Pochi giorni fa ho letto questo articolo sull’autoritarismo e la costruzione di personalità fasciste nelle forze armate italiane . Nel testo si narrano le modalità attraverso cui, all’interno di un reparto considerato “d’elite” delle forze armate italiane, si insegna a subire e riprodurre violenza. Quello che ci viene descritto è un vero e proprio processo di costruzione di personalità altamente autoritarie e pericolosamente fasciste. L’analisi che viene fatta si basa molto sulla testimonianza di uno dei due autori, che ha fatto il servizio militare proprio nel suddetto reparto. Allucinante è vedere come ogni fase, ogni violenza, ogni umiliazione abbiano un preciso obiettivo, quello di piegare la volontà del soldato e ottenere la sua totale obbedienza, che non è solo fisica ma anche mentale.
Da quello che si può leggere nell’articolo la matricola passa attraverso 3 fasi: la fase preliminare di destabilizzazione e uniformità, la fase di transizione e quella di aggregazione. Tutte le fasi prevedono dei riti di passaggio assai violenti. Il percorso serve per cancellare ogni certezza nell’individuo, fargli comprendere che lì, le regole che aveva imparato nella società, non valgono e che dunque, per sopravvivere, sarà costretto ad imparare quelle nuove. Così facendo si riprogramma la mentalità di un individuo e lo si rende una macchina al servizio di scopi altri.
Nel testo si denunciano violenze di ogni tipo, l’uso di droghe da parte dei soldati prima delle “missioni”, la presenza di idee razziste e lo svolgersi di cerimonie, durante le quali, si cantano inni fascisti e si commemora il ventennio. Inoltre sono descritte pratiche, come la “pompata”, che hanno lo scopo di obbligarti a rispettare l’autorità e a tua volta di farla rispettare.
Uno degli elementi che, a mio avviso, ha un ruolo importante in questo addestramento alla violenza, è la solitudine. Dall’istante in cui si entra fino a quello prima di uscire ci si sente soli, o meglio, si è costretti a farlo. La prima fase dell’addestramento infatti prevede un’azione che non sottovaluterei: il ribaltone. Dopo essere stati rasati, aver ricevuto indumenti di misura sbagliata e, per la prima settimana, essersi visti negato il diritto di lavarsi (questi elementi vi riportano in mente qualcosa?) l’unico sollievo che si riesce ad ottenere, ovvero l’instaurazione di un rapporto di amicizia con il proprio vicino di branda, viene cancellato. Secondo l’articolo questa pratica si chiama “ribaltone” e consiste nel far cambiare posto di branda o addirittura camerata a tutti i nuovi arrivati, facendo saltare tutti i rapporti fino ad allora costruiti. Ci si ritrova, quindi, di nuovo immersi in quel mondo violento ma totalmente soli.
La solitudine è un sentimento che proviamo tutt@ ma che può essere alimentato e strumentalizzato per fini altri. Uno tra tutti, il mantenimento di un potere. “Dividi et impera” non è solo un motto ma una vera e propria modalità di governare. Non è un caso, infatti, che in uno dei miei libri preferiti, “1984” per ottenere la totale obbedienza di Winston lo si costringa a ripudiare l’unica donna che amava. Una volta isolato,l’individuo, è molto più fragile e “propenso a collaborare”. La solitudine non si ottiene solo rompendo ogni legame con l’altr@ ma anche mettendo tutt@ contro tutt@. Ci insegnano a chiamarla “sana competizione” ma per me è solo una violenza gratuita.
A cosa serve gareggiare quando bisognerebbe unirsi? Vincere, primeggiare a cosa serve se ciò non ci rende più liber@? Alcuni meccanismi che vengono descritti in questo articolo, penso possano valere anche per noi, per la società tutta: i tentativi di isolare e marginalizzare i movimenti antagonisti sono quotidiani come lo è anche la spinta alla concorrenza a cui questa cultura ci obbliga.
Ritornando al testo, infine, vorrei solo fare una precisazione, su un concetto che non posso condividere. Nella parte finale si fa un’analisi interessante su come i militari stiano entrando nelle forse “dell’ordine” e di come queste stesse si stiano militarizzando. Uno scenario che non può non farci rabbrividire. Il concetto però che non condivido è la definizione delle forze “dell’ordine” come forze di pace, a differenza di quelle militari che sono di guerra. Non so se gli autori condividano realmente questa separazione oppure la usino solo perché queste due istituzioni sono percepite in tal senso.
Personalmente sono convinta del fatto che le forze “dell’ordine” non esistano per portare pace ma per portare ordine, che è una cosa ben differente. Sul concetto di pace ce ne sarebbe da dire , ma ciò che ora mi preme dire è che non condivido assolutamente questa visione e che per me, tutte le istituzioni, sono manifestazione di violenza. Tutto ciò che legifera, norma, impone (sotto tanti aspetti e con modi diversi) è violenza perché incide su quello che dovremmo avere di più importante, la libertà.
Vi invito a leggere l’articolo e, se vorrete, a condividere con me/noi le vostre impressioni.