Femminismi
#VogliamoStudiDiGenere: La misteriosa condizione di visibilità-invisibilità degli Studi di Genere in Italia
Categories: Femminismo a Sud

Vincenza Perilli pubblica nel suo Marginalia uno scritto di Paola Di Cori che spiega qual è la condizione attraverso la quale sono vissuti, censurati, mortificati, in Italia, gli Studi di Genere. Noi, come già scritto, a questo punto continueremo a fare questo censimento per capire assieme a voi quanti e quali corsi sono stati chiusi, stanno confinati negli stanzini periferici degli Atenei, dove sia confinato il pensiero critico di tante persone che agli Studi di Genere si dedicano e che sembrano non avere cittadinanza presso le nostre Università “pubbliche”, dove chi paga le tasse (universitarie) non ha voce in capitolo e dove la cultura subisce una gestione aziendale che quando c’è da tagliare considera i Gender Studies superflui.

Il nostro Appello per chiedere che il Corso di Studi di Genere sia reinserito nell’offerta formativa dell’Ateneo calabrese, in italiano e inglese e spagnolo. Le adesioni, sempre più numerose (e non lo sono mai troppo: continuate ad aderire scrivendo a vogliamostudidigenere@grrlz.net), che stanno arrivando da ogni parte del mondo. La proposta di censimento.

Grazie a Paola Di Cori per la condivisione di questa sua consapevolezza. Buona lettura!

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A proposito della chiusura del corso di Studi di Genere tenuto all’Università della Calabria da Laura Corradi e dell’ appello per la sua riapertura, riceviamo un commento di Paola Di Cori – della quale ricordiamo, tra le più recenti pubblicazioni la raccolta di saggi Asincronie del femminismo e i contributi in Joan W. Scott. Genere, politica, storia (Viella) e Non si nasce donna (Quaderni Viola / Alegre). In questo suo intervento Paola ripercorre alcune delle tappe di quella che definisce la misteriosa condizione di visibilità-invisibilità” degli studi di genere in Italia. Buona lettura e condivisione! //

“L’adesione all’appello contro l’abolizione del corso tenuto da Laura Corradi all’università della Calabria è un obbligo per tutte quelle che insegnano e hanno insegnato per decenni questi studi nelle università italiane. Come ho avuto modo di scrivere in molte occasioni, la realtà degli studi di genere in Italia è avvolta in una misteriosa condizione di visibilità-invisibilità fin dagli anni ’70. Sono esistiti sotto denominazioni di comodo quando non era possibile inserirli in un piano di studi approvato dalle facoltà; quando sono divenuti finalmente riconoscibili, ammessi e inseriti istituzionalmente – soltanto dopo il 2000!!- si sono immediatamente dovuti confrontare con i cosiddetti processi di razionalizzazione e snellimento dei programmi in seguito alla riforma del 3+2: erano sì possibili, ma assai ridotti in numero di ore e di crediti acquisiti, e raramente ci sono state docenti ordinarie in numero tale (mettendo da parte le differenze di opinione su quali fossero gli obiettivi preferibili) da poter imporre qualche soluzione non minoritaria alle facoltà o ai senati accademici. Si sono salvati qua e là alcuni dottorati nei settori della letteratura e della storia, attualmente massacrati dal taglio di finanziamenti che ha riguardato tutti i dottorati.

Ha fatto benissimo Laura Corradi a denunciare pubblicamente l’ennesima discriminazione. Purtroppo l’abolizione di questo corso accompagna la silenziosa sparizione di decine di corsi di studi di genere diffusi e inaugurati negli ultimi anni. E’ noto che questi studi non hanno visibilità alcuna nelle università italiane; chi li ha insegnati è stata punita nella carriera e ridotta per decenni a un isolamento faticoso e improduttivo in termini di risultati sul piano dell’aiuto concreto alle generazioni di donne e uomini nati/e dopo gli anni ‘60. E’ una fortuna che tante giovani donne abbiano potuto contare sull’esistenza di un gran numero di corsi e di dottorati in università straniere; quando purtroppo tornano in Italia, con esperienze di ricerca e dottorati di tutto rispetto, non si devono confrontare soltanto con l’assenza di possibilità di inserimento, ma con una antiquata tradizione che ancora oggi porta la quasi totalità dei docenti e dei colleghi ad ammettere obtorto collo che si tratta di studi degni di questo nome.

La maggior parte di lor (uomini e molte donne) non hanno mai investito né scommesso nulla in proposito; dubito che saranno disposte/i a farlo in un periodo di così grande miseria materiale e morale. A meno che… come sta accadendo in questo caso, si levi un vasto movimento di opinione e di resistenza che denunci lo stato di arretratezza culturale dell’insieme dell’università italiana. Non è una novità, ma vale la pena di impegnarsi per riuscire a mantenere le poche posizioni ancora occupate. Coraggio Laura, e coraggio anche tutte noi!” //( Paola Di Cori, Roma – 9 aprile 2013)

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