Alcuni giorni fa, nella nostra mailing list, Enrica ci ha segnalato questa notizia commentandola così:
Ciao a tutte. Ho letto questo articolo, premetto che non ho mai partorito, ma che so come le infermiere e i medici hanno fatto morire mia nonna. Io sono schifata all’idea di essere trattata come un utero vagante che invece di lamentarsi deve fare il proprio compito, sono completamente ignorante in materia, ma non è la prima volta che leggo di come le donne siano trattate da schifo durante, prima e dopo il parto. Il fatto che venga considerato un evento ovvio, un compito naturale, un destino, mi fa schifo, mi fa schifo pensare che il dolore non venga alleviato ma anzi..
Io credo che sia giunto il momento di raccogliere esperienze e nomi di ospedali per condividere con le altre la conoscenza in merito. Perché non accada più che una donna in un momento delicato venga trattata come una macchina sforna umani, ma come persona.
Perché ogni donna sappia quali sono i suoi diritti durante il parto e quali siano i posti migliori..
A tale richiesta Antonietta ci racconta la sua esperienza del parto che, con il suo consenso, condividiamo anche sul blog.
Ciao a tutte, penso che più o meno ogni donna che abbia affrontato l’esperienza del parto possa raccontare quello che succede nel reparto ostetricia ginecologia, e soprattutto in sala travaglio e sala parto. Anche io che l’ho sperimentato, l’ho raccontato nel mio blog maternità precaria e con questo titolo: Il travaglio e il crocifisso: la mia “via crucis”. In realtà qui mi sono solo limitata a scrivere dell’invadenza della Chiesa su un momento così importante e delicato per una donna come quello del parto. Ma in realtà è il minimo… I medici nel mio caso si sono premurati (!) di evitarmi il parto naturale. Nel senso che, siccome l’anno precedente ero stata operata di mioma uterino, e non sapevano dove fossi stata operata (se il mioma stava dentro o fuori), allora mi hanno attaccato subito la flebo: questo ha significato per me non poter toccare cibo e acqua per circa due giorni e arrivare come scrivo nel mio racconto senza forze! Dopo aver visto dall’archivio che il mioma che mi hanno asportato si trovava fuori e che quindi non avrebbe costituito un pericolo per il parto, i medici hanno comunque preferito procedere con la flebo. e ancora mi domando il perchè? Avevano tanta voglia di “squartarmi”? Insomma sono arrivata al travaglio senza forze: tutto ciò che avevo imparato al corso preparto se ne andava a farsi friggere. In più non sopportavo le chiacchiere dell’ostetrica e della ginecologa mentre io soffrivo dalle contrazioni. Penso che più umanità soprattutto tra donne, in quei momenti sia fondamentale e possa rendere più lieve e veloce questo passaggio dal travaglio al parto. Per fortuna prima che iniziasse il travaglio era di turno una brava ostetrica che mi ha dato dei consigli su come “muovermi” e su come stimolare le contrazioni naturalmente ed evitare il taglio. Fondamentale è stato anche l’apporto del mio compagno che mi ha seguito sempre sia durante il travaglio che dopo, durante il parto. Il bimbo è nato naturalmente. ma subito dopo il parto, avrei voluto riposare, dormire ed invece è stato massacrante essere svegliata continuamente dal “cambio turno” di medici, infermiere e ostetriche… Le loro risate, chiacchiere, il rumore della tv, erano per me insopportabili. Il giorno seguente alla nascita, il primario è arrivato con lo staff medico e mi ha fatto una battuta che ancora oggi mi fa pensare…” ti volevano squartare e non ci sono riusciti”. Che brutta immagine ho pensato, ma ho pensato anche che gran parte delle donne oggi in Italia ricorre al taglio (spinte dalla paura e soprattutto dalle pressioni dei medici). E ci sarebbe da scrivere su questo tema…
Insomma io mi sento comunque fortunata, anche perchè lo posso raccontare. L’ospedale che ho scelto lo sceglierei comunque, e non sceglierei Taranto dove mi trovo a vivere dove ad esempio i compagni/mariti non hanno la possibilità di assistere al parto.
E’ bene che le donne inizino a parlare, confrontarsi e scambiarsi consigli.
Ringraziamo sia Enrica che Antonietta per gli spunti di riflessione e averci permesso di condividerli anche sul blog e, come sempre, vi invitiamo a dirci la vostra.