Femminismi
In Italia si pratica il Donnismo Antifemminista (Movimento di distrazione di Massa)
Categories: Femminismo a Sud

Da Abbatto i Muri:

Il Donnismo

In Italia più che di Femminismo, oggi, si potrebbe parlare di mammismo o uterismo o donnismo (in senso biologico). Lo vedi dal modo attraverso il quale vengono affrontate certe questioni che possono riguardarci. Il femminismo, per chi davvero lo conosce e lo pratica, non è un “movimento di donne”. E’, come si dice anche in basso in un intervento di cui riporto alcuni passaggi, posizionamento conflittuale, è decostruzione degli stereotipi di genere, è analisi delle differenze, di classe, identità politica, è intersezione delle lotte, è autorappresentazione, é autodeterminazione delle singole persone, è decostruzione e scardinamento e sovversione dell’immaginario, è transnazionale, è transgeneri, è l’agire contro culture autoritarie, contro la cultura patriarcale, o comunque vogliate chiamarla, ovunque e a partire da qualunque genere essa si manifesti.

Non è una visione spoliticizzata dei rapporti tra i sessi, non è conservatore, non è un dogma, una religione, non fissa parametri altri che non siano innanzitutto il partire da se’ e partire da se’, dar luogo all’autorappresentazione, toglie necessariamente il potere/diritto, a chiunque parli di te con la pretesa di rappresentarti, di usarti e legittimare così, attraverso te o quello che di te si vuole raccontare, culture che ci sono nemiche e nemiche per davvero.

Il Donnismo invece è rigido e rimane tutto dentro l’essere donna, utero, mamma, moglie, ruoli sociali distinti e precisi, donne perbene, donne vittime vittimizzate, dove Donna è status, brand, lo stesso che permette la realizzazione di riviste allegate ai grossi quotidiani dove possono propinarti immagini pubblicitarie in cui tu, donna, vieni rappresentata in forme che neppure ti somigliano. Quel che è “Donna” vende e quel che è “Femminista” invece no.

“Donna” generalizza, universalizza i bisogni, applicando riduzionismo biologico e marginalizzazione di generi differenti, a partire dalle Trans. “Donna” appiattisce le differenze, rinomina e annulla rivendicazioni autonome, omologa i pensieri in un ricorrente slogan unico, bisogno unico, pensiero unico. “Donna” è immagine intrappolata in stereotipi e incarna significati che vengono riproposti come ruoli sociali, icone, per cui esistono avatar, come abiti predisposti, comodi da utilizzare a seconda delle necessità.

Il Donnismo permette di inserire una narrazione femminilizzata a partire da immagini funzionali alle logiche del libero mercato e a partire da un ripristino delle culture originarie alle quali il femminismo in qualche modo si era ribellato. Backlash Gender, lo chiamano alcune, o rewind, che passa attraverso la risemantizzazione di termini e concetti che fanno apparire come grandi conquiste ciò che è invece sottrazione del diritto all’autodeterminazione e all’autorappresentazione.

Il Donnismo si muove in senso normativo, e stabilisce confini, limiti, pretende di definire un sentire unico dell’essere donna e di volta in volta utilizza strategie di marketing e testimonial d’eccezione per avvalorare tesi che non partono dal basso.

Il Donnismo è perciò un movimento che parte dall’alto, gerarchico e posizionato entro meccanismi che favoriscono speculazioni e business, di qualunque natura essi siano, dove “le donne pensano” o “noi donne siamo” diventa lo spot preferito per venderti e mercificare qualunque cosa, incluso le idee. Vota donna, dunque vota te stessa, compra donna, e dunque vota per te stessa, pensa donna, dunque quei pensieri sono i tuoi, e così realizzano il marketing di spot simil Vodafone e tutto intorno a te.

Il Donnismo è tanto diverso dal transfemminismo, dal femminismo non separatista, egualitario, che si muove ragionando oltre i generi. E’ incastrato in una definizione precisa dell’essere donna e quando diventa non-separatismo include soggetti, uomini innanzitutto, che però non scardinano alcunchè e che rafforzano la dicotomia che vogliono sovente rappresentare, perché non sono maturi di una riflessione che riguarda il proprio genere. No.

