Femminismi
Femminicidio e panico morale
Categories: Femminismo a Sud

Violenza sulle donne, panico morale, in funzione della campagna anti/immigrazione, più censure, più leggi securitarie, più autoritarismi, accadeva qualche anno fa. Pensate al fatto che questa cosa, identica, la stanno facendo adesso per usare donne uccise e corpi nudi da salvare come elementi di legittimazione di un governo che non regge e che tenta di coprire gli effetti devastanti della crisi economica. Deve aver pensato la stessa cosa Fabrizio Tonello, la cui ultima analisi, presentata secondo me in fretta e furia e con parentesi e un tono pessimi, è stata accolta come fosse uno sciocco appunto negazionista. Così d’altronde oggi, tempo di inquisizione in cui, per dirla alla Terragni:

La spettacolarizzazione mediatica di violenza e femminicidio non sta portando risultati concreti, e anzi è causa di problemi. Instant-book, format tv, show, associazioni e sportelli che nascono come funghi, esperte improvvisate che mettono in piedi progetti pariopportunistici al solo scopo di intercettare finanziamenti comunitari, una specie di business della violenza. Oltre al vittimistico attaccamento al tema, che impegna la grande parte delle energie politiche femminili. Un diffuso e universale piagnisteo che satura l’attenzione e fa immaginare che sulla violenza si stia facendo molto. E invece si sta facendo poco, e male.

qualunque espert@ improvvisat@ del tema sfrutta la spettacolarizzazione, il brand del femminicidio, per fare business o per ricavare microfama, e accoglie con scomuniche e richieste di censura ogni minimo cenno critico sulla faccenda, anche quando arriva da chi è sopravvissut@ a violenze e ha dedicato anni e anni a queste storie.

Perfino i rassegnisti stampa paternalisti si improvvisano esperti al punto da togliere la parola alle femministe che a questo tema hanno dedicato trent’anni e se succede questo abbiamo proprio superato la linea di confine tra il razionale e il panico morale.

Invece è necessario ragionare per riappropriarsi di una lotta che non può essere declinata in questo modo, senza lucidità e razionalità. E’ necessario mettere un punto al panico morale e prodursi in una reazione che dica chiaro e forte, così come siamo state in grado di dirlo nel 2007 a Roma, che sulla pelle delle donne uccise non ci si può costruire alcuna politica di supporto per governi di questo stampo.

In basso trovate la ricerca (presa da qui) fatta in relazione alla modalità attraverso la quale i media hanno trattato la violenza sulle donne nel 2006/7 (noi dicevamo qui esattamente le stesse cose per intuizione lucida e consapevole) e qui trovate un’altra ricerca dello stesso tipo. Qui uno scritto che introduce una analisi di Tamara Pitch. Buona lettura. (attualizzate quel che si dice nella ricerca e troverete molti punti di contatto con quel che succede oggi)…

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Comunicazione e civic disengagement

La violenza contro le donne nei TG italiani, ovvero come terrorizzare i cittadini e creare un’ondata di panico morale

Elisa Giomi (Università di Siena) e Fabrizio Tonello (Università di Padova)

Obiettivi dello studio e domande di ricerca

A partire dal 2006 è andato diffondendosi, nel nostro Paese, un crescente allarme per la violenza contro le donne, che, assieme a una pervasiva retorica anti-immigrazione, ha contribuito all’irruzione del tema della sicurezza personale nell’agenda della politica. Ne sono scaturiti interventi normativi di tipo emergenziale e repressivo, spesso (solo apparentemente) motivati dall’esigenza di tutelare il corpo femminile (dai cosiddetti ‘decreto anti-rumeni’, 2007 e ‘anti-stupro’, 2009, fino a una proliferazione di ordinanze amministrative di carattere sessista e razzista, come ben illustrato in Simone 2010).

