Femminismi
Compagni: disertate il ruolo autoritario di Tutori (le donne si difendono da sole)!
Categories: Femminismo a Sud

Da Abbatto i Muri:

Car* compagn* di Zona Collinare in Lotta,

mai come quest’anno il tema della difesa della “donna” è diventato un brand. Lo è diventato a tal punto che non è necessario neppure il parere della donna stessa per discuterne. Avviene, come spesso accade, che il soggetto, che dovrebbe autodeterminarsi, quello che alcuni dicono di voler difendere, viene delegittimato e escluso dal dibattito o, nel caso in cui osasse esprimere il suo parere, anche con durezza giacché è stata totalmente ignorata mentre la usavano contro il suo volere, viene duramente redarguito e relegato nella sfera del colpevole.

E’ uno stereotipo vecchio quanto il mondo quello che schiaccia, così come cultura patriarcale vuole, le donne nelle definizioni dicotomiche vittima/colpevole. E dato che qui si sta dicendo che alcune donne vogliono essere più che vittime, vogliono essere soggetti autodeterminati invece che oggetto che legittima l’azione dei suoi tutori, patriarchi del terzo millennio, allora sono senza dubbio colpevoli. Lo sono io, di sicuro, perché non ho fatto pat pat sulla spalla dei salvatori delle cosce delle cubiste. Colpevole di essere un soggetto autodeterminato che osa contestare una azione di ronda antisessista che solo idioti e idiote dettratori/trici di FaS possono giudicare positiva, pur di aggiungere infamia all’infamia, senza la minima onestà intellettuale e facendo diventare, come la più becera sub-cultura vuole, un dibattito che dovrebbe essere politico una rissa o una azione di cyberbullismo aizzata per trovare ulteriori cecchini che diano addosso a FaS.

Si parla della risposta che avete dato a proposito delle critiche, tante, ricevute circa la vostra azione. Non sono stata solo io. Non è stata solo FaS che, per inciso, non è fatta solo di donne ma di persone di ogni genere. Ma io provo a dirvi cosa penso della vostra risposta non senza invitare chi legge a vedere cosa era stato scritto. Il corpo delle donne è delle donne, si diceva, e se qualcuno fosse venuto da me a coprirmi le cosce per salvarmi io avrei reagito veramente male. Perché quel che fate si inserisce esattamente nella brutta dinamica innescata che determina una deriva autoritaria in tutta l’Europa.

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[Immagine di Effetto Farfalla]

Si inserisce nel filone autoritario e moralista di ragionamento che immagina la mercificazione dei corpi solo quando i corpi, delle donne, sono esposti in modo schietto. Come se una moglie non fosse mercificata tanto quanto. Come non fosse altrettanta mercificazione quella di un operaio in fabbrica, di una lavoratrice di qualunque tipo. Come se essere sfruttati/e usando le braccia invece che la fika sia una cosa più accettabile. Ed era quello il punto e non le cosce delle cubiste che pensavate di salvare. Il punto erano semmai le condizioni contrattuali che spero almeno in seguito alla vostra azione di ronda antisessista improvvisata avrete verificato. Perché se con quell’azione intendevate dare un messaggio al mondo, sulla pelle delle ragazze che di certo non ne hanno giovato in alcun modo, c’è un che di integralista in questo uso dei corpi, delle identità, delle lotte delle donne per ricavarne audience per la diffusione del proprio verbo.

La prossima volta cosa farete? Andrete incappucciati a marcare il territorio in cui ci sono le prostitute per “salvarle” dai clienti? Andrete a fare blitz nelle agenzie di moda per sequestrare book fotografici con donne seminude? Andrete a mettere le croci sulle edicole che osano vendere riviste pornografiche? Bandirete dal vostro morale, giusto, ripulito, territorio le discoteche che sono regni di perversione? E prima che ve ne rendiate conto sarete lì a dare dei drogati e dei criminali ai vostri colleghi di centro sociale e vi sputerete addosso reciprocamente.

