiantata sotto il fico del giardino per tutto il pomeriggio, dimentica di una promessa fatta a me stessa e alla mia bionda. Ma ella, appena tornata da scuola, mi guarda seria e fa: Ma come, non andiamo a piazza Catalunya?
(la foto é di Ada e qui ne trovate altre sue molto belle ed emozionanti)
((il personaggio nel cartello é la Fata Basta, protagonista de La cenicienta que no queria comer perdices, favola femminista))
e allora prendiamo il treno e andiamo a piazza Catalunya, emozionate come se avessimo un appuntamento d’amore.
e infatti nella piazza di amore ce n’é un sacco, per tutti i gusti e le possibilitá. c’é un’assemblea ad ogni angolo, nonostate quando arriviamo il sole ancora picchia duro. c’é l’angolo pirata hacaro, c’é chi distribuisce frutta per la merenda, chi giá si affanna sulla cena, banchetti informativi su ogni iniziativa equa e solidale pensabile, una biblioteca, un’infermeria autogestita, Ovni e compagnia preparando le proiezioni per la notte e vicino alle fontane hanno montato anche un piccolo orto urbano.
c’é pure uno spazio bamboz e noi ovviamente ci inchiodiamo a quello. la figlia dapprima é un po’ vergognosa (anch’io ero cosí da bambina, ci ho messo una ventina d’anni a togliermi la vergogna – e comunque nelle situazioni sconosciute ancora vado in crisi e ho il batticuore), non osa avvicinarsi a quelle bellissime ragazze punk che le vogliono colorare la faccia, le offrono fogli e colori e palloncini in forma di cane bassotto.
facciamo un paio di giri della piazza, tutti sono gentili e sorridono, c’é un’aria cosí bella e serena e questo senso (che giá ho provato e che probabilmente ho cercato sempre, nella vita) di partecipazione e di riappropriazione di uno spazio che da non-luogo diventa veramente spazio pubblico… di nuovo c’é l’idea che in questo spazio, fissate delle regole chiare, possano transitare tutti e tutte. é il sogno dell’Agorá che si fa universale e io non lo so neanche dire bene, ma spero almeno di trasmettervi l’emozione.
alla fine anche la figlia si scioglie, si colora da sola la faccia, aiuta i nuovi arrivi distribuendo plastilina e condividendo la sua bottiglia d’acqua. la rivoluzione non si fa con le parole, si fa con gli esempi e lavorando su piccole cose pratiche e cosí é immediata, la senti fluire con una violenza dolce, é inarrestabile, é un’energia nuova di sorrisi che sfondano tutte le barriere che ha costruito questo capitalismo di merda.
c’é uno striscione che dice Non vogliamo che la pensi come noi, solo vogliamo che pensi.
é quasi buio e noi dobbiamo andarcene. la figlia si rifiuta (“io voglio rimanere a piazza Catalunya, a sentire le signore che fanno bam bam” ovvero il cacerolazo) e io mi emoziono forte, mi viene da piangere.
in questi anni da madre ho vissuto una schizofrenia a volte molto profonda tra il mio essere attivista e la maternitá. ad Antonia non volevo imporre niente (giá mi sembra abbastanza averle imposto il nome della prima donna “politica” della mia vita, quella che ho sentito per la prima volta prendere la parola ad un’assemblea, my own personal Olympe de Gouges), non volevo infilarla per forza in contesti e dinamiche che io ho scelto quando mi sentivo matura per farlo (e manco lo ero tanto) e in cui ho anche faticato, a volte, a starci dentro – soprattutto perché quasi sempre in questi spazi e tempi di lotta non c’era nessuna attenzione per le creature…
fortunatamente i tempi cambiano, un po’ perché cambiamo noi, un po’ perché bisogna metterci la volontá e lo sforzo per farli cambiare. dal canto mio sono quasi sicura che nelle prossime occasioni cercheró di portare mia figlia con me. ormai é grande e se non le piace me lo saprá dire e se le piace io saró piú felice.
questo anche con la consapevolezza che la Rivoluzione non si fa in due giorni ne’ in due anni, é un percorso lungo e forse saranno solo i nostri figli (che sono tutti i figli e le figlie del mondo) a vedere l’alba di un mondo piú giusto.
che ho voglia di pensare che qui in #acampadabcn, come in tanti altri posti del mondo sta cercando di incominciare
(non é che comincia qui, sia ben inteso – sono anni e decenni e secoli che ci sbattiamo il grugno… piú o meno dai tempi di Spartaco, diciamo, che cosí non si sente chiamatx fuori nessunx)
(l’ultimo saluto alla piazza. stay human, stay rebel, stay free con gli occhi di una bambina)