Tutori seguaci del Donnismo

Include uomini che non parlano di se’. Parlano di donne, in sostituzione delle donne, interpretando il sentire delle donne, dettando parole che dovrebbero essere interpretate dalle donne, in poche parole sono nuovi patriarchi che immaginano di essere diversi da quelli antichi perché invece che dire “tu donna fai la madre o la moglie e quello che la natura ti ha destinata a fare” dicono “tu donna fai la santa, la vittima, e quello che la natura ti ha destinata a fare“.

Sono uomini che immaginano di poter investire in una lotta contro la discriminazione dei generi a partire dal proprio ruolo di tutori, intrappolati anch’essi nella dicotomia tutori/carnefici, per cui o sono mostri o sono difensori della continuità della specie a partire dalla moralizzazione della propria sessualità e dalla salvaguardia della sacralità uterina. Sono uomini che dalle pratiche donniste traggono spunto per rappresentare un nuovo modello di patriarca/tutore/salvatore/protettore/prete stavolta legittimato dalle lotte in difesa della dignità delle donne.

Il Donnismo è Antifemminista

Il Donnismo, che per certi versi puoi chiamare anche femminismo autoritario, viene purtroppo spesso definito come IL Femminismo, e immagina di aggirare la critica che dai femminismi arriva, forte e sostanziosa, stabilendo che tutto il resto sia Antifemminismo. La stessa riflessione realmente antifemminista, mista tra pulsioni maschiliste/conservatrici e una visione autodeterminata al maschile sulle questioni di genere, fa tanta confusione, spara nel mucchio, ed è incapace di formulare una critica efficace ad una cultura e una pratica effettivamente reazionaria che stritola i generi, tutti, in una dimensione autoritaria e fascista.

Sfugge, purtroppo, talvolta, che per loro stessa natura, i femminismi hanno anticorpi necessari affinché sia possibile rinnovare pensieri e pratiche in relazione ai bisogni e alle interpretazioni soggettive in ogni genere di società. Quello che vediamo oggi, per quanto si voglia dargli dignità d’azione a partire dal fatto che coinvolge tante donne in buonafede, è infatti la totale antitesi del femminismo. E’ dunque l’Antifemminismo declinato da donne e culture che hanno assimilato due o tre parole d’ordine del femminismo e della lotta antisessista e le hanno ridefinite per portare tutte in piazza a celebrare i corpi sacri delle madri o di altre martiri.

Perché il Donnismo, per esistere, ha bisogno di martiri, di corpi morti da commemorare, e non di donne autodeterminate e non addomesticate che realizzino iniziative che non rispondano a “comportamenti standardizzati”. Il Donnismo ha bisogno di persone che non riflettano di differenza di classe e che in una donna ricca, una ministra, incluso quella che ti porta via l’art. 18, veda una sorella. Ed è lo stesso Donnismo che vede nella prostituta una donna per-male, salvo quando si redime e si fa salvare per essere ricondotta ai ruoli di madre e moglie o di badante (questo è lo schema applicato per accettare le migranti in Italia e per non destinarle ai Cie).

Il Donnismo è fascista

Il Donnismo, a prescindere da chi lo pratichi, è fascista, ove per fascista, riferendosi alla cultura autoritaria che ha caratterizzato la storia italiana, si intende la costante riproposizione, nella divisione dei ruoli, lei ammortizzatore e psicofarmaco sociale dedita ai ruoli di cura e lui un po’ mostro e un po’ guerriero dedito al mantenimento, del modo in cui le donne venivano considerate e governate ai tempi di Mussolini. Quello che dovrebbe farle apparire progressiste è invece il tratto autoritario e moralista che censura la pornografia, il sex working, i lavori in cui le donne espongono i propri corpi, che riducono tutta la riflessione di genere, giustamente fatta per stigmatizzare le mille forme, tante, di mercificazione dei corpi, inclusi quelli delle operaie e dei minatori, ad un ulteriore strumento di censura, elitario, repressivo, stabilendo ancora che le “donne”, tutte, abbiano in comune un sentire che vede offesa la propria dignità solo se c’è una nudità esposta.