Questo il contesto in cui ha preso corpo la nostra ricerca, dedicata agli episodi di violenza contro le donne registrati nel 2006 e alla loro copertura da parte dei principali telegiornali italiani (tre Rai e tre Mediaset). Abbiamo circoscritto l’indagine ai soli casi di omicidio e stiamo attualmente analizzando anche i dati relativi agli anni 2007 e 2008. Le domande di ricerca possono essere riassunte come segue: a) la copertura fornita dall’informazione televisiva agli omicidi di donne rispecchia l’effettiva fisionomia del fenomeno oppure propende verso particolari tipologie di autori, vittime o delitti? b) l’allarme per l’integrità fisica e sessuale delle donne diffusosi a partire dal 2006 è suffragato da dati empirici o, per natura e conseguenze, appare piuttosto classificabile come fenomeno di ‘panico morale’? c) quali osservazioni di carattere generale possono essere svolte sul ruolo della televisione tradizionale nei processi di costituzione di un’opinione pubblica informata e di attuazione dei diritti (e doveri) di cittadinanza?

Dibattiti e teorie di riferimento

L’impianto metodologico adottato per l’analisi della cronaca nera trasmessa dai TG e per l’interpretazione dei dati è stato modellato sulla base delle numerose ricerche empiriche, purtroppo quasi esclusivamente straniere, sulla rappresentazione della violenza contro le donne nei news media: razza, classe e età emergono come criteri sensibili, in grado di incidere non solo sulla notiziabilità degli episodi, ma anche sulla loro generale tematizzazione e sulla descrizione degli attori sociali coinvolti (Moorti 2002; Meloy and Miller 2009; Biornstrom 2010); in particolare, abbiamo esaminato i meccanismi di stigmatizzazione/colpevolizzazione o idealizzazione/de-responsabilizzazione di autori e vittime (Meyers 1997; Berns 2004; Boyle 2006; Corradi 2006).

Il quadro teorico di riferimento è riconducibile ai due principali nuclei tematici descritti dalle domande di ricerca b) e c): nel primo caso, ci siamo basati sull’elaborazione della categoria di ‘panico morale’ da parte di Stanley Cohen (1980) e sulle critiche relative alla sua ‘genericità’ (Miller and Kitzinger 1998), mancanza di fondatezza teorica (Muncie 1987:45) e ‘normatività’ (Hier 2002); abbiamo inoltre fatto riferimento a recenti proposte di riconcettualizzazione della categoria alla luce delle nuove acquisizioni della teoria sociale (Critcher 2006) e a contributi che esplorano, con esiti diversi, la specifica influenza dei media nella creazione dei fenomeni di panico morale (Macek 2006; Garland 2008).

In secondo luogo, abbiamo collocato l’analisi e valutazione della qualità dell’informazione televisiva relativa alla violenza contro le donne sullo sfondo delle proposte teoriche emerse a partire dagli anni ’90 in seguito alle critiche e autocritiche rivolte all’impostazione dei Cultural Media Studies: tali proposte ci sono sembrate particolarmente utili perché riportano in primo piano l’attenzione alle responsabilità sociali e culturali della comunicazione, al suo rapporto con la sfera pubblica, la partecipazione civile e la democrazia. Si tratta di un approccio, particolarmente diffuso in area nordeuropea (Dahlgren, 1995; Livingstone, 1998), ma anche canadese (Morris, 1992), australiana (Bennett, 1992) e statunitense (Hard, 1997), che in tempi recenti ha isolato alcuni concetti chiave per dare nuovo impulso al progetto dei Cultural Studies e ripoliticizzarlo: l’analisi del rapporto tra cultura e cittadinanza e la formulazione della nozione di “sfera pubblica culturale” (McGuigan, 2005; Dahlgren, Hermes, 2006).

Metodologia utilizzata e principali risultati raggiunti

La metodologia utilizzata comprende un’analisi quantitativa e un’analisi qualitativa. Nel primo caso abbiamo messo a confronto i 162 omicidi risolti (su 188 totali, di cui 153 commessi da un uomo) e quelli riportati da almeno un TG (esattamente la metà: 81), classificandoli tutti i in base a 3 parametri: tipologia della relazione fra vittima e autore; nazionalità e età di entrambi.