Sto volutamente esagerando perché le analogie in questa analisi vanno fatte e c’è poco da essere offesi se vi si dice che coprire i corpi senza tenere conto del parere delle donne è esattamente uguale a scoprirli da un burqa in senso colonialista. Perché in nome della difesa delle donne si fa di tutto, incluso mortificare l’autodeterminazione delle donne stesse. Di quella offesa, perciò, stiamo parlando e non di altro.

Nel merito della risposta che avete scritto. Dite che non potete usufruire della condivisione di consapevolezze maturate in anni e anni di lotte antisessiste, ma vi premurate di dare lezioni sul “metodo” da seguire per discutere di una azione decisa sul corpo delle donne, senza consultare le stesse donne coinvolte, né gruppi femministi del territorio. Le azioni partecipate, se vogliamo davvero discuterne, sono partecipate in senso reale. Lo sono per davvero, fin dal momento in cui tu decidi di fare una azione che riguarda me senza neppure consultarmi. Lo “scambio” tra compagni/e non immagina vi siano modalità più o meno lecite, “buone maniere” più o meno discrete di lavare i panni in famiglia. La serietà sta proprio nel fatto di dirsi le cose come stanno, nude e crude, e di azzardare analogie che bene vi facciano cogliere il senso di quello che secondo alcune avete fatto. L’analogia rende perciò evidente esattamente quel che tante vi hanno comunque detto.

Sul non rilasciare patentini d’antisessismo sono più che d’accordo con voi. Pensate che ci sono uomini, sedicenti antisessisti, che rilasciano sul web bollini della femminista doc, animati credo dallo stesso spirito di operosa volontà a salvaguardia del corpo delle donne che mostrate di avere voi. Nessun patentino ma neppure nessun riconoscimento e ogni critica possibile, espressa non con un vaffanculo ma con parole che argomentano e vi possono dare strumenti per capire, nei confronti di una iniziativa che mi nuoce. E se quelle parole per voi sono “elucubrazioni” direi che sono state parole sprecate, nella speranza che almeno altri/e le abbiano lette, come spero leggeranno queste, per fare intendere ciò che si voleva dire. Perché personalmente sono abituata a lottare contro gli autoritarismi e i fascismi che si esprimono nei metodi prima ancora che nei nomi o nelle pubbliche identità politiche di chi li realizza.

Sono più che certa che in quello che avete fatto ci fosse buona fede ma un intero capitolo per dire “compagn*, così non si fa… ci avete trattato troppo male” quando sarebbe bastato dire “alla faccia del cazziatone, però, compagn*, avete ragione“, mi pare davvero eccessivo e sposta la visione del problema. Perché anche voi non sfuggite alla cornice dicotomica e stereotipata del tutore/colpevole dal quale vi smarcate con vittimismi che sono tipici di chi non ha idea di come ritagliarsi un ruolo differente. Il punto è, se posso dirlo, che anche voi, per “liberarvi dai vostri retaggi“, così come noi facciamo ogni giorno, bisogna che decidiate di essere soggetti e non oggetti. Bisogna che disertiate proprio il ruolo patriarcale per eccellenza, ovvero quello di Tutori. Bisogna che siate soggetti e non strumenti di diffusione e applicazione della cultura patriarcale. Perché questo siete stati: strumenti. Oggetti. Anche voi.

Dite che avrei dovuto coprirvi con dei giubbotti virtuali per nascondere il fatto che abbiate scelto di mercificare voi stessi esponendovi all’uso che si fa di corpi, di uomini, quando essi vengono sollecitati (finanche da sedicenti femministe) o immaginano di essere tali, alla Tutela dei corpi non-autodeterminati delle donne? Dite che avrei dovuto legittimare i Tutori e rinsaldare il Patriarcato delegandogli la salvaguardia e la sorveglianza del mio corpo? Dite che sarebbe stato meglio dirvi “bravi!” e assimilarvi ai Tutori d’ogni risma? Proprio perché siete compagni e vorreste, da ciò che dite, sfuggire a quei ruoli è necessario che prima che ragionare sul femminile ripensiate ciò che vuole essere il vostro maschile. Quella è la vostra lotta autodeterminata perché i corpi delle donne, appunto, sono delle donne.