Il Donnismo è funzionale al Capitalismo

Apro una parentesi: non c’è servizio più grande reso al capitalismo che quello di sganciare il tema dello sfruttamento dei corpi femminili da quello più ampio dello sfruttamento dei corpi tutti, perché, a prescindere dal fatto che sia necessario contestualizzare le varie differenze con una lettura di genere, quello che si finisce per fare è scindere le rivendicazioni che parlano di sfruttamento sul corpo femminile da ogni tipo di rivendicazione che riguardi lo sfruttamento di tutte le persone che svolgono lavori di qualunque genere. Non è un caso se la richiesta di regolarizzazione del sex working viene ignorata o demonizzata mentre si impongono censure e scelte moraliste e proibizioniste che sono lesive della autodeterminazione di ciascun@. Non è un caso: perché è più semplice colludere con logiche di mercato liberiste, che rifiutano a priori l’idea che per fermare lo sfruttamento di ogni persona debbano essere ridiscusse le regole, contratti, tutto quel che riguarda il diritto del lavoro, affinché ogni lavoratore e lavoratrice possa meglio gestire la propria professione senza che MAI nessuno sia sfruttato. Non è un caso: perché altrimenti non potrebbero, così come fanno, fingere di essere contrari allo sfruttamento delle donne quando si parla di prostituzione e poi approvare riforme del lavoro in cui sostanzialmente si dice che grazie a contratti precari, senza garanzie, in violazione di tutti i tuoi diritti, puoi essere sfruttata come lavoratrice nello svolgimento di qualunque altra mansione. Non è un caso: perché altrimenti non potrebbero farti digerire la teoria secondo la quale tu, moglie e madre, sul cui lavoro di cura si regge tutto il welfare dello Stato, non sei mica sfruttata, ma no, e figuriamoci, invece saresti strafelice di farti sfruttare gratis per ammortizzare carenze istituzionali ed economiche. Chiusa parentesi.

Il Donnismo istituzionalizzato e i femminismi che fanno da megafono istituzionale

Ho visto in questi anni, in una degenerazione progressiva, Le Donniste, fare scempio di tutte le istanze femministe libertarie e perseguire logiche e modalità che seguono la china autoritaria di cosiddette “femministe radicali” americane (Dworkin, MacKinnon e altre) che tra una crociata e l’altra, da suore benedette a rappresentare un credo, ancora trovano il tempo di marginalizzare ed escludere e interferire con le complesse e molteplici narrazioni delle donne a partire da imposizioni istituzionali. Perché quel genere di istanze, conservatrici e autoritarie, per esempio a “tutela” dei corpi “sacri” (uteri/madri) delle donne, censurando la pornografia e in una logica proibizionista contro la prostituzione, siano ben accolte da Istituzioni patriarcali, conservatrici per loro stessa conformazione, è facile capirlo: perché diventano solo funzionali al potere delle istituzioni stesse.

Ugualmente rischioso è il ruolo di femministe che fanno da megafono istituzionale perché direttamente o indirettamente, che lo sappiano o meno, stanno dettando il verbo a tante donne che forse non hanno proprio voglia di seguire la traccia americana su mille questioni, lotta contro la violenza sulle donne e diritti delle sex workers in testa, né hanno voglia di essere funzionali a logiche di mercato e di potere che ci usano per legittimare scelte terribili.

Così vengono imposti i vari modi in cui ci si sente offese come “Donne”. C’è infatti una costante sovradeterminazione, una sovrascrittura dei nostri bisogni, che esclude chiunque non li senta come propri. Così le donne che non sentono offesa la propria dignità quando l’offesa viene invece sentita e denunciata da altre donne, vengono considerate “anormali”, sbagliate, difettose, nemiche delle donne stesse, complici, più o meno criminali. Le donne che discutono in modo laico di altre visioni e altri femminismi diventano eretiche e il discorso non si riesce a spostare di un millimetro da quelle logiche autoritarie che creano esclusioni e patologizzazione delle diversità, se poi, ad un certo punto, sono le stesse istituzioni che ti dicono per quali cose tu dovresti sentirti offesa e quali no (per esempio: la proposta di legge del Pd sul Femminicidio – di cui parlo anche in un altro post – che decide che le donne chiedano la censura di immagini che – non si capisce a discrezione di chi – si dice offendano la dignità femminile).

Il Donnismo vuole la Donna Oggetto e non Soggetto

Il Donnismo è dunque quello che approva e suggerisce leggi che rinsaldano la cultura patriarcale. Chiede aggravanti e tutori e censure e chiede che lo Stato interferisca in senso normativo per dire cosa ci offende e cosa no anche quando si parla di immagini. Non predilige strumenti autodeterminati di autorappresentazione, non vuole darti gli strumenti affinché tu possa autodeterminare cambiamenti culturali. Esige solo che tu sia oggetto e mai soggetto, perché in quanto oggetto ti si può portare in piazza a sostenere il “Vota Donna” (incluse le Fornero) o le battaglie antiberlusconiane in cui tema di opposizione è l’offesa alle donne e non quelle politiche che sono in realtà largamente condivise anche dai partiti di centro sinistra. In quanto “oggetto” tu puoi diventare solo il pubblico di un quotidiano, una testata giornalistica, una a caso: Repubblica, che dice di rappresentarti, diventi solo una che delega e non partecipa se non nelle forme stabilite da altri/e ad affollare piazze che non producono alcun miglioramento sociale o economico.