Ne emergono due fotografie assolutamente limpide: per ogni donna uccisa da un estraneo (7/162, la tipologia di delitto meno comune) sono quasi venti quelle che muoiono nell’ambito di relazioni intime (100/162, la tipologia di delitto più comune) o familiari (34/162), ma il primo gruppo riceve una visibilità decisamente superiore sia in termini di casi riportati (due terzi) che di tasso di copertura (le donne uccise da un estraneo ricevono complessivamente dai sei TG il quadruplo delle notizie su delitti commessi invece da partner o ex).

Allo stesso modo, i delitti commessi da cittadino non italiano sono stati il 13,58% dei casi risolti (22/162 contro i 140/162 commessi da italiani), ma da soli hanno prodotto quasi due terzi dei servizi trasmessi in tema nel 2006 (115/173); infine, le donne di età superiore ai 50 anni hanno ottenuto gli onori della cronaca solo nel 28% dei casi, mentre bambine e giovani sotto i 21 anni sono state citate nei telegiornali nel 93% dei casi; una volta ancora, il conteggio dei servizi mostra come il tasso di copertura delle prime sia stato quattro volte superiore a quello delle seconde.

L’analisi qualitativa si è incentrata su 250 servizi, ovvero quelli trasmessi a copertura dei sette casi di saturation coverage, che da soli hanno generato quasi metà dei servizi totali (473). Li abbiamo ritenuti indicativi delle scelte editoriali proprie di ciascuna testata e gruppo, nonché delle tendenze del coverage su questa estrema forma di violenza contro le donne. Scopo dell’analisi era testare i criteri di notiziabilità indicati dall’analisi quantitativa, esplorarne ulteriormente il funzionamento, e analizzare i processi attraverso cui l’informazione televisiva produce vittime e carnefici ‘ideali’.

Si è confermata l’incidenza della variabile razza/nazionalità, che per il nostro corpus è tale da configurare una vera e propria ‘ossessione’ per gli immigrati: tutti e sette i casi analizzati sembrano dovere la loro alta visibilità anche alla presenza di un immigrato come autore (in due casi) o semplicemente sospettato dell’omicidio (negli altri 5); in particolare, 3 delitti, completamente diversi sotto tutti i profili, ma avvenuti nello stesso luogo e in tempi ravvicinati (a Brescia, in agosto), divengono l’occasione per costruire una vera e propria ‘emergenza criminalità’ con forti implicazioni xenofobe.

L’analisi delle strategie discorsive impiegate per idealizzare le vittime ha indicato la frequente tematizzazione degli episodi all’interno di un frame di scontro tra culture (soprattutto nei  TG Mediaset), che produce la duplice conseguenza di qualificare le donne uccise come simboli della libertà e superiorità occidentale e, per converso, di accrescere la pericolosità dell’aggressore – spesso solo suppostamene – straniero e della sua ‘barbara’ civiltà.

In tutte le testate si riscontra la tendenza, peraltro confermata in letteratura, a trattare il comportamento criminale del bianco come aberrazione/patologia individuale e quello di chi appartiene a una minoranza etnica come rappresentativo della sua intera comunità (Kozol 1995). Gli autori sono tutti descritti come portatori di ‘alterità’: un’alterità sociale, declinata come follia (se gli autori sono bianchi) o un’alterità etnico-culturale (se sono stranieri), con l’effetto di esorcizzare la violenza e far salvo l’ordine simbolico della società italiana, delle sue istituzioni e relazioni.

Conclusioni

Sui 162 delitti risolti nel 2006, solo uno è stato commesso da autore straniero e sconosciuto alla vittima: in altri termini, uccisioni come quella di Giovanna Reggiani (da parte di un ragazzo di un campo Rom), che hanno letteralmente travolto i media e la politica, sono statisticamente irrilevanti.