Infine prendo atto di una differenza, evidente, ovvero che voi, appunto, affermando che “non tutte le mercificazioni sono uguali” e che vi sono pezzi di corpo “più preziose” da tutelare inserite il vostro ragionamento in un filone autoritario che personalmente mi fa paura perché è l’anticamera delle ronde di cui parlavo prima. E’ un discorso moralista, etero-normativo. Normativo di come io dovrei usare il mio corpo, di cosa sia intimità e cosa no, di cosa o come debba esprimersi la mia sensualità invece che no. Mette confini, delimita il contesto, l’unico tangibile e lecito, entro il quale il mio corpo può manifestarsi ed esprimersi. E, che voi ci crediate o meno, è esattamente questa l’ideologia dominante contro cui dite di voler combattere. Una ideologia oscena che viola il diritto alla libertà di scelta di ogni persona, usa la censura per segnare differenze tra esibizioni del corpo lecite e perversioni, si appropria dei corpi delle donne, quelli che dice di difendere, in nome di un bene superiore da tutelare: la nostra dignità. E appropriarsi significa che quei corpi diventano di volta in volta corpi dei tutori, dei branchi sociali, corpi di Stato, con tutto ciò che ne consegue, divieto di uso della contraccezione e attacco alle legge 194 inclusi.

Circa la questione delle donne migranti, a proposito di lotte e conflitti di classe, vi invito invece a leggere la nota del Comitato dei diritti per le persone prostitute che vi spiega esattamente come la lotta in difesa del corpo delle donne e della sua presunta dignità sia strumento di realizzazione per razzismi e marginalizzazioni di persone che vengono ricacciate in clandestinità.

Con ciò spero che questo scambio sia utile perché un confronto dialettico avvenga sul serio. Si potrebbe, che so, fruirne come momento, sebbene virtuale, per ragionare di pratiche e lotte antisessiste. Si potrebbe. Felice di sapere che c’è chi se ne vuole occupare. Ancora più felice se chi se ne vuole occupare è dispost@ a discuterne per davvero e ad accettare di lottare “al fianco” e non “al posto” o “in sostituzione di”.

Perché altrimenti c’è poco da lottare contro le dominazioni sessiste se poi si agiscono le stesse dominazioni sui corpi di soggetti che non ti hanno mai delegato le proprie lotte e non ti hanno mai chiesto di essere rappresentat@. Ché poi, e questo io lo so bene, non è mica responsabilità vostra. La responsabilità politica va a chi nel corso di questi ultimi anni, in modo acritico e con la stessa tecnica delirante e virale della comunicazione nei social network, ha riempito i media di inviti agli uomini a prendere distanza, assumersi responsabilità, prendere posizione a difesa della dignità delle donne, finendo per delegarti un ruolo che non è bene tu abbia perché prevarica perfino la tua stessa libertà di scelta quando dici di voler sfuggire il patriarcato. Stringendoti in un ragionamento che ti vede solo come colpevole o come tutore.

Credetemi: potete essere compagni di viaggio e di lotta, restando al fianco delle istanze autodeterminate di qualunque persona, donne incluse. Al fianco, come fareste con i migranti quando manifestate assieme a loro ma non vi sostituite a loro, perché il contrario sarebbe colonialismo. Al fianco e non dominanti. Magari, chissà, se ne potrà discutere, prima o poi. Forse, chissà, ad una prossima eventuale iniziativa…

A Fika e Tetta sparat* sull’universo

Un@ di Femminismo a Sud

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