Quando tu sei “soggetto” scendi in piazza per rivendicare diritti e politiche economiche diverse, scuola pubblica, reddito, lavoro, sanità, mille questioni serie delle quali al momento pochi hanno realmente voglia di occuparsi. Se sei Soggetto e non scendi in Piazza intruppata e addomesticata, il minimo che becchi, a parte le scomuniche dalle donniste e dai tutori che dicevano di volerti difendere, sono manganellate.

The Question is

La mia domanda perciò è: se non riusciamo noi a fare una riflessione seria e approfondita che ragioni sul fatto che i femminismi vengono fagocitati e normalizzati da movimenti donnisti, movimenti che ci indicano come nemico sempre l’altro, lui, il maschio cattivo, per tenerci compatte e unite al di là delle differenze, come possiamo dirci femministe? Come possiamo sperare di opporci e impedire il backlash gender? Come possiamo riappropriarci di parole e significati che ci vengono scippati da chi li rende funzionali a logiche (incluse quelle di mercato) che non sono le nostre?

Vi lascio allo stralcio di intervista e vi ringrazio, come sempre, per aver letto fin qui.

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Giovanna Zapperi, in una intervista pubblicata su La Bottega di Hamlin a proposito del suo libro “Lo schermo del potere”, scritto con Alessandra Gribaldo, edito Ombre Corte, tra le altre interessantissime cose dice:

“Che la parola femminismo sia stata espulsa dal dibattito pubblico mi pare un fatto. Questo salta particolarmente agli occhi se osserviamo come le iniziative che più ricevono attenzione mediatica (a partire da “Se non ora quando”, fino alle recenti campagne contro la violenza sulle donne) si pongano in modo ambivalente rispetto al femminismo, presentandosi come movimenti di donne più che come iniziative femministe. Portare avanti un discorso femminista significa inevitabilmente posizionarsi in modo conflittuale, e il conflitto fa paura. Come abbiamo scritto nel libro, il problema sta anche nel fatto che il femminismo viene spesso additato come qualcosa di fondamentalmente inattuale rispetto ad una visione spoliticizzata dei rapporti tra i sessi, visti come finalmente liberati da “innaturali” ideologie.”

“la questione dell’autorappresentazione, per le donne, (è) sempre una questione politica, nel senso che la necessità di porsi come soggetto attivo della propria immagine è, storicamente, un elemento nodale delle strategie femministe. (…) Come hanno scritto diverse teoriche femministe, soltanto una volta rigettata la nozione della donna come categoria indifferenziata, l’autorappresentazione può funzionare come uno straordinario processo di soggettivazione e di decostruzione dello stereotipo.”

“Mi sembra che ci sia una differenza fondamentale tra le manifestazioni indiane di dicembre e l’evento del “One Billion Rising”. (…) “One Billion Rising” è un evento preparato negli anni, orchestrato da una fondazione con sede negli Stati Uniti, il cui successo deve molto all’emozione suscitata delle manifestazioni indiane. Tuttavia questo tipo d’iniziative mi lasciano perplesse per molti motivi, a partire dai rapporti nord-sud che presuppongono, fino alle modalità specifiche di rappresentazione che fanno leva su un immaginario che addomestica l’agire collettivo all’interno di comportamenti standardizzati.

“A me sembra in realtà che in Italia ci sia una nuova generazione di femministe che si pone all’interno di un dibattito internazionale e che sta portando avanti un rinnovamento molto importante dentro al femminismo italiano. (…) la produzione femminista più interessante e articolata degli ultimi decenni si è avuta nel mondo anglosassone, perché lì si è creato un dibattito più aperto e transnazionale. Ecco, mi sembra che il rifiuto di porsi all’interno di un dibattito internazionale abbia rappresentato un forte limite per il femminismo italiano, che si è chiuso dentro alla sua specificità con il rischio di risultare provinciale.”

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