La nostra analisi mostra come il corpo delle donne, entro il discorso dell’informazione televisiva, divenga strumento di una guerra contro gli immigrati, collocati nel ruolo di folk devils e dipinti come ‘invasori’ che minacciano l’identità italiana. Il ruolo dell’informazione televisiva, in questo quadro, può essere efficacemente descritto come quello di ‘agente di indignazione morale’ (Choen 1980, p. 16), determinante nel generare un allarme per la violenza contro le donne che a nostro avviso si qualifica come un vero e proprio fenomeno di panico morale.

Soddisfa infatti tutti i requisiti individuati da Cohen: primo, la ‘nuova minaccia’ rappresentata dagli immigrati ha provocato una risposta collettiva da parte di politici e media; secondo: la preoccupazione sociale è stata amplificata e celebrata attraverso eventi estremi e ben pubblicizzati, come i tre omicidi avvenuti a Brescia in agosto, che hanno determinato un pronto intervento delle istituzioni (il Ministero dell’Interno invia 50 militari a presidiare il territorio, la Giunta Comunale rafforza i sistemi di video-sorveglianza nelle strade, ecc.); terzo, e di particolare rilievo per la nostra analisi, la maggioranza dell’opinione pubblica italiana ha accettato come reale la minaccia posta dagli immigrati alle donne, divenendo estremamente ostile ai cittadini stranieri (e ai rumeni in particolare): stando alle rilevazioni della Fondazione Unipolis (2007 e 2008), nel 2007 la preoccupazione per i reati contro la persona e la proprietà privata e la percezione degli stranieri come pericolo – nonostante le statistiche sulla diffusione del crimine fossero invariate – hanno raggiunto il picco più alto degli ultimi 6 anni (le rilevazioni attestano inoltre una correlazione tra la preoccupazione per la propria incolumità fisica e il maggiore – Studio Aperto e TG1 – o minore – TG3 – interesse per il crimine dei notiziari serali seguiti).

Quarto requisito del ‘panico morale’ soddisfatto dal fenomeno in esame: la politica, ha prodotto una precisa risposta attraverso provvedimenti amministrativi e interventi normativi (come il cosiddetto ‘pacchetto sicurezza’, che affrontavano la violenza contro le donne esclusivamente come questione di ordine pubblico); quinto, dopo la primavera del 2008, quando l’attenzione dei media si è volta verso altri temi, il ‘pericolo stranieri’ ha cominciato a perdere di importanza.

I 6 TG esaminati differiscono per il numero di notizie trasmesse a copertura degli omicidi di donne (la distribuzione segue il generale andamento della cronaca nera in queste testate, andando dal minimo del TG3 al massimo di Studio Aperto e TG1), ma sul piano qualitativo la copertura è piuttosto omogenea. Colpisce l’affinità tra le sue tendenze generali e quelle evidenziate dagli studi sul trattamento della violenza contro le donne nei news media “popolari”: la stampa tabloid in Inghilterra, le local news statunitensi, i programmi televisivi di infotainment in genere (Lipschultz and Hilt 2002; Dizon et al. 2003; Dowler 2006; Humphries 2009). Tali analogie investono non solo i criteri di notiziabilità, ma anche il versante stilistico, caratterizzato dal prevalere di modalità di comunicazione affettiva (estetica ed emozionale) e dalla marcata contaminazione con le tecniche narrative della fiction.

Proprio queste sono le caratteristiche della ‘sfera pubblica culturale’, e ad esse viene attribuita una valenza positiva nel processo attraverso cui ‘diveniamo cittadini’ perché favorirebbero “l’identificazione dello spettatore, la riflessione sulla propria esperienza di vita” (McGuigan, 2005, p. 10) e quindi la diffusione del concern per i grandi temi della vita pubblica. Ma l’operazione compiuta dai notiziari da noi esaminati va ben oltre la contaminazione con l’entertainment e la sollecitazione di risposte emotive, divenendo vera e propria manipolazione delle stesse al fine di costruire una ‘politica della paura’.

A fronte della nostra analisi, concludiamo che i mezzi tradizionali, quali i canali generalisti della televisione, siano ancora estremamente potenti nell’orientare l’opinione pubblica e creare fenomeni di civic disengagement con conseguenze politiche rilevanti.

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